La Festa del Lavoro raccontata dalla pittura e dalla fotografia

Come già era successo qualche giorno fa in occasione del 25 aprile, anche per il 1° Maggio, Festa del Lavoro, vogliamo presentare alcune opere d’arte che raccontano la dura lotta per la conquista dei diritti dei lavoratori. Questo perché non è possibile festeggiarlo come d’abitudine con manifestazioni in piazza, a causa della quarantena imposta dal Covid-19.

 

Nell’immaginario collettivo l’opera che più rappresenta la Festa dei Lavoratori è il Quarto Stato del divisionista Giuseppe Pellizza da Volpedo, realizzato tra il 1898 e il 1901 dopo un lungo periodo di gestazione durato quasi dieci anni, talmente conosciuto da essere diventato una sorta di icona pop (ripreso ad esempio da Berardi e Milazzo nella copertina di Sciopero, avventura del fumetto Ken Parker).

Il Quarto Stato è un quadro dalle dimensioni monumentali (293×545 cm) che oggi è custodito al Museo del Novecento di Milano. Una massa di persone formata da braccianti e contadini avanza fiera e decisa verso l’osservatore. Nel loro muto incedere si ode un grido di legittima protesta. Qui per la prima volta in Italia l’arte documenta in maniera esplicita la lotta politica del proletariato. In precedenza Pellizza da Volpedo aveva dipinto due versioni: Ambasciatori della fame (1892) e Fiumana (1895-1896), entrambe con lo stesso impianto formale, ma con sensibili variazioni tecniche e tonali.

 

In Francia, poco meno di trent’anni prima del Quarto Stato, il disegnatore, illustratore e caricaturista Honoré Daumier con la sua arte agisce in direzione di un’aspra polemica sociale, bene esemplificata da Il vagone di terza classe (1862), conservato alla National Gallery of Canada di Ottawa.

Daumier si è sempre schierato in prima linea contro la politica di Luigi Filippo e di tutto l’apparato borghese che rappresentava. Come ha fatto notare Argan, egli ha fatto meglio del suo amico Balzac perché «ha saputo vedere nel popolo vittima l’eroe della lotta per la libertà contro il potere».

Ne Il vagone di terza classe, Daumier denuncia la condizione di povertà delle classi meno abbienti, ritraendole all’interno della carrozza di un treno. Tutte le persone sono ammassate, gli sguardi persi nel vuoto, rassegnate a una vita di stenti. Il dramma raggiunge il suo culmine nelle tre figure in primo piano: la donna che allatta, quella centrale che appare sfigurata e il bambino addormentato, perché stremato dal lavoro.

Restando più vicino a noi, un’eloquente testimonianza si trova al Museo Borgogna di Vercelli che ospita Per ottanta centesimi!, tela di Angelo Morbelli eseguita tra il 1895 e il 1897. Protagoniste sono le mondariso, costrette a turni massacranti, lì immortalate con la schiena piegata a estirpare le erbacce.

Morbelli, che concluse l’opera dopo una lunga gestazione, dipinge i soggetti in una luce quasi bucolica, ma come contraltare i suoi personaggi stanno lavorando e non pregando come accade ad esempio nell’Angelus di Millet dove il lavoro è pervaso di una sacralità quasi religiosa. Qui le mondine sono nel pieno della loro attività e non in un momento di pausa.

Assistiamo a una mediazione del naturalismo di matrice romantica con il realismo promosso da Courbet prima e da Daumier poi. Per Millet i contadini non possono mutare la loro condizione di “schiavi della terra”, per Morbelli invece sì, ma per farlo occorre prima documentare la loro situazione (lo stesso farà anche con i vecchi del Pio Albergo Trivulzio). È il primo passo per la conquista delle otto ore lavorative, ottenute a suon di sudore e fatica qualche anno più tardi proprio dalle sue amate mondine.

 

Più eloquente della pittura come mezzo di denuncia sociale è stata però la fotografia. Qui potremmo citare infiniti esempi, ma ci limiteremo a uno: Lewis Wickes Hine (1874-1940), sociologo e fotografo statunitense, che dedicò la sua vita a combattere le ingiustizie subite dai lavoratori, specialmente i diseredati, gli emarginati, i minori e gli immigrati.

L’intenzione di Hine era mettere di fronte all’opinione pubblica le condizioni precarie di chi era costretto a lavorare senza le necessarie misure di sicurezza, rischiando così ogni giorno la vita per potersi sfamare. Egli seguì l’innalzarsi del grattacielo in ogni sua fase, vivendo sempre a stretto contatto con gli operai perché a lui interessava la fotografia come testimonianza diretta, non come esibizione del sensazionale.

Nel 1908 Hine iniziò la collaborazione con il National Child Labor Committee, un’istituzione che aveva come scopo primario l’abolizione del lavoro minorile nelle industrie. Durante quell’incarico Hine ritrasse molti bambini impegnati nella manutenzione di impianti tessili, nei campi, nelle catene di montaggio o più semplicemente nella vita quotidiana.

In ognuna di quelle inquadrature c’è uno studio attento delle proporzioni e della prospettiva: immagini in cui ad esempio le macchine di produzione sovrastano con la loro grandezza i piccoli operai intenti a farle funzionare. Hine si rendeva conto del valore soggettivo delle sue fotografie e capiva che, proprio per questo motivo, avevano una forza particolare e potevano far germinare accuse e critiche verso un sistema economico basato sullo sfruttamento degli umili e dei non privilegiati.

Quelli citati (Pellizza da Volpedo, Daumier, Morbelli, Hine) sono soltanto alcuni artisti che si sono occupati in maniera diretta del tema del lavoro. Oltretutto sono racchiusi in un arco temporale ben definito che non a caso è quello delle prime lotte per la conquista dei diritti fondamentali. Ce ne sarebbero tanti altri che per ovvie ragioni non abbiamo menzionato: pensiamo ad esempio a Courbet, a Van Gogh, ad alcuni dipinti di Degas, di Cézanne. Senza contare la fotografia prima e il cinema poi (Sciopero di Ėjzenštejn e Tempi moderni di Chaplin sono esemplificativi).

Insomma, per citarli tutti servirebbe un libro, e forse neppure quello basterebbe. Una cosa è certa, le opere di questi artisti sono dei documenti preziosi che raccontano un passato che a noi magari appare lontano, ma che poi così lontano non è. Vale lo stesso discorso fatto per il 25 aprile: è grazie a chi si è battuto per un’ideale di uguaglianza sociale e per un mondo libero dai soprusi e dalle sopraffazioni se oggi possiamo godere di molti diritti che paiono scontati. Ricordarlo ci pare l’immagine migliore per festeggiare questo Primo maggio.

Massimiliano Muraro

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