Il segretario giovanile del Pd: “Bonacini e le Sardine i vincitori: Zingaretti riformi il partito”

Dal segretario provinciale dei Giovani Democratici del Pd, Marco Aurelio Dabbene, riceviamo e pubblichiamo questa analisi politica sul voto alle Regionali di domenica scorsa:

“Da molti è stata definita una vittoria di Pirro. Episodica e nulla più.
Per quel che rappresenta nell’attuale scenario nazionale, ritengo invece che la valenza di queste elezioni in Emilia-Romagna assuma i connotati di una più romantica battaglia di Poitiers.
Cinicamente: in quella turbolenta estate post europee e pre Papetee, quando il Leghismo toccava vertici di consenso da Democrazia Cristiana e l’atteggiamento salviniano si avvicinava sempre più all’immagine del perentorio leader inamovibile, l’avanzata dell’onda sovranista pareva imperiosa ed inarrestabile.
Lo sconforto e la desolazione, in una sinistra senza più guida morale e punti a cui ancorarsi erano, se possibile, persino più evidenti.
Il futuro politico della nostra Nazione, prossimo e profondo, pareva tracciato.

Qualche cosa, eppure, si ruppe già allora.
E in una calda giornata d’agosto, Salvini capì che la maggioranza di piazza non coincideva per forza di cose con il potere istituzionale. Che le maggioranze in parlamento non coincidono con le grafiche dei sondaggi.
Nonostante questo, la piazza, il popolo, il consenso…quelli si ritenevano ormai irrecuperabili.
E così Salvini ha iniziato la sua personale battaglia: la piazza di fronte al governo.
Il popolo a rovesciare il palazzo.
È evidente che, se questa formula avesse funzionato -dopo l’Umbria, altra roccaforte rossa caduta in ottobre- anche nella ancor più simbolica Emilia-Romagna, allora non ci sarebbe stata davvero più alcuna partita, più alcunchè da giocarsi.

E invece, in questi mesi, qualcosa si è movimentato.

La riconoscenza verso un amministratore carismatico, in grado di governare con saggezza una regione che da decenni è esempio, in Italia e in Europa, di ottima amministrazione. È lui il vero vincitore (più di quanto non sia la Lega la sconfitta), ed è a lui che va il merito maggiore di questa riconferma.
L’ittico Movimento delle Sardine che, come una scossa nello sciatto panorama nazionale, ha risvegliato le coscienze di migliaia di disillusi elettori, dimostrando che sì, esiste una larga parte di italiani che non abbocca alle ciarlerie sovraniste e che no, le piazze, le folle, non sono ancora una esclusiva della destra. Mattia Santori e i suoi seguaci possono rivendicare, avendo messo in seria difficoltà la macchina mediatica della “Bestia” di Morisi, buona parte del merito di questa vittoria.
C’è stato il risveglio di un orgoglio rosso che l’Emilia-Romagna pare non aver (del tutto) dimenticato.
E per ultimo, possiamo citare un fattore tuttaltro che irrilevante: un candidato leghista, Lucia Borgonzoni, sostanzialmente inesistente. La linea seguita da Matteo Salvini ha portato all’estremizzazione dei toni e delle tinte della campagna elettorale, ergendola a ben più di banale elezione presidenziale.
Era il suo personale referendum.
Perso.

Significa che la destra è stata scacciata?
Non è nemmeno da considerare come opzione. La destra e i suoi leader
rimangono fortemente al comando dei consensi elettorali, le sue forme ideologiche ben radicate nella mente di milioni di Italiani, e non va dimenticata l’imponente fuga di elettori da un M5S che, da prima forza politica nazionale, è ora in processo di evaporazione, con il teorizzato tripolarismo terminato ancora prima di iniziare (aspetto che meriterebbe sicuramente un ragionamento articolato a parte, così come la sostanziale fine della rilevanza politica Berlusconiana).
Con tutte le probabilità, in qualsiasi altra regione si fosse disputata la partita -ad eccezione, forse, della Toscana- l’onda sovranista avrebbe avuto la meglio.
Inoltre, sarebbe miope non accorgersi che, nonostante l’esito finale, per la prima volta la più rossa delle regioni italiane è stata
-per davvero- messa in discussione.
Tenendo conto anche della netta vittoria in Calabria, definire le elezioni appena trascorse una totale debacle delle forze reazionarie sarebbe una analisi del tutto fuorviante e inesatta.

Eppure, è stato fissato un argine.
Un baluardo non espugnato.
Un punto da cui ripartire e, come dopo Poitiers, guidare la complessa ma non impossibile Reconquista.
Ieri sera, per la prima volta da anni, l’alleanza conservatrice è stata domata.
Certo, in quella regione dove discorsi di questo genere fino a pochi anni addietro non sarebbero nemmeno stati presi in considerazione, ma tant’è.
Una vittoria simbolica ma si sa, l’uomo di simboli ci vive.

Sempre con cinismo è veritiero che, oltre all’Emilia-Romagna, ad aver salvato la pelle è stato (almeno per il momento) il governo.
Conte ringrazi Bonaccini.
E Zingaretti, oltre a ringraziarlo, si precipiti a riformare nelle budella le fondamenta di un partito (e il parere ve lo dà un militante) ormai stanco, vecchio e morente. Non più al passo con i tempi.
Bonaccini, è bene ricordarlo, ha vinto certamente più per il peso della sua figura che per il simbolo del partito che lo appoggiava (simbolo che si è preferito quasi nascondere).
È necessario stravolgere tutto, per consolidare in fiducia quel risvegliato interesse elettorale che le Sardine, per il momento, hanno evocato solamente come antidoto a un virus.
È necessario un governo di stampo neokeynesiano, la cui guida non deve più essere della maggioranza a cinque stelle fittizia, e che dimostri di saper portare benessere al proprio popolo.

Quella di oggi è l’alba di una destra forse ridimensionata.
E forse l’alba, sempre se saremo in grado di attuarla, della così tanto agognata “ripartenza” del centro sinistra.

Marco Aurelio Dabbene 

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