Quando la Pro Vercelli aveva la Sezione ciclistica

«Presso la Società Ginnastica Pro Vercelli è istituita una Sezione ciclistica». La notizia è del 1908, stagione in cui il calcio bicciolano e le sue bianche casacche ottenevano il primo dei sette scudetti. Il Giro d’Italia, a differenza del Tour de France, non era ancora stato istituito, si sarebbe corso la prima volta l’anno successivo: primo Luigi Ganna, secondo Carlo Galetti, terzo Giovanni Rossignoli.

La bicicletta era giunta in Italia da pochi decenni e fin dal suo arrivo erano state organizzate corse più o meno regolari per decretare chi avrebbe tagliato per primo il traguardo. Era l’epoca del ciclismo eroico, quando i cavalli di ferro o velocipedi pesavano anche venti chili, i rapporti erano due se andava bene, le strade erano sterrate e piene di buche traditrici. Le tappe duravano ben oltre i trecento chilometri, per portarle a termine si partiva a notte fonda e non si sapeva se e quando si arrivava, essendo affrontate dai corridori in piena e totale autonomia.

I nomi più in voga in quegli anni pionieristici erano quelli di Giovanni Gerbi (il Diavolo Rosso cantato poi da Paolo Conte), Eberardo Pavesi (più avanti direttore sportivo di Bartali alla Legnano) e i tre già citati che salirono sul podio della prima Corsa rosa. Tutti svolgevano altri mestieri e per lo più provenivano dall’area piemontese-lombarda: Ganna ad esempio era un muratore e Galetti un tipografo. Tra gli stranieri ricordiamo: Maurice Garin, Lucien Petit-Breton, Lucien George Mazan, Oscar Egg.

Il loro terreno di caccia erano le prime classiche: la Milano-Torino, la Milano-Sanremo e il Giro di Lombardia le più ambite, tanto che sopravvivono ancora oggi e le ultime due si possono addirittura fregiare dell’appellativo di Monumento assieme al Giro delle Fiandre, alla Parigi-Roubaix e alla Liegi-Bastogne-Liegi.

Insomma, il ciclismo stava gettando le basi per diventare uno degli sport più popolari in assoluto: di lì a poco sarebbero arrivati il professionismo, una federazione, un calendario ufficiale, gli sponsor e il tifo, tanto tifo, al punto che nacquero immediatamente i primi dualismi: Girardengo-Binda, il proverbiale Coppi-Bartali, Gimondi-Adorni, Moser-Saronni, fino al più recente Basso-Simoni. D’altronde, e vale pure oggi, per vedere il ciclismo non bisogna pagare nessun biglietto, basta sedersi a bordo strada e aspettare.

La Società Ginnastica Pro Vercelli, che in breve tempo divenne una polisportiva, colse l’occasione al volo, e fondò la sua Sezione ciclistica che purtroppo non sappiamo fino a quando durò. In attesa di fare luce, ipotizziamo che si sciolse spontaneamente, anche perché nel frattempo a Vercelli gli eroi dello sport vestivano le maglie del calcio, della ginnastica e della scherma, le discipline che hanno dato lustro alla città nel primo scorcio di secolo. Più avanti sarebbero arrivate l’atletica con Berruti, l’hockey con l’Amatori e il tiro a volo con Pellielo, ma questa è un’altra storia.

Tornando alla Sezione ciclistica, leggiamo che in primo luogo i soci per vestire i colori della Pro Vercelli dovevano essere regolarmente iscritti alla Società. Gli articoli dello statuto erano diciotto in tutto. I primi tredici erano pura formalità, si parlava di divisione dei compiti, di assemblee, di gerarchie. Quelli prettamente sportivi erano tre. A partire dal quattordici in cui si diceva che le marce, cioè le corse, erano indette dalla Direzione della Sezione o da almeno dieci soci.

Il quindici entra più nel merito della giurisdizione sportiva: «I partecipanti alle gare devono massimo rispetto ed obbedienza assoluta al Direttore di marcia o a chi lo rappresenta; e questi può prendere quei provvedimenti disciplinari immediati, che ravvisi opportuni, salvo a riferirne al Consiglio d’Amministrazione della Società per mezzo del Direttore di Sezione».

Nel sedicesimo articolo viene riconosciuta nell’Audax Italiano l’istituzione che procura maggior incremento al ciclismo. I Soci che avranno ottenuto il titolo di Audax beneficeranno di uno sconto di metà della quota da pagare per iscriversi. L’Audax è viva ancora oggi e nel pieno spirito degli esordi si rivolge esclusivamente ai randonneur, coloro i quali affrontano percorsi di oltre 200 km. Una curiosità: tali specialisti nel Regno Unito sono chiamati proprio audax.

Come detto la sezione ciclismo non ebbe la fortuna di proseguire la sua avventura, tuttavia a Vercelli la passione per questo sport non è mai venuta meno, sebbene il nostro territorio non abbia poi sfornato campioni al pari di quelli del calcio, della scherma, della pallavolo, del basket o della ginnastica. La volontà di misurarsi con gli avversari sui pedali però è sempre sopravvissuta e a testimoniarlo ci sono le tante gare a circuito che si disputano anche oggi, soprattutto nei paesi limitrofi.

Una dei tempi che furono è rimasta epica, almeno nei racconti di chi frequentava e viveva la Vercelli che fu. Ebbe luogo in centro su un circuito che prevedeva piazza Cavour, via Verdi, via Monte di Pietà e via Ferraris da ripetere quattro volte. Partenza e arrivo davanti al Bar d’Italia. A giocarsi la vittoria Guido Calza e il barbiere Pietropoli.

Era una gara nata da una scommessa, quindi non ufficiale, utile però a capire quanto il ciclismo fosse amato, anche fuori dall’autentica pratica sportiva. Divertente anche l’epilogo che vide vincitore Pietropoli, ma solo perché con una mossa astuta e scorretta, si nascose dietro a una porticina, balzando fuori solo all’ultimo giro, non prima ovviamente di aver staccato Calza per scomparire dalla sua vista.

La storia del ciclismo vercellese, se un giorno sarà scritta, dovrebbe includere anche questo episodio. Come dovrebbe approfondire le vicende della Sezione nata nel 1908 da una costola della Pro Vercelli. Risalire ai nomi di chi partecipò alle corse e come si comportò, quali furono queste corse, come la gente accolse il fenomeno, per quale motivo l’avventura non proseguì, è compito arduo. In sintesi tante domande, poche risposte. Speriamo che in uno futuro non lontano gli elementi per un racconto più completo vengano a galla, perché in fondo il romanzo del ciclismo è il romanzo della vita.

Massimiliano Muraro

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