La guerra al virus e la fondamentale battaglia per la libertà

 

A quasi 50 giorni di chiusura totale, reclusione per dirla tutta, a cui gli italiani sono stati costretti, ficcati ai domiciliari nelle loro abitazioni a colpi di decreti del Presidente – annunciati nottetempo, in tv e su Facebook -, amputati nei diritti costituzionali, senza le libertà garantite che davamo per scontate, ancora oggi non esiste un piano unitario e coerente per programmare le riaperture. Manca una strategia attuabile per ricostruire dalle macerie ciò che resta della nostra realtà quotidiana e del nostro Paese.

 

Viviamo in una inaccettabile sospensione, appesi a decisioni contrastate e spesso poco concrete, in balia di dati sempre più accavallati. Siamo stati abituati a sentirci dire che abbiamo tanti, tantissimi morti. Tante persone che se ne sono andate, dolorosamente, ma quante di preciso per questo maledetto coronavirus, o con il coronavirus come concausa o semplicemente positivi al coronavirus ma colpiti da altre patologie, non lo sappiamo. Lo stesso capo della protezione civile nazionale, Borrelli, ha più volte precisato nei suoi quotidiani e nefasti bollettini che “Noi conteggiamo tutti i morti senza distinzione tra i deceduti per o con Coronavirus”. Alla faccia della chiarezza.

E in questa continua sospensione delle nostre vite guardiamo il numero di contagiati in attesa che la maledetta curva si azzeri, su numeri che, anche in questo caso, non si sa se siano di oggi, di ieri, o derivino da dati riportati di una settimana prima. Numeri, però, che fanno la differenza, perché su di essi (o con essi presi a giustificazione, e c’è una grande differenza) si articolano decisioni che incidono sulla nostra vita come il bisturi sulla carne. Decisioni che poi, alla fine, sono sempre e comunque la stessa: cittadini a casa, in reclusione, colpevolizzati fino all’inverosimile per la diffusione del contagio tanto da essere puniti, se possibile, dall’esercito, dai droni, dagli elicotteri, dalle forze dell’ordine, con multe fino a 1300 euro se presi a circolare a più di 200 metri da casa. Il tutto nell’apatia e, anzi, con il consenso delle moderne vedette da balcone, il cui pensiero sterilizzato dal martellare del messaggio “stai a casa sennò il colpevole sei tu”, produce l’effetto “dagli, dagli all’untore!” (per chi avesse un minimo di reminiscenza: Promessi Sposi capitolo 34) nell’attesa che il reo venga punito, il più celermente possibile.

 

Di cosa avremmo bisogno? Di un futuro, di uno spiraglio da agguantare e far diventare un portone, di una prospettiva da raccontare ai nostri figli, reclusi, che ci guardano con occhi così e sono famelici di progetti e di domani. E noi invece, dobbiamo forzarci con loro nel raccontare dell’oggi che appare vuoto, o colmo di numeri che s’intrecciano e decisioni sempre meno incisive, pasticciate, prese e poi rimodulate, senza linee guida, senza respiro e strategia.

 

Dopo due mesi di questa tragedia, che forse non si poteva evitare ma che si poteva senza dubbio affrontare in modo più preparato ed efficace, mancano ancora i tamponi (non siamo ancora in grado di programmare una strategia di massa per i test giusto per sapere chi è ammalato!). In alcune regioni, tipo il Piemonte, alcuni dei test fatti sono anche andati perduti, così come le mail dei medici di base che segnalano casi di possibili positività in attesa di un intervento per la quarantena.

Si fanno annunci sulla distribuzione delle mascherine, ma sono poi i privati, come l’angelo del vercellese, il Lupo Bianco Carlo Olmo che con il suo grande cuore ha dimostrato che cosa sia la vera solidarietà, a portarle davvero alla gente e pagandole di tasca propria, andando nelle città che implorano di essere aiutate, negli ospedali e addirittura nelle altre regioni.

In Italia, nella nostra Italia, ancora oggi non è stato attuato un programma serio per la realizzazione di un centro Covid per ogni regione, un luogo in cui concentrare i malati e i contagiati, per sgravare gli ospedali generalisti da costoro e permettere cure sicure agli altri malati. E poi, con una incompetenza che lascia basiti, per una malattia che colpisce in modo durissimo sui decessi soprattutto gli anziani, si sono lasciate scoperte e indifese, senza controllo, le Rsa, aprendo la strada al dramma di cui abbiamo letto.

Però, milioni e milioni sono stati e saranno spesi per molti altri nobili scopi. Ad esempio, per fare un appalto per controllare i cittadini in modo stringente per oggi e per il futuro (decisione figlia e naturale evoluzione della strategia di stampo cinese “recludiamoli in casa”) tramite la famigerata app da scaricare in modo “volontario” sul cellulare (si chiamerà “immuni” e potrà avvertire se, nella tanto favoleggiata fase 2, di fianco a noi in un dato momento della nostra vita fuori casa si possa trovare un contagiato. E poi che faremo, vien da pensare, lo tratteremo come un appestato? Ci scanseremo osservandolo in attesa di svicolare? Andrà denunciato? Arriveranno dal cielo le forze speciali per spedire nuovamente in quarantena noi e lui?).

E altri milioni sono andati per fare controlli ai cittadini con i droni, per mandare l’esercito in strada a stanare coloro che non si debbono spostare da casa, e anche per far pattugliare coste, spiagge, montagne e pianure dagli elicotteri, sempre a caccia dei soliti cittadini che non debbono provare a muoversi. Ma perché questi stessi milioni non sono stati utilizzati per realizzare per tempo gli ospedali o le strutture esclusivamente solo covid di cui sopra? Almeno una o due (nel caso di regioni più colpite) in ogni realtà, tanto per iniziare? Ospedali che possono accogliere i malati propri o di regioni vicine in caso di necessità. Sapete quanto ci ha messo l’esercito italiano a realizzare una struttura destinata ai soli malati covid all’interno di un capannone non utilizzato ex Fiat Ogr a Torino? Undici giorni. Undici giorni!! E sono passati quasi due mesi prima che lo si facesse!!

Perché gli stessi milioni non sono stati utilizzati per tempo a realizzare o ridestinare una serie di laboratori di analisi per ogni provincia (abbiamo 107 province in Italia) da destinare solo alle analisi dei tamponi? Mancano i reagenti? Ma è possibile che un Governo che si dica tale non sia in grado di acquistare in tutto il mondo i reagenti necessari alla propria popolazione, quegli stessi reagenti che altre nazioni utilizzano senza problemi?

E perché non si è data importanza, se non tardiva, alla diffusone dei test sierologici finali per testare l’immunizzazione e la possibilità delle persone che hanno superato la malattia di tornare a vivere lasciando la reclusione?

Perché da noi la strategia più chiara: separazione dei malati covid in strutture dedicate, tamponi di massa, cure domiciliari, con il preziosissimo implemento di medici territoriali, test sierologici finali per l’immunizzazione, creazione di punti di riferimento regionali per i covid per l’oggi e per il futuro, non è mai stata presa in considerazione su scala nazionale?

Perché non si è mai data fiducia agli italiani, non li si è responsabilizzati invece di agire di repressione, rinchiudendoli a vivere solo nell’attesa, quando la stragrande maggioranza delle altre nazioni con strategie e azioni mirate anche sulla responsabilità dei singoli, hanno dimostrato di sapersi tirare fuori da questo dramma? La strada tracciata da alcune regioni e alcune nazioni c’è, insomma. E invece continuiamo con la politica della reclusione dura senza distinzioni, benché il contagio non abbia colpito allo stesso modo in tutto il Paese.

 

Siamo in balia delle task force e delle unità di crisi, e poi della task force della task force, del piano 1 e della strategia 2 o di quella 3, con gruppi che fino ad oggi all’atto pratico hanno prodotto più che altro il lockdown più duro d’Europa il quale ha avuto come riflesso il numero di vittime più alto del continente. I gruppi di esperti, i tavoli, le task force, entità fascinose nel bisogno che abbiamo che qualcuno tracci per noi una via oltre il buio in cui brancoliamo, sono in realtà una sorta di termometro del fallimento decisionale della politica: si chiamano altri nella speranza, ipocrita, che costoro possano prendere quelle decisioni che i politici non sono in grado di prendere.

In Italia, nella nostra Italia, la più grande emergenza sanitaria (visti i malati e i morti) e strutturale (la mancanza di strutture ospedaliere adeguate a causa di una gestione politica di esse negli anni scriteriata) come è stata affrontata? Come una emergenza sociale che ha comportato la privazione delle libertà, la creazione per decreto di uno “stato di polizia tipo Cina”, la cancellazione di quei rapporti tra persone che sono il cuore della nostra socialità, la creazione di un sistema punitivo oppressivo per qualsiasi trasgressione.

Non è possibile stare fermi e zitti di fronte a questo. La nostra storia, i nostri nonni che si sono battuti per la nostra libertà e che purtroppo oggi sono i primi a morire con i loro ricordi e le loro lezioni sul mondo che ci ha preceduti, ci impongono di riflettere sulla condizione attuale. Oltre al virus carogna di cui sappiamo, fronteggiato con coraggio da medici, infermieri e scienziati, dobbiamo renderci conto che ci troviamo a fare in conti con il virus dell’incompetenza e della saccenza che ha fatto brandelli della nostra società e della nostra nazione. E se la medicina e la scienza prima o poi troveranno l’arma per sconfiggere il coronavirus, il virus dell’incompetenza e della prevaricazione lo dobbiamo sconfiggere noi, con il nostro pensiero, con le nostre domande, mai dimenticando la nostra storia e con il coraggio di difendere il diritto alla libertà. Altrimenti l’Italia, immunizzata e affrancata dal coronavirus, purtroppo avrà comunque perso. Perché la libertà e i diritti hanno questa essenza contradditoria e meravigliosa: sono pilastri irrinunciabili di una società evoluta, principi granitici nella teoria o se vissuti come ideale, ma sono anche fragilissimi e impalpabili quando li si possiede. Fondamentali come la polvere sulle ali di una farfalla per volare alti, ma una volta spazzati via, come accaduto a noi a colpi di decreto nell’indolenza imperdonabile del Parlamento, difficilissimi da riconquistare.

 

Luca Avenati

 

 

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3 Commenti

  1. Quindi, caro Luca Avenati, Lei aveva la soluzione fin dal principio e soprattutto Lei è in grado di distinguere perfettamente tra il diritto alla cura, il diritto alla vita, il diritto alla libertà di camminare, il diritto di poter infettare liberamente chi si vuole?

    Quindi lei ha in mente l’evoluzione dei lockdown dei vari stati e tutti i dati (che sono davvero poco affidabili ad oggi) che dimostrino inequivocabilmente che era facile affrontare il problema ed è ancora più facile gestirlo ora?

    Non ho letto una proposta, solo critiche: facile così, decisamente troppo.
    I giornalisti dovrebbero solo dare le notizie, asettiche, numeri e fatti. Quando invece esprimete opinioni dovreste farlo al bar con gli amici.

    Governo e Opposizione stanno provando, mio malgrado non immenso successo, a gestire la crisi. Lasciassero da parte il chi ha sbagliato per prima sarebbe l’inizio di un successo non solo contro il Covid, e così dovremmo fare tutti: smetterla di essere tutti i CT della nazionale di calcio ogni volta!

    • Buongiorno, accetto la critica, ci mancherebbe, e rispetto le opinioni di tutti.
      Le faccio rilevare solo una cosa, il nostro ruolo non è solo quello di dare notizie in modo “asettico con numeri e fatti”, non siamo solo dei meri trascrittori di bollettini. Diciamo che è anche quello in certi casi. Ma è anche quello di porre domande, di porre questioni, di stimolare la discussione e il ragionamento, se possibile. Sono convinto che provare a ragionare su quello che ci accade sia utile per dare ulteriori strumenti di comprensione a chi ha la bontà di leggermi.
      Infine, un’ultima cosa: io non ho ovviamente a mente tutti i numeri di tutti gli altri Stati, mi limito a rilevare quanto è stato scritto da altri colleghi in altre testate e giornali, online e non, sull’evoluzione della malattia in altre nazioni. È un dato di fatto che altre nazioni, ad esempio la Germania o le regioni dell’est Europa, abbiano adottato politiche diverse e stiano ripartendo con una velocità diversa dalla nostra. Può dunque solo essere imputabile al fato sfavorevole che da noi il virus abbia colpito in modo così massiccio e drammatico, oppure ci sono state falle nel sistema applicato? Si è veramente fatto tutto ciò che si poteva fare? Possono i diritti etici e politici fondamentali delle persone essere abdicati a favore della salute fisica e se sì qual è il limite oltre il quale, se esiste, non è giusto andare? Sono queste le domande che ho cercato di porre, anche per il rispetto di coloro che ci hanno dolorosamente lasciato oggi e di coloro che, nostri padri e nostri nonni, ci lasciarono tento tempo fa il dono più prezioso: la libertà.
      Le auguro una buona giornata e, se vorrà, continui a seguirci.

      Luca Avenati

  2. Ringrazio l’ autore e la testata per aver finalmente trattato e ospitato questo argomento.
    Come tanti, concordo con quanto espresso, accettando e condividendo la necessità di distanziamento sociale, ma non con questi estremi e questa durata. Lo ritengo indegno, peraltro siamo l’ unico Paese occidentale ad averlo attuato in questo modo.
    Inoltre, mi sembra grave che decisioni così vessatorie vengono prese sulla base di indicazioni di un Comitato Scientifico, che però non vengono né pubblicate né spiegate! Chi verifica?
    Se è possibile, vorrei citare questa riflessione dello storico e filosofo israeliano Harari
    https://www.ft.com/content/19d90308-6858-11ea-a3c9-1fe6fedcca75
    Se lo riterrete opportuno, potranno esserci altre considerazioni da sviluppare.
    Vi ringrazio per l’ importante servizio che svolgete
    Cordialmente
    marco mancini

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