Il tour di Mario Calabresi verso Nembro sulle strade del riso

Da Torino a Nembro, quasi 290 km da percorrere in tre giorni. Mezzo di trasporto scelto: la bicicletta. È ciò che sta facendo in questi giorni Mario Calabresi che ieri, lunedì, ha fatto tappa a Vercelli da dove oggi è ripartito alla volta di Milano (sosta intermedia a Novara). Il suo viaggio si concluderà nel paese simbolo alle porte della Val Seriana, tra i più colpiti dal Covid-19.

Mario Calabresi non ha certo bisogno di presentazioni. Conoscendolo si comprende del perché è diventato un grande giornalista. La risposta è semplice: curiosità. «È il motore dell’esistenza, il radar che ci fa captare i colori e la chiave per aprire le relazioni con gli altri esseri umani. La curiosità è la migliore vaccinazione contro il pessimismo, l’accidia e la noia, le malattie più pericolose del nostro tempo. E poi i curiosi non sono mai soli, vivono tante vite, molte più di quelle che la natura aveva riservato», racconta Calabresi sul suo sito Altre Storie.

La stessa curiosità che serve per seguire e raccontare l’elezione di Obama a presidente e per diventare direttore de La Stampa e di Repubblica; per chiedere come funziona la coltivazione del riso oppure perché la residenza di Cavour è diroccata oppure ancora cosa è una garzaia. Le grandi e le piccole cose che si intrecciano in un’unico filo che è poi l’unico da seguire: la voglia di conoscere e di capire.

Come mai Calabresi ha scoperto la bicicletta a cinquant’anni? Semplice, lui, come tanti, è stato contagiato dall’impresa di Jovanotti che nella serie andata in onda su RaiPlay, Non voglio cambiare pianeta, ha raccontato con passione ed entusiasmo la sua esperienza di “randagio” delle due ruote tra Cile e Argentina. Una dimostrazione di come il viaggio si vive meglio se fatto lentamente.

Se Lorenzo Cherubini è stata la molla, il passo successivo è stato riflettere sulle potenzialità stesse della bicicletta, che si stanno manifestando palesemente in questo periodo post lockdown. La rincorsa per ottenere il bonus è un segno tangibile. «Le vendite sono in aumento e pure le vacanze estive potrebbero essere all’insegna delle due ruote – ci ha spiegato Calabresi – È presto per dire se ci troviamo di fronte a un cambio culturale ma sicuramente il ritorno alla sperata normalità ha bisogno di una nuova consapevolezza e di una riflessione sul come gestiamo il nostro tempo. In questo la bicicletta può essere il cardine per un futuro più vivibile».

Mario Calabresi non è solo nella sua avventura. Si è portato dietro il fratello Paolo, ciclista da oltre 10.000 km all’anno, Francesco Franchi, designer e giornalista di Repubblica (lui 8.000 km annui), Giovanni Capra, socio della Stazione delle Biciclette a Milano, Valerio Montieri, architetto che progetta le piste ciclabili, Michele Cremonesi, tra i fondatori di AIDA, la ciclovia che parte da Moncenisio ed arriva fino a Trieste, voluta da FIAB onlus (ne avevamo parlato qui).

Lunedì il gruppo è partito da Torino e dopo aver costeggiato il canale Cavour è entrato in territorio vercellese. Il primo stop a Leri Cavour, piccolo borgo abbandonato dove la famiglia di Camillo Benso possedeva terreni e la residenza agricola. Ad accoglierli Roberto Amadè e Marianna Fusilli, marito e moglie che da due anni con la loro associazione lavorano per recuperare la tenuta, da tempo preda dei vandali e della vegetazione, quella che «piano piano si riprende le case».

Calabresi, ascoltando le vicende di Leri dalla voce di Marianna e di Roberto, è rimasto colpito dal luogo che ha visto passare chi ha scritto la Storia d’Italia: oltre ovviamente a Cavour ci sono stati Giuseppe Verdi e altri personaggi di spicco dell’epoca. È rimasto colpito anche dallo stato in cui quel luogo versa, tanto da parlarne diffusamente la sera stessa con Massimo Gramellini, ospite di una diretta FB sul canale Altre Storie.

La seconda fermata è stata la Tenuta Colombara della famiglia Rondolino, famosa per la produzione del Riso Acquerello. Lì, in una rustica tavolata all’interno di quella che era la stalla, i ciclisti si sono rifocillati a suon di sushi vercellese e dell’immancabile panissa. A fare da mattatore Mario Donato, l’uomo che ha pensato, voluto e realizzato il museo della risaia (leggi qui).

Mario ha ricostruito alla perfezione tutti gli ambienti: il dormitorio delle mondine, le stanze dove vivevano i fattori, la scuola, l’officina del fabbro, la bottega del sellaio. Un museo che bisogna per forza vedere con lui come cicerone. Mario Donato infatti lì ci è nato e ci è vissuto. Si ricorda tutti i volti e tutto ciò che è successo in quel “piccolo mondo antico”. Merito certo di una memoria fotografica, ma anche di un grande amore per la vita e per la terra. «Qui ci chiedono di fare i matrimoni, ma noi diciamo di no. Questo è un posto dove si lavora e il lavoro è sacro».

Ricaricati corpo e mente, la comitiva è ripartita per Vercelli, non prima di aver fatto le foto di rito davanti all’abbazia di Lucedio, una delle grange da cui è nata la coltivazione del riso. Poi Ronsecco, Lignana e finalmente Vercelli. Qualche goccia di pioggia presa lungo il tragitto. Giusto il tempo di posare le biciclette e in città si è scatenato il finimondo. Ma i ciclisti, fortuna loro, erano già sotto la doccia calda. Io invece l’ho presa tutta.

Massimiliano Muraro

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