Come la Madame Verdurin della Recherche di Proust, anch’io mi sono creato una “piccola tribù”, non nel mio salotto, ad ascoltare giovani e raffinati pianisti emergenti, ma su Facebook. La mia “tribù” non interviene sulle Sonate di Vinteuil, ma, più prosaicamente, sulle “tampe” che ogni sera si registrano nel gioco a quiz televisivo “L’Eredità”, condotto fa Fabrizio Frizzi.
Lo scadimento generale dell’Italia – nonostante la crescente diffusione di Internet e dei social, o forse proprio per questo – ha prodotto, com’era ovvio, anche un vero e proprio tracollo della cultura generale dell’italiano medio. Poco meno di cinquant’anni fa, i campioni di “Rischiatutto” non solo erano ferrati nella loro materia, ma sapevano di cronaca, di storia, di letteratura, di cinema. Insomma, era quasi impossibile coglierli impreparati, qualunque fossero la materia o la domanda.
Oggi, nella trasmissione di Frizzi, hai a che fare con gente, quasi sempre laureata, che colloca il Monte Bianco in Sardegna, Hitler negli Anni Settanta e che, questa è freschissima, ritiene che Alessandro Magno sia stato un condottiero romano.
Non appena qualcuno di questi fenomeni snocciola qualche perla siffatta (e ogni sera è un florilegio): io mi precipito a segnarla su Facebook, e la “piccola tribù” commenta, ironizza, tuona. Ma sempre più spesso qualcuno – non solo su Facebook, ormai, ma anche per strada, al bar, al cinema – mi domanda: “Perché continui a vedere questa robaccia?”. A tutti rispondo che considero questa trasmissione una fantastica cartina di tornasole sull’Italia di oggi: pressapochista, ignorante, scevra da quel minimo sentimento di vergogna che dovrebbe suggerire a ciascuno di noi di non andare a cimentarsi con figure barbine davanti a milioni di persone.
E’ l’Italia che, ad esempio, sui social diffonde le fake news automaticamente, grondando di indignazione e di giustizialismo. Quella che si indigna per il fratello, la sorella, la nipote, il cugino, il nonno della Boldrini che, assunti alla Camera, guadagnano 35 mila euro al mese. E se gli fai notare che è una puttanata, ti rispondono, serafici: “Grazie, ma potrebbe anche essere vero”. Sì, come la Guerra dei Sei Giorni che, cronologicamente, precede quella dei Cent’anni e dei Trent’anni. Questa, purtroppo, l’ha detta un giornalista. Vado a buttarmi dalla Rupe Tarpea (prima che qualcuno, da Frizzi, dica Rupe Tropea).
ENRICO DE MARIA