Vestiti, ed esci a vedere: “The Silent Man”

 

THE SILENT MAN (Cinema Italia Vercelli)

Giornalista investigativo, scrittore, ma anche inviato di guerra, pittore, produttore, sceneggiatore e finalmente regista, lo statunitense Peter Landesman aveva diretto, prima di questo “The silent man”, che si annuncia davvero eccellente, due film notevoli – ma misconosciuti – legati alla cronaca e alla storia: in “Zona d’ombra”, interpretato da un fantastico Will Smith, aveva raccontato la battaglia del neuropatologo statunitense di origine nigeriana Bennet Omalu per far riconoscere come causa della Cte (encefalopatia cronica traumatica) durissimi colpi alla testa che si scambiano durante le partite di football americano gli atleti. “Parkland” (dal nome dell’ospedale di Dallas dove fu ricoverato l’ormai morente Presidente Kennedy dopo l’attentato) è invece un acuto ritratti di ciò che accade dopo i colpi mortali esplosi da Oswald.

Anche  stavolta Landesman si tuffa nella storia degli intrighi d’America raccontando la vicenda della famosa “gola profonda” che aiutò il Washington Post a spingere Nixon verso le dimissioni a seguito dello scandalo del Watergate. I giornalisti Bob Woodward e Carl Bernstein non rivelarono mai chi fosse “gola profonda”, ma nel 2005, con un’intervista a Vanity Fair, fu proprio l’interessato e rivelarsi: si trattava nientemeno che del vice direttore dell’Fbi Mark Felt. Il film di Landesman racconta “perché” Felt scelse di appoggiare la battaglia del giornale che portò alla clamorosa scelta di Nixon di dimettersi. Liam Neeson è un protagonista semplicemente grandioso.

LA RECENSIONE FLASH

UN SOGNO CHIAMATO FLORIDA. Quando il cinema è solo cinema. Grande cinema. Sugli  schermi cittadini è approdato, chissà come, chissà perché (ma qui c’è lo zampino di un vero intenditore qual è Flavio Ardissone, che ora potrebbero regalarci anche “Tre manifesti a Ebbing,  Missouri”) “Un sogno chiamato Florida”, diretto dal regista americano “indipendente” Sean Baker, uno che, per capirci, aveva già girato una film (“Tangerine”) usando esclusivamente lo smartphone. Qui non si è ripetuto (tranne che nella fantastica scena finale), ma le innovazioni, la fantasia, la fotografia iperrealista sono in tutto questo vero capolavoro. Si parla di una piccola banda di bambini che cerca di far passare, tra gare di sputi e birichinate, anche pericolose, le lunghe giornate estive nella Florida che sfiora soltanto Disneyland – avendola a un tiro di schioppo – ma che vive da assurda e grossolana dependance del mondo dei sogni.

I bravissimi bambini che interpretato l’opera di Baker hanno a loro volta sogni, che però si infrangono contro la dura realtà delle madri (spesso ragazze madri e pregiudicante che si fanno in continuazione) che in qualche modo devono sbarcare il lunario. Tante le scene indimenticabili  soprattutto la fuga finale, taumaturgica, verso Disneyland, preceduta da un pianto strappacuore sella seienne Monee, capace di commuovere anche un Trump.  E poi, un portentoso Willem Defoe, l’unico attore non ingaggiato via Instagram, candidato all’Oscar. Gustatevi la scena in cui – manager del grottesco motel pomposamente chiamato Magic Castle – egli calma l’ira e lo scoramento degli inquilini senza luce, semplicemente riattivando un interruttore. Esce dallo scantinato accolto come un eroe e la cinepresa lo ritrae dal basso collocandolo con la testa a ridosso delle nubi, come un dio greco.

Per noi: 9,5

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