Come aveva promesso, dopo la sospirata “archiviazione” della sua allucinante vicenda decisa il 4 marzo scorso dal Gup di Cagliari Michele Contini, Marco Quaglia è ritornato nella “sua” Sardegna sia per avviare una nuova attività professionale (prima era imprenditore edile) sia per presentare anche nel luogo dove tutto ebbe inizio il suo libro-denuncia “Mi riprendo la vita”. Lo ha fatto con un successo incredibile di partecipazione del pubblico (come del resto avvenne alla primissima presentazione al Giardinetto di Vercelli il 14 giugno) e, ad esempio è accaduto ad Oristano, con il patrocinio di alcune amministrazioni comunali, che hanno sposato in pieno la sua storia.
Adesso, Quaglia è tornato per qualche settimana a Vercelli per trascorrere le feste di fine anno con la mamma. Ed è appunto in casa della madre che lo incontriamo.

Prima il servizio-bomba delle Iene, poi le seguitissime presentazioni del libro. Gli italiani stanno incominciando a conoscere una storia allucinante. E’ soddisfatto?
”Sì, ma non completamente. L’archiviazione del 4 marzo è stata un momento importantissimo, che ha di fatto aperto la strada al servizio delle Iene e alla pubblicazione dei libro. Ma nove anni di terribili e assurde sofferenze, con un tentativo di suicidio fallito casualmente, e oggi dico pr fortuna, per merito dell’intuizione di una dipendente di albergo, non possono venire cancellati con un colpo di spugna. Vero che alcuni avvocati amici ci tengo a sottolineare che l’archiviazione ha un peso addirittura superiore alla sentenza, perché i magistrati hanno ravvisato che le accuse erano talmente infondate da non dover nemmeno rendere necessario un processo. Ma quei nove anni di tortura nessuno me li riconsegnerà: chi mi ha infangato ingiustamente deve pagare. Esplorerò tutte le strade legali necessarie per ottenere giustizia. Nel libro ho scritto tanto, ma non tutto, e proseguo la mia battaglia su Facebook, dove ho scoperto di avere centinaia, migliaia di persone che mi vogliono bene”.

La Sardegna, in questo momento l’ha riaccolta a braccia aperte. Ma anche i vercellesi le sono stati vicini.
”Sì e li devo ringraziare di vero cuore, amo la mia città e, in questi anni mi sono sentito protetto e amato. E penso che non fosse facile schierarsi totalmente dalla mia parte perché le accuse nei miei confronti non solo erano pensanti, ma infamanti. Eppure i vercellesi hanno capito, senza avanzare il solito dubbio: se quello è indagato, avrà pur fatto qualcosa. No mi hanno creduto fin dalla prima riga che ho scritto su Facebook, e adesso che finalmente la giustizia ha messo la parola fine, hanno capito di avere riposto bene la loro fiducia in me, nelle mie parole. Ed io vorrei ringraziarli ad uno ad uno. Detto ciò, questo affetto smisurato di Vercelli e della Sardegna mi scalda il cuore, mi rende felice, ma non può bastarmi. Chi ha rovinato la mia vita ha commesso un reato e deve scontare la pena. Io non mi fermo”.
Dopo le feste di fine anno tornerà in Sardegna?
”Assolutamente sì. E’ una terra che amavo e che amo, dove ho vissuto anni di incredibile felicità prima che due persone che credevo amiche mi cacciassero in un incubo che sembrava interminabile. Gli avvocati che mi spiegano l’importanza dell’archiviazione hanno ragione, ma di solito uno o più pm impiegano qualche settimana, qualche mese per arrivare a questa decisione. Qui ci sono voluti nove anni e un mese. Non posso accettarlo, e, ripeto, andrò fino in fondo”.
Edm





