L’ultimo impacchettamento di Christo

Christo, The Floating Piers, 2016, Lago d'Iseo

«Il nucleo della poetica di Christo sta nell’ostacolare l’aspetto normale di qualcosa, al fine di assicurargli una novità percettiva». È con queste parole che nel 1984 Renato Barilli sintetizzava in modo esemplare l’arte di Christo, scomparso il 31 maggio scorso a New York all’eta di 84 anni. Ne avrebbe compiuti 85 il 13 giugno: era nato infatti nel 1935 a Gabrovo, piccolo centro della Bulgaria ai piedi dei Monti Balcani e sulle rive del fiume Jantra.

In patria ci rimase fino al 1956, anno in cui terminò gli studi all’Accademia di Belle Arti di Sofia. Poi il trasferimento a Praga, la fuga dal regime sovietico e, dopo alcune tappe intermedie, l’arrivo a Parigi. Lì l’incontro con Arman e Yves Klein con i quali parteciperà al Nouveau Réalisme, il movimento teorizzato da Pierre Restany all’inizio degli anni ’60 che proponeva un nuovo approccio percettivo al reale, attraverso l’appropriazione, considerando cioè di ispirazione l’intero universo urbano e tutto ciò che stimolasse l’esperienza artistica.

Il procedimento utilizzato da Christo, quello che è diventato in pratica il suo marchio di fabbrica, è stato l’impacchettamento, iniziato su oggetti di uso comune, come ad esempio una bottiglia o una sedia, e finito su monumenti rappresentativi di un’epocaquali la cupola del Reichstag a Berlino e la statua di Leonardo a Milano, ma anche sul paesaggio, mescolandosi in quest’ultimo caso agli interventi di Land Art.

Lo scopo è di evocare un sentimento di straniamento, facendo sì che l’oggetto o il monumento, di solito dati per scontati, assumano un nuovo significato. Non sono più visibili come lo erano prima, ma scompaiono alla vista. Essi vivono sotto il telo di plastica che li copre e torneranno a vivere una volta scoperti. Presto saranno di nuovo un’abitudine, ma intanto hanno svelato il lato effimero dell’arte che in questo caso è scaturita da un gesto eclatante quale l’impacchettamento.

Christo muta la percezione del paesaggio, arrivando a creare barriere artificiali anche su vie di solito molto frequentate. Pensiamo a tal proposito a ciò che ha fatto in Rue Visconti a Parigi nel 1962: uno sbarramento di taniche vuote che impediva il transito a chi voleva passare, oppure, nel 1971 l’impacchettamento della vallata del Gran Hogback in Colorado con un telo largo più di quattrocento metri. La realtà è in divenire, trasformarla è un atto politico.

Quando parliamo di Christo di solito pensiamo all’artista unico, sebbene ci sia da precisare che la maggior parte delle opere sono state create assieme a Jeanne-Claude Denat de Guillebon, donna incontrata a Parigi nel 1958 e poi sua compagna di vita. Siamo di fronte a un progetto artistico che mette in campo due personalità: Christo pensa e realizza le opere, mentre Jeanne-Claude ne cura l’organizzazione. Non dimentichiamoci infatti che per mettere in atto gli impacchettamenti su larga scala è necessario un apparato complesso che si spinge oltre l’aspetto puramente materiale della creazione (spesso sono autofinanziati dalla vendita di disegni, bozzetti e materiale serviti a raggiungere il risultato finale), fatto di figure con compiti specifici.

Così è stato per l’ultima memorabile installazione di Christo in Italia nel 2016 sul Lago d’Iseo: The Floating Piers. Si trattava di pontili galleggianti in nylon poliamnidico di colore giallo che cambiava tonalità a seconda della luce, larghi sedici metri che si sviluppavano per tre chilometri dalla terraferma a Monte Isola e al vicino isolotto di San Paolo (proprietà della famiglia Beretta, tra i principali finanziatori).

The Floating Piers è stato un autentico evento di costume, capace di calamitare nei quindici giorni della sua apertura qualcosa come un milione e mezzo di visitatori che si sono goduti questa passeggiata unica sulle acque del Lago d’Iseo. Ha sollevato pareri discordi: c’è chi l’ha definita l’ennesimo colpo di genio di Christo e chi l’ha condannata senza remore come semplice operazione di marketing.

Di sicuro ha fatto parlare di sé, come del resto tutte le opere di Christo, ma non è certo questo il paradigma della sua arte, casomai è un effetto. Innanzitutto esse dimostrano una continuità con i fenomeni precedenti. L’idea che sta alla base dell’impacchettamento si ispira all’Enigma di Isidore Ducasse di Man Ray che negli anni ’20 aveva ritratto un oggetto, coperto dalla tela di un sacco e legato con una corda, distruggendolo dopo averlo fotografato. Si tratta però di due registri diversi: se in quel caso la curiosità del pubblico era giustificata, poiché mai si saprà cosa il pacco conteneva, per Christo è diverso dato che conosciamo il contenuto (vedi ad esempio il Reichstag o la statua di Leonardo).

Il merito di Christo è aver allargato il campo di indagine dell’arte alla larga scala, coinvolgendo il tessuto urbano nella sua interezza. Opera una crasi tra Nouveau Réalisme e Land Art, fondando un nuovo linguaggio che sottolinea sì un sentimento di alienazione, ma ci obbliga anche a riflettere sulla natura transitoria dell’arte.

Vogliamo concludere questo ricordo di Christo con il giudizio che ne ha dato lo storico dell’arte cremonese Simone Biazzi: «Più che un artista, un rivelatore. Di cosa? Della difficoltà umana di vedere oltre le interpretazioni. In questo senso The Floating Piers del 2016 è stata emblematica: il Lago d’Iseo è stato visto e vissuto come mai prima. Una performance magistrale. La passerella è stata la tessera fondamentale di un puzzle artistico ben più ampio. Ne hanno fatto parte l’idea, il progetto, i permessi delle autorità, i dibattiti, i lavori per l’installazione della passerella, la folla che vi ha camminato sopra, gli articoli di giornale. E ora i ricordi. Un grande organismo, per certi versi ancora in vita».

Massimiliano Muraro

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