Fossale lascia il camice dopo 41 anni. Amarcord di medico e di assessore: dal primario Leonardi alle mostre Guggenheim

Fossale in una delle amate mostre Guggenheim (foto Greppi)

“Lascio dopo 41 di professione perché il Covid, che mi ha colpito pesantemente, mi ha portato a riflettere sul fatto di non sentirmi più ‘immortale’. Ce la stavo mettendo tutta, ma non avevo più le energie per continuare ad essere quel punto di riferimento che ho sempre cercato di rappresentare per i miei assistiti. E dunque ho deciso di anticipare di un paio d’anni il mio addio alla professione, una professione che ho amato fin da bambino, quando, alla tivù, guardavo ‘La Cittadella’, con Alberto Lupo che faceva il dottor Manson, oppure il dottor Kildare. Lì decisi che avrei fatto il medico e, grazie ai sacrifici di mamma Mariuccia e papà Arturo, lei casalinga lui lavoratore alla Chatillon, sono riuscito a coronare il mio sogno”.

Il dottor Pier Giorgio Fossale, medico di famiglia, con 1500 assistiti che lo adoravano,  ha deciso di smettere, prendendo questa decisione, non certo a cuor leggero, in pieno accordo con la moglie Carla. E’ stato, specie negli ultimi vent’anni, uno dei medici più conosciuti, stimati e benvoluti. Ma è stato anche tante altre cose per questa città: soprattutto, per un decennio, dal 2004 al 2014, un grande assessore alla Cultura, l’uomo che ha portato la Guggenheim a Vercelli e, di riflesso, Vercelli sotto i riflettori del mondo dell’arte a livello internazionale.

Anche stavolta, l’intervista rimuove la regola del “lei”: Fossale non solo è stato, per decenni, un mio caro amico, ma soprattutto il medico che ha seguito, con vero affetto (di cui gli sarò grato per sempre), mia mamma fino alla scomparsa, quattro anni fa.

Giorgio, perché hai scelto di fare il medico?

“Come ti ho premesso, perché sentivo che era quella la mia strada, fin da bambino: non avrei voluto fare nessun’altra cosa al mondo, e l’aiuto dei miei genitori è stato essenziale, hanno fatto tanto, tutto, per consentirmi di coronare il mio desiderio”.

Com’era il Fossale ragazzino?

“Un ragazzo che aveva tanti sogni ed una passione, mai sopita, per il calcio, sport che amavo, pur senza esservi particolarmente portato. Frequentavo l’oratorio del San Giuseppe e, prima sotto don Pio, poi con don Battista, giocavo da mediano-terzino. Ero un discreto picchiatore…”

Ed eri un tifoso della Juve…

“Sì, andai sui bianconeri attratto dalle figurine Panini e dai nomi dei campioni di allora: Sivori, Charles, Boniperti. Non potevo essere un campione, ma un tifoso sì. Ero al Comunale nel giorno del 14° scudetto, il 28 maggio 1972, quando battemmo il Lanerossi Vicenza per 2 a 0, con gol di Haller e Spinosi. E ricordo che, ingannato da un fischio dell’arbitro Monti, che aveva rilevato un corner, non la fine del match, fui tra coloro che invasero il campo. La parte del pubblico che aveva capito si mise a gridare: “Tutti fuori, tutti fuori”. E già la polizia si stava muovendo per farci sgombrare il campo; uscimmo tutti, poi, al triplice fischio giusto, ripiombammo in campo per andare a caccia di maglie: io, che ero in pole position, riuscii ad ottenere quella di Salvadore e mentre, incredulo, la stavo ammirando, fui letteralmente assaltato da altri tifosi e riuscii a conservarne solo qualche brandello”.

Con l’amico Dario Casalini alla prima Mostra Guggenheim (foto Greppi)

Lasciamo stare il calcio, anche perché il vostro scudetto successivo fu un vero trauma per noi milanisti, con la fatal Verona e tutto il resto, e torniamo agli studi. Perché scegliesti il Classico?

“Perché ero, come sono adesso, innamorato della letteratura, dei classici. Ho adorato Dostojevski, Stendhal, Flaubert, Herman Hesse, Thomas Mann…E ho un unico rimpianto: non essere ancora riuscito a leggere la Recherche, ma adesso potrò farlo. La letteratura è maestra di vita, anche nella mia professione: se ci pensi bene, nessuno ha mai descritto così magistralmente l’epilessia come Dostojevski nell’Idiota e certo accanimento di una parte deteriore, ma per fortuna minoritaria, della magistratura, vedi il caso Tortora, era già stato raccontato mirabilmente da Victor Hugo nei Miserabili”.

Il Liceo Classico, quindi Medicina a Torino e a Vercelli, infine la laurea nel 1980

“Sì, e poi subito il tirocinio in ospedale, in Medicina con il primario Giuseppe Leonardi e con l’amico Walter Giorcelli, con il quale, una settimana al mese, sono andato a Parma, per cinque anni di seguito, a seguire la scuola di specializzazione in medicina interna. Inoltre, la presidente dell’allora Usl, Lucia Pigino, mi aveva affidato l’incarico di occuparmi dell’ambulatorio che programmava la distribuzione del metadone, secondo le direttive del decreto Aniasi: più tardi sarebbe diventato il servizio Sert. Tra l’altro io ero stato fortunato, e anche obiettivamente bravo, nel servizio militare perché mi ero iscritto al corso per diventare Ufficiale medico negli elicotteristi. Feci tre mesi a Firenze e poi, essendomi classificato tra i primi dieci in graduatoria, ebbi la possibilità di scegliere dove fare gli altri dodici mesi di naja: optai ovviamente per Vercelli e quindi per le Aquile della Risaia del 46° Reparto “Sagittario”, che poi sarebbe diventato il 23° Eridano, all’aeroporto “Del Prete”: lì trovai il colonnello Guerrina e l’amico Francesco Morera. Nel frattempo avevo già incominciato a svolgere la professione di medico di famiglia, tra i miei primi mutuati, ovviamente, papà e mamma e una giovanissima Gianna Baucero, oggi assessore alle Politiche culturali del Comune”.

Davanti al Violinista Verde. Di Chagall con Cristina Canziani, Guido Rimonda, Uto Ugjhi e il sindaco Corsaro

Come e da chi sei stato instradato verso la tua carriera professionale?

“Devo dire grazie ad alcuni colleghi: innanzitutto al mio primo e straordinario primario, il dottor Leonardi, che mi ha insegnato tantissimo; poi al dottor Giuseppe Conti, che allora era il referente per i Medici di Famiglia dell’Usl, quindi a Franco Coppo che, per andare nel reparto di Neurologia del Sant’Andrea, che avrebbe poi diretto, lasciò il suo studio professionale, passandomi diversi assistiti; quindi grazie per i preziosi consigli agli amici Walter Giorcelli e Mauro Aguggia e, soprattutto al dottor Ezio Ballarè che mi ha davvero insegnato quotidianamente a seguire le regole  basilari di un medico di famiglia che voglia essere davvero vicino ai suoi assistiti: competenza, disponibilità e, soprattutto, empatia. Ovviamente, anche Ballarè mi ha poi passato molti dei suoi assistiti: ne aveva circa 4 mila. Sono contento dell’intitolazione dei giardini di piazza D’Angennes alla sua memoria e orgoglioso di aver scritto io la motivazione per il Gruppo “Sei di Vercelli se…”che ha portato alla scelta del Comune”.

Fossale con un altro grande vercellese, che purtroppo ci ha lasciati: il fondatore di Meeting Arte Mario Carrara (foto Greppi)

Dove hai aperto il primo ambulatorio?

“Nella casa in cui vivevo con i miei genitori prima di sposarmi, in via Giolito, dove la mia famiglia si era trasferita da Borgo Vercelli (io allora avevo otto anni); successivamente mi spostai in via Gioberti, all’angolo di via Foa, dove c’è il bar Break, e, dal 1987, mi sono stabilito nello studio di via Borgogna”.

Anno dopo anno, gli assistiti sono aumentati, fino a toccare il massimale di 1500 e, nel frattempo tu hai anche incominciato ad occupare un ruolo sempre più importante all’interno dell’Ordine dei medici,

“Sono entrato in Consiglio nel 1992, quando era presidente Luigi Binelli, e ho proseguito sotto la presidenza di Franco Carcò; poi, nel 2006 sono diventato presidente e ho mantenuto la carica fino al 2020, quando ha preso il mio posto l’amico Germano Giordano”.

Con la moglie Carla ed uno degli illustri visitatori delle Mostre Guggenheim, il cardinal Bertone (foto Greppi)

Come presidente dell’Ordine hai dato vita ad un’iniziativa annuale che ha dato prestigio alla città e che si è interrotta solo a causa del Covid: i convegni internazionali sulle Neuroscienze.

“E’ un’iniziativa cui sono molto legato e che gli attuali vertici dell’Ordine, da Germano Giordano all’amico Sergio Macciò, mi hanno assicurato di voler riprendere non appena questa pandemia finalmente cesserà o attenuerà la presa. Ricordo che, con la preziosa consulenza del filosofo Michele Di Francesco, abbiamo trattato i legami tra le le Neuroscienze ed i più svariati campi e discipline della vita e dell’attualità, portando a Vercelli scienziati del livello del portoghese Antonio Damasio o di Giacomo Rizzolatti, lo scopritore dei ‘neuroni specchio’. Puntualmente c’era il tutto esaurito alla Camera di commercio e nel salone del San Giuseppe per seguire relazioni affascinanti come quelle sui meccanismi cerebrali dell’innamoramento o sugli incredibili, futuri sviluppi dell’Intelligenza artificiale”.

Dai convegni sulle Neuroscienze alle iniziative del tuo assessorato alla Cultura il passo è breve, ed il cammino parallelo…Come diventasti assessore?

“Andrea Corsaro, che era appena stato eletto nel 2004 mi convocò per un incontro nello studio dell’avvocato Dario Casalini, straordinario amico e prezioso consigliere. Lì mi fu fatta la proposta e lì io chiesi l’assessorato alla Cultura e, una volta ottenuta la risposta positiva, mi guardai intorno cercando di imprimere subito una traccia non effimera del mio assessorato. Fui fortunato perché mi capitò immediatamente l’occasione legata al cofano del cardinale Guala Bicchieri…”

Ci vuoi ricordare come andò esattamente?

“Era un cofano da viaggio di valore inestimabile, il più bello dei tre scrigni che il fondatore della basilica di Sant’Andrea e padre della Magna Carta, si era fatto costruire dai maestri orafi di Limoges. Talmente prezioso e rappresentativo che, quando morì, vi fu sepolto dentro e murato in una nicchia della sua basilica. Dopo il ritrovamento, nel 1823, ad opera dell’architetto Arborio Mella ed il recupero, il cofano venne riportato al suo splendore originario e, dopo vicissitudini varie, venne acquistato dal Museo Civico di Torino per la cifra di 3 miliardi di lire. Prima che il Comune di Torino lo sistemasse nella sede definitiva, facendomi forte del fatto che originariamente ed idealmente quello splendore limosino dovesse a tutti gli effetti considerarsi vercellese,  mi feci avanti con l’allora sindaco di Torino Sergio Chiamparino, chiedendogli che la nostra città avesse il privilegio di ammirarlo in anteprima. Chiamparino mi conosceva perché, molti anni prima, quando il Pci decise di chiudere la Facoltà di Medicina a Vercelli, io fui tra coloro che andarono a protestare alla Festa dell’Unità dove lui era stato invitato a parlare. Ci ritrovammo, dunque, in ruoli ben diversi rispetto al passato, e lui, cortesissimo, mi fece conoscere quella straordinaria figura di assessore alla Cultura del suo Comune che era il compianto Fiorenzo Alfieri, purtroppo morto di Covid nel dicembre del 2020. Alfieri accolse la nostra proposta e mi concesse di esporre il cofano per alcuni giorni, proprio in concomitanza del Natale 2004 in Sant’Andrea, e poi fino al 31 maggio del 2005 al Museo del Tesoro del Duomo. Ricordo ancora l’arrivo con l’accoglienza trionfale dell’orchestra diretta dalla cara e prestigiosa figura di un altro caro amico scomparso, Franco Perone. Morale: il cassone Bicchieri fu ammirato da più di 9 mila persone e fu lì che ebbi la certezza che i grandi eventi culturali avrebbero rilanciato la nostra città. Dal cassone da viaggio del cardinale Bicchieri, grazie alla realizzazione dell’Arca scaturita dalla mente geniale dell’architetto Ferdinando Fagnola, nacquero le mostre Guggenheim, tanto criticate da una certa parte politica che non ne apprezzò mai la portata, nonostante fossero state avviate in stretto accordo con giunta regionale di sinistra. Una visione talmente miope da non accorgersi che il successo della prima delle sei Mostre, quella del 2007, che si intitolava “Penny Guggenheim e l’immaginario surreale”, ci consentì di finanziare il recupero delle straordinarie opere d’arte cancellate da secoli di intonaco nell’ex chiesa di San Marco: opera che sta tutt’ora proseguendo e che ha riportato alla luce affreschi di valore assoluto come l’Albero di Jesse recuperato nella navata destra. A proposito di miopia ricordo le critiche aprioristiche: ‘Qui, statene certi, arriveranno solo fondi di magazzino’. E invece arrivarono Chagall, Pollock, Mirò, Rothko, Kandinsky, Mondrian, De Chirico, Morandi, Burri, Modigliani, Fontana, Boccioni,etc. Il simbolo della prima edizione fu il meraviglioso “Violinista Verde” di Chagall sotto il quale andarono a suonare Uto Ughi e Guido Rimonda”.

Un altro illustre ospite degli eventi n Arca : Michelangelo Pistoletto

A proposito di Rimonda, non va dimenticata la tua grande valorizzazione della Camerata Ducale.

“La portò a Vercelli un lungimirante Gianni Mentigazzi ed io mi accorsi subito del valore internazionale di quella meravigliosa creatura voluta da Rimonda e dalla moglie Cristina Canziani e decisi quindi di valorizzarla come meritava, sapendo che questa operazione avrebbe dato valore alla città. Il Viotti Festival ha portato e sta portando a Vercelli i più importanti musicisti del mondo e la Ducale è diventata un’istituzione vercellese che va a suonare per il Presidente della Repubblica all’estero, che è spesso in Rai, che sta creando un entusiasmo mai visto da parte dei giovani verso la musica. Mi sono sempre battuto per far capire che la cultura non è mai un mero costo, ma sempre un investimento e sono felice dei risultati ottenuti e in larga parte riconosciuti”.

Al tavolo di uno dei convegni sulle Neuroscienze

Ti sei anche battuto strenuamente per la difesa della medicina vercellese, della classe medica, dell’ospedale. Lo posso testimoniare direttamente perché fosti tu a coinvolgermi nella battaglia, per fortuna vinta, come consiglieri comunali di minoranza, per il mantenimento dell’Emodinamica vercellese che qualcuno voleva scriteriatamente eliminare per un mero e tra l’altro sbagliato calcolo aritmetico. Ricordo la tua telefonata di allarme, una mattina dell’inverno 2014. Ne parlai subito con i colleghi dell’opposizione Stecco, Massa, Randazzo, Marino, Politi, Catricalà. Si aggregò subito Renata Torazzo…E partimmo lancia in resta contro quell’ipotesi distruttiva. 

“Ne parlai con te, avendo visto il famigerato asterisco accanto all’Emodinamica vercellese in un grafico sulle Cronache della Stampa di Torino, e ne parlai anche in chiesa, poco tempo dopo, invitato dall’arcivescovo a trattare i temi della Sanità come presidente dell’Ordine. Il Pd mi sparò addosso, ma avevamo ragione noi e riuscimmo a scongiurare quell’operazione insensata, che, se fosse andata in porto, avrebbe avuto conseguenze tremende, oggi, in pandemia”.

La pandemia appunto, quella che ti ha colpito direttamente e duramente. Rischiasti la vita e non trovasti nessun conforto immediato da parte di un settore diciamo così burocratico dell’Asl…

Fossale con due storiche dipendenti dell’Ordine: le signore Rita e Marisa

“E’ una storia dolorosa che preferisco non rinvangare. Vorrei invece parlare dei colleghi meravigliosi che mi salvarono la vita perché, ricordiamolo, era il 6 marzo 2020 e la gente in quei giorni moriva perché stavamo combattendo contro un Nemico sconosciuto e letale. Devo molto, se non tutto alla straordinaria primaria del Dea, Roberta Petrino, al fantastico Silvio Borré, il primario degli Infettivi che mi disse: ‘Sappiamo ancora poco di questa terribile malattia, e devo quindi trattarti con una cura che stiamo sperimentando in questo momento”. Conoscevo da anni Silvio anche perché era nel mio Consiglio dell’Ordine, e mi sono fidato ad occhi chiusi di lui. Gli devo gratitudine eterna. In quei giorni ho toccato con mano la professionalità, la competenza, l’abnegazione, ma anche la dolcezza, la famosa empatia, di medici, infermieri, ma anche di Oss, che andavano a prendermi il the, e che non volevano un centesimo. Ricordo il gesto di Germano Giordano, che quando incominciai a sentirmi un po’ meglio, andò a comprami un panino col salame e una Coca Cola. Me li gustai con un sollievo che non riesco nemmeno a descrivere. E poi quella telefonata di Carlo Olmo che mi fece piangere: gli avevo chiesto alcune mascherine per la mia famiglia, temevo di non vedere più il mio nipotino Gabriele che era appena nato. Il Lupo Bianco non ci pensò nemmeno un attimo ad esaudirmi; prima ci conoscevamo di vista, buongiorno e buonasera, adesso è uno degli amici più cari”.

Quarantun anni sintetizzati in quale decina di righe, quando ci sarebbe da scrivere un romanzo, ma adesso siamo alla domanda finale, che esige risposta: al di là del tuo ruolo di presidente della Atl, Vercelli potrà ancora avere uno come Fossale al suo servizio?

“Mai dire mai. Per intanto incomincio a dire che non smetto di fare il medico e che ci sono per tutti. Poi si vedrà. Ora incomincerò a leggere Proust, ma non mi addormenterò con il libro in mano, puoi starne certo”.

ENRICO DE MARIA 

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2 Commenti

  1. La figura umana del Dr. (majuscolo) Fossale non necessita di aggiungere altro al professionale escursus supraposto ed io non sarei certo la persona adatta al temerario compito .. ma non so resistere dal pronunciare la mia “Profezia” giornaliera: nel FUTURO chi dovesse leggere questa vecchia pagina muoverà un leggero “scarto”, un sussulto con brivido nel leggere un paio di nomi citati “con lode” nel testo .. nomi di persone che ora io non POSSO citare .. vivendo nell’ “OGGI” sarebbe prematuro e inutile.

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