C’era una volta la chiesa di Santa Maria del Carmine

La chiesa di Santa Maria del Carmine (immagine tratta da Vecchia Vercelli di Faccio, Chicco, Vola)

Sarebbe interessante intraprendere uno studio approfondito degli edifici vercellesi che non esistono più. In attesa che questo avvenga, segnaliamo che nel 1961 lo avevano fatto in maniera egregia, con piglio storico e aneddotico, Giulio Cesare Faccio, Giuseppe Chicco e Francesco Vola in Vecchia Vercelli e ancor prima, nel 1929, don Domenico Arnoldi con Vercelli vecchia e antica, senza contare il precedente contributo di Riccardo Orsenigo nel 1909 con la sua Vercelli sacra, dove le informazioni certo non mancano.

Ebbene, muovendosi in tale direzione ci si stupirebbe e non poco di quanti sacrifici siano stati compiuti in nome di quel presunto progresso che il più delle volte bada solo alla contingenza e che la storia cataloga spesso un po’ troppo frettolosamente come necessario, ma che nasconde nodi che tanto prima o poi vengono al pettine. Scheletri di un armadio che ogni tanto è bene aprire.

Tra i casi più celebri troviamo quello di Santa Maria Maggiore che fu demolita nel 1777. Sorgeva in parte dove ora c’è Palazzo Pasta, tra via Gioberti e via Duomo. Il poco che si riuscì a salvare, lacerti del mosaico pavimentale e il calco di gesso del portale, è ora conservato al Museo Leone. Ma l’ex basilica è in buona compagnia: di tutto il patrimonio perduto vorremmo qui soffermarci su Santa Maria del Carmine, chiesa carmelitana con annesso convento che fino a un secolo fa dominava il rione Füria.

Quest’ultimo fu raso al suolo in epoca fascista per lasciare spazio all’attuale impianto di piazza Zumaglini. È stato uno dei tanti sventramenti messi in atto dal regime per la sua tronfia auto-celebrazione, come ci ricordano puntualmente gli esempi di piazza della Vittoria a Brescia o di piazza della Libertà a Bergamo. Il procedimento era semplice e brutale: radere al suolo una zona della città considerata obsoleta, superflua e poco nobile, per sostituirla con l’architettura di regime, che se all’inizio era propositiva (vedi ad esempio il Gruppo dei 7 con Giuseppe Terragni), col passare del tempo si era trasformata in una vuota e oppressiva citazione del razionalismo internazionale.

La Füria, così chiamata perché frequentata da gente poco raccomandabile, giacché il suo nome deriverebbe dal latino fur, cioè ladro (anche furia, cioè furore, rabbia, ira, frenesia, passione, follia) non si sottrasse al suo triste destino, portando con sé una porzione di Vercelli che non potrà più essere recuperata.

Tra le indistinte macerie, che almeno speriamo siano servite come materiale di recupero, anche quelle della chiesa di Santa Maria del Carmine, bell’esempio di gotico che oggi – per fortuna aggiungiamo noi – ci penserebbero almeno due volte prima di demolirlo. Tuttavia a quel tempo il passato, eccezion fatta per quello romano (pure interpretato a uso e piacimento proprio), interessava poco e niente. Ma si sa, la storia è andata così e noi possiamo solo constatare, o meglio studiare affinché certi errori non si ripetano.

Tornando a Santa Maria del Carmine, si ergeva nell’area compresa tra quella che oggi è via Mameli nell’innesto con piazza Ernesto Zumaglini. Era piuttosto ampia come costruzione, visto che misurava circa quaranta metri di lunghezza per venti di larghezza. Fu demolita tra il 1921 e il 1929, un arco di tempo piuttosto ampio viene da notare, dovuto più che altro alle polemiche sorte per il suo abbattimento, seguite da relativo processo. L’edificio infatti era stato dichiarato monumento nazionale da salvaguardare. Lo difese strenuamente, purtroppo invano, Federico Arborio Mella, così esso andò incontro alla sua inesorabile conclusione. Comunque sia Faccio, Chicco e Vola in Vecchia Vercelli scrivono che la chiesa era già distrutta nel 1921. Il culto venne trasferito a San Salvatore.

A reggerla l’ordine dei Carmelitani, giunti a Vercelli nel XIII secolo, comunque prima del 1275. «Ma come si vuole li abbia introdotti il vescovo Aimone di Challant, così è assai probabile la loro venuta in Vercelli nel 1273», precisa Orsenigo. Fu fra Guglielmotto da Vercelli a spingere affinché la chiesa venisse edificata quale testimonianza di devozione alla Vergine. Ancora Orsenigo ci dice che fu aperta nel 1288 e consacrata dal vescovo Cavalli il 13 dicembre 1394. Successivamente subì degli stravolgimenti strutturali verso il 1457 e completata nel 1472 grazie all’interessamento del Beato Amedeo di Savoia e della sua consorte Jolanda.

Con la soppressione dei Carmelitani nel 1802, fu abbandonata e destinata a usi profani, come accadde alla non lontana San Marco. «Divenne successivamente scuderia, deposito di foraggi, infermeria, di nuovo scuderia, magazzino di legnami e segheria. […] era diventata uno spaventoso campionario di sudiciume, tanto che ricordiamo gli operai, che lavoravano ultimamente alla segheria, costretti a fasciarsi le gambe con delle tele da sacco per difendersi dagli insetti, vari di specie, ma tutti ugualmente voraci, che la infestavano», rammentano Faccio, Chicco e Vola, i quali si dispiacciono della perdita del campanile, decorato con elementi in cotto.

La chiesa di Santa Maria del Carmine era un esempio di gotico trecentesco, «a tre navate, bella e adorna di buone pitture», che conteneva al suo interno un ricco apparato decorativo, parte del quale è stato salvato ed è ora conservato al Museo Borgogna – che l’aveva acquistata nel 1921 – dove si trovano nove affreschi, rimossi in due fasi: la prima nel 1884 e nel 1885, la seconda nel 1928.

Al Museo Civico di Arte Antica di Palazzo Madama a Torino invece incontriamo due pale: la prima è la Madonna col Bambino, sant’Eusebio, sant’Apollonia, sant’Alberto Carmelitano, santa Caterina, donatori, attribuita a Eusebio Ferrari che la realizzò nel 1519 su commissione di Jacopo Baglio da Cigliano, esposta nella mostra in Arca del 2018 Gaudenzio Ferrari e il Rinascimento vercellese. La seconda è la Disputa di Gesù tra i Dottori che Boniforte Oldoni, detto Il Giovane, eseguì nel 1568.

Gli affreschi del Borgogna, strappati sul finire del XIX secolo, di autore anonimo, raffigurano Cinque santi in preghiera, Angeli cantori e uno con ribeca, Angeli in volo di cui uno suona la tuba, Angeli che brandiscono le spade e un frammento di Crocifissione. Facevano parte di un ciclo che aveva come soggetto principale il Giudizio Universale, ormai perduto. Quelli giunti al Museo nel 1928, dunque un anno prima della completa demolizione del complesso, presentano una Sant’Agata, una testa di Santo e Madonna con Bambino tra san Giuseppe e santa Caterina, attribuibile alla cerchia dello Spanzotti. In deposito, perciò non esposti, anche un San Pietro Martire e una testa di Santa provenienti dalla stessa chiesa.

Come si legge nella scheda redatta da Cinzia Lacchia nel catalogo della mostra Eleazaro Oldoni. Una nuova scoperta per il Rinascimento a Vercelli, che si è tenuta al Museo Borgogna dal 5 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020, «le ricerche di Paola Manchinu hanno accertato la provenienza dalla prima cappella della navata destra dedicata alla Purificazione di Maria Vergine. Si tratta di un complesso decorativo di grande rilievo che testimonia, in tempi precoci, la conoscenza del linguaggio rinascimentale aggiornato alle novità ferraresi, introdotte in Piemonte da Giovanni Martino Spanzotti. I volti sono segnati da una spessa linea disegnativa, scura e marcata, che ne intensifica l’espressività e si evidenzia una particolare attenzione a soluzioni scorciate».

Per quel che riguarda la pala di Boniforte, rafforza l’ipotesi secondo la quale la famiglia Oldoni ebbe un ruolo egemonico in Santa Maria del Carmine con gli interventi di Boniforte Il Vecchio, di Efraim, di Ercole e di Gaspare. Nella chiesa si trovava inoltre l’ancona di Bernardino Lanino, Trinità con la Vergine, l’Arcangelo Raffaele con Tobiolo e un donatore, dipinta attorno al 1530, dal 2018 in deposito sempre al Borgogna, anch’essa in Arca nella già citata mostra dedicata a Gaudenzio Ferrari.

È curioso notare che sia il dipinto di Eusebio Ferrari e che quello di Bernardino Lanino, il primo esposto in apertura del percorso artistico di Gaudenzio, il secondo come chiusura, provenissero entrambi da Santa Maria del Carmine che dunque, possiamo affermare senza tema di essere smentiti, essere stata per secoli una delle chiese più importanti di Vercelli, nonché vittima illustre di una scellerata politica di distruzione che ci ha privato per sempre di una preziosa testimonianza del passato.

Massimiliano Muraro

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1 commento

  1. Della Füria .. era rimasta una significativa traccia in via Dante .. fino a circa un paio d’anni fa .. si diceva che non si ottenevano i permessi .. qualcuno si lamentava, non solo i richiedenti dei lavori, per la sporcizia dei ruderi .. è poi stato dato il via libera ai lavori da una commissione probabilmente antifascista e ora vediamo degli edifici .. vecchi-nuovi .. molto belli! .. hanno “cambiato secolo” .. anche più vecchi di prima!!?? e i “nipoti” di quei cattivoni che vi abitavano non stanno più sui balconi di ringhiera ma rintanati nel fastoso bunker che si erge colà, con discrezione, ad occupare lo stesso spazio di prima!
    Resiste ancora il vecchio teatro .. forse per la eccessiva vicinanza col Palazzo di Giustizia.. almeno finché non sposteranno anche il Tribunale.

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