Il virus corona, “bogia nen” che va via lento

“In Piemonte il coronavirus sta andando via più lentamente rispetto ad altre regioni”. È questa la ragione per cui il Governatore del Piemonte Alberto Cirio ha deciso di mantenere il lockdown più rigido con tutte le chiusure, negando il via libera ai primi negozi (quelli per bambini, le cartolerie e le librerie). Lo ha spiegato lo stesso Presidente del Piemonte Alberto Cirio intervenuto questa mattina ai microfoni di Radio Rai.

“La nostra regione sta vivendo quello che Lombardia, Veneto ed Emilia hanno vissuto dieci giorni prima – ha detto -. Abbiamo uno scostamento che ci dice che da noi il virus sta andando via ma in modo più lento, mentre il dato dei ricoveri in terapia intensiva è positivo e continua a dirci che negli ultimi dieci giorni la curva si appiattisce. Ci sono dunque elementi di positività, ma non bisogna allentare le misure di contenimento del virus. Stiamo lavorando per far stare la gente in casa e riaprire una libreria vuol dire che giustifico il fatto che uno esca per andarsi a comprare un libro. Lo trovo assurdo. Non l’ho proprio capito. Riaprire in questo momento, almeno per il Piemonte, è prematuro ed è il motivo per cui rimangono le chiusure. Dobbiamo mantenere le misure di contenimento”.

 

Insomma, la nostra regione sta vivendo una discesa del virus rallentata rispetto ad altre aree del Paese, e ciò, per ora, senza una ragione specifica, chiara, indicata dalla stessa Regione, se non in una sorta di scostamento. Semplicemente “siamo più indietro di altre regioni di una decina di giorni”. Come se fossimo una specie di effetto doppler dell’epidemia.

Non c’entra ad esempio il numero di tamponi fatti, tra i più bassi in Italia (all’11 aprile i tamponi effettuati erano 62.577, contro i 91.579 dell’Emilia-Romagna, il 12 aprile 66.555 contro 96.704. La Lombardia ha raggiunto i 205 mila tamponi, il Veneto 198 mila. Anche Toscana e Lazio hanno fatto più test del Piemonte); non c’entrano i dati contenuti nelle proteste dei medici di tutti gli ordini provinciali e degli infermieri che continuano a ribadire di essere stati lasciati soli sia per quel che riguarda i dispositivi di protezione sia per quel che riguarda le procedure per segnalare i malati; non c’entra la mancanza almeno iniziale di percorsi separati per i malati Covid da isolare per evitare il contagio; non c’entra la sciagura delle Rsa, con tutti i morti registrati, e non c’entra il continuo voler ignorare l’eventuale efficacia dei test sierologici, non utilizzabili “fino a che non saranno ufficiali dall’Iss”, test utili a chiarire se vi sia stata una immunizzazione dei soggetti eventualmente esaminati. Gli imbarazzi dell’Unità di Crisi, la quale sotto la spinta delle proteste di medici e infermieri ha anche cambiato il vertice a metà percorso, nulla hanno a che vedere con questa lenta uscita dall’inferno dell’epidemia.

Il modello che, a più di un mese e mezzo dall’inizio dell’emergenza, si sta imponendo come funzionante in altre realtà (Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Germania…etc) è semplicemente riassunto in questi passaggi: tamponi di massa per testare gli infettati, percorsi separati per gli infetti in modo da liberare gli ospedali generalisti, strutture dedicate solo ai malati covid, grande spinta alle cure a casa grazie al preziosissimo contributo dei medici di famiglia il più possibile supportati per anticipare la diffusione del virus, efficaci screenig della popolazione per i contagi, test sierologico finale per dare una sorta di patente di immunità a coloro che hanno sviluppato gli anticorpi. Percorsi che solo ieri sera il Vice Ministro alla Salute Pier Paolo Sileri diceva, in diretta, alla trasmissione di Nicola Porro “Quarta Repubblica”, di essere “quelli migliori per riprendere una vita decente e non da reclusi come in queste settimane”.

 

In Piemonte, in assenza di queste strategie simultanee, in realtà è il virus che sta “andando via lentamente” e allora tanto vale che i piemontesi stiano confinati ai domiciliari ancora un po’. Non potendo fare altro, che almeno la gente non vada in giro e si utilizzino tutte le forze dell’ordine e l’esercito per multarli e stanarli se si azzardano a uscire senza giustificato motivo, anche grazie a elicotteri e droni, se possibile.

 

E meno male che il Presidente Cirio, alla fine del suo intervento, aggiunge che anche il Piemonte, “comunque, si sta preparando alla fase 2, alla fine del lockdown. Infatti, la Regione lavora con il Politecnico alla ripresa delle attività produttive. Oggi abbiamo l’ennesimo incontro, stiamo predisponendo un vademecum, una guida per chi vuole lavorare in sicurezza. Abbiamo bisogno che le nostre attività ripartano e, quindi, facciamo una proposta al governo, scientificamente testata dall’università, che può dare una graduazione di ritorno al lavoro, magari anche legato all’età, per far tornare a lavorare le persone meno esposte al rischio”.

Ma intanto noi cittadini, con la sfiga di essere in Piemonte dove il virus va via lento, continuiamo a doverci accontentare di essere “ai domiciliari”. Sarà l’aria, sarà che attorno abbiamo le Alpi che non favoriscono il ricircolo come quando c’è l’inquinamento. Sarà che il “virus corona” si sente a casa sua nelle terre dei Savoia. Sarà che il virus ha preso alla lettera il famoso appellativo di tanti torinesi/piemontesi: “Bogia nen”. Sarà…

 

Luca Avenati

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