Il Team Oliva doma le pietre del Nord

Foto Guido Lo Iacono.

Roubaix, inferno e paradiso, alfa e omega del ciclismo. Questa cittadina nel nordest della Francia, che conta poco meno di 100.000 abitanti e dalla vocazione prettamente industriale, per una volta l’anno, la seconda domenica di aprile, diventa il palcoscenico privilegiato per la messa in scena di uno spettacolo che non si tiene a teatro, ma all’aria aperta. Stiamo parlando della “Regina delle Classiche”, la Parigi-Roubaix.

Roubaix e il suo velodromo sono il paradiso. Prima di conquistarlo però l’obbligo tassativo è di passare per l’inferno che lì è rappresentato da 29 gironi, tanti quanti sono i settori di pavé. Uno dice pavé e pensa agli acciottolati dei nostri centri storici, quelli che fanno tanto cartolina. Niente di più sbagliato: il pavé del Nord è un mondo a parte, un sentiero di patimenti che fa scomparire tutto il panorama circostante e richiede di concentrarsi solo su di lui.

Sono strade di campagna, lì ci passano i contadini con i loro trattori per andare a faticare sulla terra, non sono fatte per altro, figurarsi per le biciclette. Eppure dal 1896, anno della prima edizione, per un giorno si trasformano in una recita epica sulla quale sono state scritte pagine memorabili della storia del Ciclismo.

Da una a cinque stellette: questa è la classificazione del pavé. Dal più facile (che poi facile non è), al più difficile, verrebbe da dire all’impossibile. I più temuti sono tre: la Foresta di Arenberg, Mons-en-Pévèle e il Carrefour de l’Arbre. Quando la ruota entra dentro questi settori tutto cambia e tutto inizia a ballare. Pedalare pare l’ultimo dei problemi, eppure è indispensabile per sopravvivere. Pochi minuti che cambieranno per sempre il modo di andare in bici.

Il pavé ti dice: “Hai varcato la mia soglia e ti senti così sicuro? Bene! Da adesso in poi continua a menare, altrimenti non ti darò tregua”. Infatti, basta un nulla: uno spostamento improvviso, un cambio di traiettoria inutile, un calo di velocità ed è la fine. Come termine di paragone non viene in mente nulla, non è una salita o un muro che comunque si possono descrivere: diciamo che qui è come pedalare mentre si viene strattonati o presi a botte. Infernale, appunto.

Ma fa parte di un gioco che il ciclista ha accettato da subito. E il ciclista è un uomo che per propensione ama spingersi oltre perché sa che al termine del suo cammino c’è la ricompensa, che in questo caso è l’entrata nel mitico Velodromo, quello immortalato pure dal celebre quadro di Metzinger, simbolo del Cubismo. Lì il ciclista ha capito di aver fatto l’impresa, il suo dolore scompare lasciando il posto alla felicità: il paradiso.

È quello che hanno provato i componenti del Team Oliva sabato 13 aprile durante la Parigi-Roubaix Challenge che si corre il giorno prima della gara dei professionisti. Non ricalcando lo stesso percorso perché loro partono da Compiègne, ma affrontando gli stessi settori di pavé, compresi quelli più duri (ma tutti lo sono).

La squadra vercellese era al via con Fausto Oliva, Attilio Brunoni, Nico Grande, Nino Grammatico, Paolo Puppi, Massimiliano Muraro, Carlo Minoia, Guido Lo Iacono. A loro si sono aggiunti Gianni Gorlero, Sergio Castellaro, Renzo Livieri, Francesco Polito, Marco Scotti, Davide Figazzolo e Mariano Martorana. Quindici in tutto per portarsi a casa la terza Classica Monumento dopo il Giro delle Fiandre nel 2016 e la Liegi-Bastogne-Liegi nel 2017.

Missione compiuta, tanta fatica, ma soprattutto tanto divertimento e tanta soddisfazione. «Non ho mai provato nulla di simile», «È la cosa più bella che abbia fatto in bicicletta», «Un’esperienza che non dimenticherò mai più», «Sono felice», sono soltanto alcuni dei commenti raccolti dopo che la miss aveva messo loro al collo la medaglia ricordo.

Le biciclette hanno retto bene, solo due le forature. Un po’ meno le mani e le braccia: le vesciche sono state un elemento comune a tutti, segni distintivi di una battaglia vinta. Fondamentali in tal senso sono stati i consigli di Carlo Minoia e di Guido Lo Iacono che avevano già corso l’anno scorso sulle pietre francesi e che hanno spiegato i segreti della corsa. Alla fine però a fare la differenza sono state le gambe e la volontà di ognuno: per tutti l’inferno è diventato paradiso.

Massimiliano Muraro

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