Nove Colli: cinquant’anni di ciclismo, festa e divertimento in Romagna

La partenza della Nove Colli (photo Nove Colli pagina ufficiale)

Cosa ci fanno 9.000 persone in bicicletta all’alba di una domenica di fine settembre a Cesenatico? Semplice, si dirigono alla partenza della Nove Colli, la decana delle granfondo italiane, giunta alla sua edizione numero 50. In realtà il mezzo secolo di vita doveva festeggiarsi nel 2020 (era il 1971 quando i primi pionieri fissarono il giro), tuttavia a causa dell’emergenza sanitaria gli organizzatori del Gruppo Ciclistico Fausto Coppi (lo stesso dove diede i suoi primi colpi di pedale Marco Pantani) hanno deciso di spostare tutto di un anno.

Prima della partenza in griglia rossa (photo Sportograf)

A voler essere più precisi anche di qualche mese, perché come da tradizione la Nove Colli si corre la terza domenica di maggio ed è a tutti gli effetti il primo grande appuntamento di massa che dà il via alla stagione turistica della riviera romagnola. Fino a pochi anni fa questo lembo d’Italia significava solamente mare e divertimento, poi col passare del tempo ha compreso che c’era anche altro da valorizzare, in altre parole che bisognava diversificare.

Ecco allora la decisione di puntare sulla bicicletta e sul cicloturismo. D’altronde basta spingersi qualche chilometro nell’entroterra e si incontrano luoghi unici, quelli toccati proprio dalla Nove Colli: Bertinoro, Mercato Saraceno, Pugliano, San Leo, San Giovanni in Galilea, Borghi, Sogliano sul Rubicone, solo per citarne alcuni. Un po’ Romagna, un po’ Marche.

Il Lungomare Bike Hotel di Cesenatico, punto di riferimento per chi vuole godersi la Romagna in bicicletta e rilassarsi in spiaggia (photo Lungomare Bike Hotel)

I primi a capire questa potenzialità sono stati quelli del Lungomare Bike Hotel, una struttura guidata con passione e competenza da Silvia Pasolini e dal suo staff. È il punto d’appoggio ideale per chi vuole vivere Cesenatico sia dal punto di vista del mare e della spiaggia, sia da quello della bicicletta. C’è ogni servizio possibile e immaginabile per soddisfare l’amante delle due ruote: la bike room, le uscite con le guide alla scoperta del territorio, il buffet per ristorare corpo e mente. Inoltre non è raro trovarvi personaggi legati al mondo del ciclismo e dello sport come ad esempio Paolo Savoldelli, Marco Saligari e Juri Chechi, incontrato proprio durante i giorni della Nove Colli.

Lui, Paolo Bettini, Mario Cipollini, Luca Paolini, Marco Marcato, Matteo Montaguti, Marco Saligari, Ivan Basso e Cristian Zorzi fanno parte del Dream Team Nove Colli 4Children e la faranno per beneficenza: completeranno i 130 km del medio in meno di 4 ore per raccogliere fondi da donare all’Istituto Oncologico Romagnolo.

La partenza, davanti il Dream Team guidato da Paolo Bettini (photo Sportograf)

Domenica 29 settembre nelle griglie suddivise per colori, dall’ambita rossa alla più tranquilla verde, si sono ritrovati 9.000 appassionati, pronti a mettersi in gioco sui due percorsi: il lungo con i suoi 205 km e 3.800 metri di dislivello, il medio di 130 km e 1.871 metri di dislivello. Pronti soprattutto a vivere una giornata di festa e di agonismo: c’è chi la fa per migliorare il tempo dell’anno precedente e chi la vive come una pedalata tranquilla da fare con i compagni di squadra, chi si presenta con bici da professionista e chi con il mezzo a cui è fedele da vent’anni se non di più, chi vuole fermarsi a tutti i ristori e chi tira dritto perché tanto bastano le barrette e i gel che si hanno in tasca.

La Nove Colli è magnetica proprio per questo motivo, perché è varia e perché racchiude in sé tutti i modi di vivere il ciclismo, che qui convivono senza pestarsi i piedi a vicenda. Poi non dura solo lo spazio della gara, ma comprende almeno tre giorni: da quando si apre la distribuzione dei pacchi gara, al luculliano pasta party dove le anime stravolte dalla fatica tornano in forze a furia di piadine e birre. In mezzo non dimentichiamo la Fiera Ciclo&Vento in cui i più importanti brand del ciclismo (bici, abbigliamento, componentistica, alimentazione) si mettono in vetrina e dove è possibile acquistare quella cosa che immancabilmente ci siamo dimenticati di mettere nel borsone: che sia il calzino, il guanto, il manicotto o l’intimo.

Con l’amico Luciano Maragna sul Barbotto (photo Sportograf)

Poi c’è l’aspetto più basilare di tutti: pedalare. Dal via ci sono 27 km di pianura prima di arrivare a Forlimpopoli dove subito dopo attacca il primo colle, il Polenta. Chi è in testa ci arriva con medie spaventose che superano abbondantemente i 50 km/h. Il Polenta è irregolare, sale secco e poi scende, ma l’adrenalina non lo fa neppure sentire. Pronti via eccoci a Pieve di Rivoschio, prima parte con strada stretta dove è difficile prendere il ritmo causa intasamento (ma non si mette mai il piede a terra).

Si arriva al Ciola, anche quello da prendere con le molle: di solito all’ultima curva si trovava il celebre ristoro abusivo che offriva tanta musica, Sangiovese, panini con la pancetta abbrustolita e qualcuno dice pure grappa (non posso confermare perché non mi sono mai fermato). Quest’anno non c’è a causa delle misure anti Covid, ma ci sono i suoi artefici, un po’ mogi ma lesti a incitare chi si trova in difficoltà.

Picchiata verso Mercato Saraceno ed ecco lo spauracchio di tutti i granfondisti: il temuto Barbotto. Preso da solo non è impossibile, ma con già 1.500 metri di dislivello nelle gambe è tutta un’altra cosa, specie perché ha l’ultimo km con pendenze che toccano il 18%. Non è raro vedere persone che lo percorrono a zig zag o addirittura a piedi. Quest’anno poi, complice il caldo umido, in tanti sono stati colti dai crampi, che saranno poi il leitmotiv di tutta la corsa.

Fatto il Barbotto, dopo qualche km, un dilemma shakespeariano si insinua nella mente dei partecipanti: al bivio giro a destra o a sinistra? Chi opta per la prima soluzione sa che dovrà sorbirsi ancora 100 km e cinque colli, chi per la seconda avrà ancora 30 km prima di arrivare a Cesenatico dove potrà riabbracciare i propri cari. Per gli amanti delle statistiche quest’anno un terzo dei partecipanti ha scelto il lungo, gli altri due terzi il medio.

I paesaggi dell’entroterra romagnolo percorsi dalla Nove Colli (photo Sportograf)

Noi dovevamo onorare la cinquantesima edizione e convincere un amico che la faceva per la prima volta a non cedere alle comode lusinghe del medio, perciò senza esitazione ci buttiamo giù verso Pietra dell’Uso con il suo cartello che indica meno 100 km alla fine. Lì inizia un’altra gara, bisogna resettare tutto e mettersi in testa che è come dovessimo giocarci un’altra granfondo.

Il quinto colle, il Monte Tiffi, è breve, ma è pure una bella rasoiata con le sue punte al 12%, e precede il Perticara che sale, come si suol dire, a gradoni. Non c’è il sole, in compenso c’è un caldo umido che rende l’ascesa un inferno e infatti cominciano le prime fitte alle gambe. In cima al ristoro mancano i tradizionali tortellini, la signora mi passa un panino affranta perché per lei non è una Nove Colli degna di questo nome se non può preparare un bel piatto di pasta ai concorrenti. Poco male le dico, si rifarà il prossimo anno. Lei sorride e mi offre un pezzo di crostata.

Prima di Pugliano invece gli organizzatori hanno previsto un cambio di percorso: si affronta il muro di Maiolo che non va mai sotto il 10%. Le forze sono ormai al lumicino, altri compagni di avventura mi chiedono quanto c’è allo scollinamento: io rispondo che non mi ricordo più, talmente sono distrutto dalla fatica. Pensare che all’appello mancano ancora due asperità non mi conforta.

Si sale sempre (photo Sportograf)

La prima per fortuna mia è il Passo delle Siepi, qui meglio noto come Passo del Grillo, 4 km ma con una pendenza regolare che permette di rifiatare. So che poi mi aspetta un lungo falsopiano per aggredire il Gorolo, ma ci hanno giocato un altro brutto tiro: deviazione con ulteriore su e giù per arrivare sulla statale. Lì incontro un gruppo e faccio l’errore di mettermi a ruota forzando la mia andatura.

Quello, unito al fatto di essermi mangiato una banana, mi sarà fatale sul Gorolo dove dopo 500 metri sono costretto a scendere per i crampi e per problemi di stomaco. Capiterà per tre volte. Ormai sono alla frutta e come me lo sono in tanti, ma non possiamo mollare proprio adesso, tanto più che mancano 30 km di cui almeno 15 in discesa. L’ideale per riposare, non fosse che da Borghi in poi cominciano a giungere preoccupanti raffiche di vento che rendono difficoltosa perfino la guida.

La furia della grandine si scatena ai meno 10 km. Io e il mio gruppetto siamo costretti a ripararci sotto il tetto di un capannone. Appena smette rimontiamo in sella, piove copiosamente, ma quando intravedo il quadrato giallo dei meno 5 km all’arrivo non penso più a nulla. Le rotonde sono presidiate e i volontari mi indicano di imboccare il viale per chi ha scelto il lungo. Taglio il traguardo stremato, non ho neppure voglia di fermarmi al pasta party, infatti vado in hotel a farmi la doccia e dove il mio compagno di viaggio che ha fatto il medio mi aspetta pazientemente da più di due ore.

L’arrivo sotto la pioggia (photo Sportograf)

Questa in sintesi la mia Nove Colli. Era l’ottava a cui prendevo parte e già sto pensando alla nona. Pur prosciugato mi chiedo: ma come mai ogni anno quando finisco non vedo l’ora di tornare? In macchina, sulla via per Vercelli, ci penso e ci rimugino su. La risposta mi arriva il giorno dopo leggendo un articolo dell’amico e collega Alberto Fossati: «La Nove Colli è come quella bici con il telaio in acciaio e le saldature fatte a mano, con le incisioni personalizzate, biciclette che non hanno epoca, osservate e ammirate anche dai ragazzini. Alla Nove Colli ti rendi conto che ci sono due vincitori e due vincitrici, ma sono tutti gli altri ad essere protagonisti». Già, ha proprio ragione.

Massimiliano Muraro

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