Mongiano si racconta: “A cinque anni ascoltando la radio dissi: ‘Voglio fare il regista’”

Mongiano-Vivaldi dietro le quinte

Vercelli – Il primo dei due preamboli scolastici – questa mattina – di “Vivaldi in paradiso”, che Giovanni Mongiano metterà in scena sabato sera, al Civico, con la fidata attrice Anna Mastino e con la Camerata Ducale, è stato un verso successo. Prima, Guido Rimonda ha intrattenuto gli scolari delle elementari spiegando loro le Quattro Stagioni di Vivaldi (che sono la musica portante dell’opera di Mongiano), poi, con la Ducale, le ha eseguite. Quindi, per gli studenti delle medie inferiori e superiori è andato in scena “Vivaldi in paradiso”, che sarà ripetuto domattina, venerdì, sempre al Civico, per altre medie e superiori. Sabato, alle 21, lo spettacolo per il pubblico del Viotti Festival.

Ma vediamo da vicino chi è Giovanni Mongiano, questo bravissimo attore di 70 anni di cui la nostra provincia va giustamente orgogliosa. Lo incontriamo poco prima delle prove pomeridiane dello spettacolo. Accanto a lui, due donne di fiducia: Paola Vigna (già attrice ma ora organizzatrice e colonna portante del Teatro Lieve) e, appunto, la bravissima Anna Mastino, la suora di “Vivaldi in paradiso”.

 

FIGLIO DI UN VINAIO DI ORIGINE MONFERRINA

Mongiano, dove è nata la sua passione per il teatro? In famiglia c’erano già artisti? 

“Assolutamente no. Discendo da una famiglia di contadini del Monferrato, di Isolengo in particolare. Mio nonno suddivise tutte le proprietà fra i tre figli e le due figlie e mio padre, Pietro, dopo aver sposato una ragazza del Canavese, Francesca, la mia cara mamma scomparsa a 103 anni, aprì un negozio di vini a Fontanetto Po”.

E il teatro?

“Avevo 5 anni, quindi eravamo nel 1954, quando, ascoltando un programma radiofonico, all’improvviso, dissi a mia mamma: ‘Da grande farò il regista’. Mamma ne parlò a papà, che in dialetto le rispose, allibito: ‘Ma precisamente, che cosa fa un regista?’. Però io, figlio unico, ero un po’ strano e determinato e quindi, una volta terminati gli studi al Liceo Classico di Casale Monferrato, andai a Torino a studiare teatro allo Stabile, entrando nella Cooperativa Teatro Proposta, che vantava fior di attori come Beppe Navello e Roberto Alpi. Quello fu un periodo bellissimo. Lo Stabile aveva una Scuola itinerante, che portava gli aspiranti attori in giro per il Piemonte. Nel ‘71 venni a Vercelli diverse volte per seguire lezioni sulla Storia del Teatro nel ‘900. Funzionava così: personaggi di spicco del teatro italiano, ad esempio Renzo Giovampietro, tenevano una conferenza e noi, subito dopo, inscenavamo una rappresentazione in tema”.

 

SBRAGIA MI DISSE: MI RECITI QUALCOSA IN DIALETTO BOLOGNESE

Dopo anni dedicati all’apprendimento, quando le capitò l’occasione di segnarsi come attore?

“Accadde nel ‘74 e fu un’occasione per dire così tribolata. La Compagnia degli ‘Associati’ di Roma aveva programmato di mettere in scena  ‘Piccola Città’ di Thornton Wilder. Gli ‘Associati’ erano, per capirci, gente come Giancarlo Sbragia, Paolo Fantoni, il direttore era Fulvio Fo, fratello di Dario. Il provino era in programma a Bologna, al teatro ‘Duse’. Ci andai e Sbragia, non so perché, mi disse di recitare qualcosa in dialetto bolognese. Mi rifiutai e gli proposi qualcosa che avevo preparato. Venni congedato senza particolare enfasi. Ma quindici giorni dopo gli Associati vennero a rappresentare ‘Piccola Città’ al Carignano. Ovviamente andai a vedere lo spettacolo. Mi contattò Fo e mi disse: ‘Firma subito una liberatoria con lo Stabile perché devi recitare con noi’. Ma quando, risposi? E lui: ‘Presentati oggi pomeriggio, dalle due alle tre, davanti al Carignano’. Ci andai. Si fece consegnare la liberatoria e mi disse: ‘Sei pronto?’. Ed io: pronto a che cosa? ‘Ma a recitare!”. Avevano licenziato uno dei due giovani che impersonavano i ragazzi e toccava a me. Ovviamente non ci pensai un attimo e andai in scena quel giorno stesso”.

Rimase molto con gli Associati?

“Quattro meravigliosi anni, dal ‘74 al ‘78: giravamo l’Italia e, quando eravamo a Roma, eravamo fissi al teatro Valle. Trascinato dal fatto di avere meno di trent’anni e di recitare in una Compagnia del genere, nel ‘79 ebbi l’occasione straordinaria al Festival di Spoleto di essere l’aiuto regista del grande regista svizzero Benno Besson nell’’Edipo Re’ di Sofocle, con l’impegno già sottoscritto, per l’anno dopo, di una regia tutta mia. Ero al settimo cielo, ma poi accadde qualcosa che mi sprofondò all’inferno”.

 

LO STOP PER LA MALATTIA E LA LIBRERIA DI CRESCENTINO

Che cosa?

“Una malattia assai grave e rara. Pensi che, quando ne uscii, il mio caso venne pubblicato e confrontato all’unico di cui allora si aveva avuto notizia in Italia: quello dell’ex giocatore del Milan Danova. Per me fu un trauma, ma i medici furono chiari: ‘Non potrà più fare l’attore, perché troppo faticoso’. Solo che io facevo l’attore, era il mio lavoro, ma soprattutto la mia vita. Ero già sposato e, di punto in banco, mi ritrovai senza un avvenire garantito. Un trentenne, pensavo, senza futuro”.

Come ne uscì?

“Grazie a mia moglie e alla mia forza volontà. Mi improvvisai libraio aprendo una libreria a Crescentino, ed ebbe molto successo perché io cercavo di rifornirla continuamente di testi anche rari, che attiravano, ad esempio, l’attenzione di docenti universitari che abitavano da quelle parti. Mi piaceva la mia nuova vita, ma il teatro restava nel mio cuore. E fu proprio Crescentino ad offrirmi l’occasione per ritentare. Un gruppo di giovani dilettanti della parrocchia s’era messo in testa di allestire ‘Processo a Gesù’ di Diego Fabbri e, conoscendo il mio passato, vennero da me per avere consigli. Il primo consiglio fu di non tentare nemmeno perché si trattava di un lavoro, tra l’altro molto lungo, impossibile da allestire da parte di non professionisti. Ma insistettero. Allora decisi di aiutarli assumendo però il ruolo del regista. Non tentai nemmeno di insegnargli a recitare. Memore della grande idea di Pasolini di far recitare la gente, come era in grado di fare, realizzai una versione assai più ridotta rispetto all’originale di Fabbri, che rappresentammo al teatro di Crescentino, attirando l’attenzione generale, e anche del Vaticano. Visto che incominciammo a portare in giro il lavoro (ad esempio venimmo anche a Vercelli e fu un vero successo), approdammo pure in Val Cerrina dove alla rappresentazione parteciparono in gran numero i vescovi che stavano preparando la visita di Papa Wojtyla ad Asti. Così anche l’Osservatore Romano parlò di noi”.

La Compagnia di Crescentino divenne così ben più di un passatempo…

“L’ha detto: la ‘Nuova Compagnia Amici del Teatro’ di Crescentino realizzò altri lavori, ad esempio la mia adorata ‘Piccola Città’. Rappresentavamo le commedie e drammi in tutta la provincia. Al teatro Or.Sa. Di Trino, ad esempio, eravamo di casa. Io ero felice perché tornavo a fare quello che mi piaceva e nel 2004, quando ebbi l’occasione di vendere la libreria, non dissi di no. A 55 anni di nuovo regista e attore, alla faccia della malattia che aveva cercato di fermarmi alle soglie dei trenta. Riapprodato al ruolo di professionista, preparai una rappresentazione teatrale del romanzo  ‘Sonata a Kreutzer’ di Tolstoj, che ebbe successo. Il  teatro di Crescentino che, intanto, era stato rifatto e intitolato al maestro Cinico Angelini, originario del paese, ospitava le nostre opere ma anche quelle di comici affermati come Paolo Villaggio, Lello Arena, Gianfranco D’Angelo”.

 

Da sinistra Paola Vigna, Anna Mastino e Giovanni Mongiano nei camerini del Teatro Civico

Ma poi l’attenzione di spostò su Fontanetto Po…

“Nel 2013 fondammo il ‘Teatro Lieve’ dove lieve stava per levità, leggerezza, delicatezza. Questo era il teatro che concepivo, che concepivamo tutti noi. Arrivarono attori professionisti come Paola Vigna, Luca Brancato, Marinella De Bernardi. E finalmente, grazie al sindaco Oscar Nepote, anche Fontanetto Po ebbe un signor teatro, che fu ovviamente intitolato al nostro Giovan Battista Viotti”.

 

DA SOLO IN SCENA DAVANTI AD UNA PLATEA VUOTA: TUTTO IL MONDO NE PARLA

E arrivò la sera di “No Pirandello No”, in cui lei divenne famoso in tutto il mondo…

“Vuole davvero che torni a raccontarle quella storia?”.

 

Mi piacerebbe…

“Era il 7 aprile 2017, un venerdì. Io dovevo recitare il monologo che allora si intitolava ‘Improvvisazioni di un attore che non legge’, e che oggi invece di chiama ‘No, Pirandello no’. A proposito, lo ripropongo sabato 22 febbraio al teatro Verdi di Pontestura, per chi volesse… Ma torniamo a quel 7 aprile. Io non sapevo che era in atto un feroce contenzioso tra il Comune di Gallarate che aveva promosso l’evento e la gestione del Teatro del Popolo. Arriviamo a Gallarate, nelle bacheche del Teatro nemmeno una locandina. Nei bar, due giornali locali e nessuno che fa menzione dello spettacolo. Dico alla donna che gestiva il teatro: ma le locandine, la pubblicità? ‘Noi qui abbiamo altri sistemi di fare circolare le notizie’. Va bene, dico a Paola Vigna: verranno sì e no venti persone, e noi le sistemiamo sul palcoscenico del Teatro. Arriviamo all’ora prevista per l’apertura del sipario. Paola, che era seduta in fondo alla sala per dare, con lo smartphone, i tempi per le luci e le scene, viene dietro alle quinte e mi dice: ‘Non c’è nessuno’. Ed io: poca gente? ‘No, Giovanni, nessuno, proprio nessuno, e la gestrice del teatro mi dice che possiamo sbaraccare e tornare a casa’. A quelle parole mi rivolto, e dico: non c’è nessuno? Ed io recito lo stesso. Sono stato pagato per farlo, e lo faccio. L’ho fatto”.

 

 

E poi che cosa accadde?

“Accadde, ed io non potevo saperlo, che, dalla platea, Paola incominciò a inondare di messaggi tutti i giornalisti che conosceva, dicendo loro: ‘C’è un attore che sta recitando in un teatro completamente vuoto’. La prima a cogliere il senso di quell’incredibile notizia è una giornalista di Varese New, un giornale on line, che si chiama Mariangela Gelmetti. Mentre sto ancora recitando, scrive l’articolo con questo titolo: “Una serata da dimenticare si trasforma in un atto d’amore verso il teatro’. L’impatto è enorme. Il mattino dopo mi telefona Alberto Mattioli de La Stampa, che già conoscevo: ‘Devo scrivere un articolo su quello che è successo a Gallarate’. Esce sul quotidiano di Torino, nelle pagine nazionali  col titolo: ‘Mongiano, eroe del palcoscenico’. Martedì tocca a Gramellini sul Corriere della Sera, ed è un delirio. Mi chiamano tutte le radio italiane e del mondo: concedo interviste a Radio Colombia, Radio 10 Argentina, Radio Cile. Le seconda rete televisiva belga mi ospita ad Anversa, dove parlo, tradotto in fiammingo, per dodici minuti filati. Ho dovuto dire no a popolarissime trasmissioni televisive come ‘Quelli che il calcio…’, temendo che i pur bravissimi conduttori volessero metterla in burla. Morale, per due mesi l’Italia intera ha parlato di quella sera a Gallarate”.

 

IL PRESENTE: DA VIOTTI A VIVALDI CON LA DUCALE

E veniamo al presente: alle rappresentazioni dei grandi musicisti, prima Viotti poi, adesso, Vivaldi.

“Di Viotti conoscevo tutto, ma proprio tutto. Penso di aver letto tutti i libri scritti su di lui, compreso  l’introvabile ‘Aneddotes sur  Viotti” del D’Eymar che andai a scovare, e a fotocopiare, alla Biblioteca Nazionale di Parigi in una pausa del Roland Garros dove ero andato a seguire il mio idolo, Federer, che purtroppo ha perso. Però ha vinto la Schiavone: ed io ero là! Ma stavamo parlando del libro di D’Eymar che è stato alla base di ‘Lo scrigno e il sogno’, che ho scritto su Viotti, presentandolo inizialmente a Fontanetto Po con il Quartetto Viotti di Franco Mezzena. Poi nella mia vita è entrata la Ducale: ho riproposto la rappresentazione con loro sempre a Fontanetto Po per il ‘Viotti Day&Night’ e quindi al Civico di Vercelli. Adesso tocca a Vivaldi”.

Perché proprio al “Prete Rosso”?

“Perché l’ho sempre amato. E’ un personaggio unico nella storia della musica, che era prete ma che non diceva messa, che ha costituto una delle orchestre più famose del Settecento, insegnando a suonare alle ragazze abbandonate dell’Ospedale della Pietà.  Che era chiacchierato per le sue frequentazioni femminili e che lo divenne sempre più quando si portò in casa la cantante Anna Giraud. ‘Vivaldi in Paradiso’ parla appunto dell’arrivo in cielo del Prete Rosso, con il paradiso presidiato da una religiosa, suor Griselda, la mia bravissima attrice Anna Mastino, che avete già ammirato nel lavoro su Viotti. Di fronte all’inquisitoria suora collocata all’Accettazione, il mio Vivaldi dovrà perorare la propria causa per avere diritto ad entrare nel Regno dei Cieli: lo farà attraverso alcuni testimoni-chiave come Arlecchino e il viaggiatore Charles De Brosses, ma soprattutto con un’arringa finale in cui difenderà, con se stesso, il ruolo di tutti gli artisti di ogni tempo nella storia del mondo. Amo questa arringa: venite ad ascoltarla”.

 

ENRICO DE MARIA

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