Maurizio Scandurra ricorda Carlo Marazzato ad un anno dalla scomparsa

Carlo Marazzato

Riceviamo e pubbichiamo

 

Caro Signor Marazzato,

è passato un anno dalla Sua partenza. Era il 27 Marzo, una domenica notte. Anche se oggi è lunedì, nulla è cambiato. La gratitudine e l’affetto nei Suoi riguardi sono sempre più che vivi.

Casomai, accresciuti: proprio come il valore del ricordo che si fa memoria, menzione, condivisione. Perché il tempo amplifica la cognizione del rispetto per i Maestri.

Continuerò, pertanto, a darLe del Lei, come di consueto. Si può essere amici per sempre anche così. In un mondo spesso grigio, sono le immagini in bianco e nero a dare spessore.

A fare la differenza, plasmando il cuore.

Quelle istantanee che più volte mi ha mostrato in fotografia quando narrava, con commozione, dell’amore encomiabile per il Suo indimenticato papà Lucillo. Per tutti ‘Cillo’, di cui un gran bene dicono all’unisono coloro che per destino hanno avuto la fortuna di conoscerVi Entrambi.

Quelle di anni di fabbriche dense di fumo, e automezzi altrettanto solerti che hanno contribuito a ricostruire, rumorosamente, l’Italia. Gli stessi che ha collezionato per una vita intera. Fino alla fine, senza mai stancarsi. Anzi, divertendosi e dispensando emozioni. Poiché anche ogni bullone, ogni singola vite ha il suo perché nel grande, inarrestabile e intricato ingranaggio della Vita. Questo, Lei, lo aveva ben chiaro.

Già La immagino a tavola, innanzi a un buon piatto di panissa, assieme a Francis Lombardi: Carlo all’anagrafe anch’egli, che in tempi lontani e altrettanto pionieri tra Genova e Vercelli sperimentò il brivido dell’aviazione, e il sogno di carrozziere e designer di autoveicoli leggeri.

Già la rivedo a conversare di camion, telai e quarto asse aggiunto insieme a quel Roberto Perlini che proprio in Veneto, terra dalle comuni radici, diede vita a un marchio rodato ormai entrato nel mito del motorismo storico pesante, altresì legato a doppia mandata con il Suo percorso: familiare, e imprenditoriale.

Chissà com’è, in quel Luogo senza spazio né tempo destinato solo ai Grandi, fare un giro senza il rischio di multe, in 500 o a bordo di una fiammante Bianchina Cabriolet con chi, proprio come Lei, ha fatto la storia dell’industria italiana e risponde al nome di Dante Giacosa: l’insuperato ingegnere che quei memorabili veicoli li sognò, e visionariamente li progettò.

Se chiudo gli occhi, quasi mi pare di udire ancora la Sua voce intenta a spiegarmi la diversità tra un motore precamera, e uno a iniezione diretta. Tra una cabina vecchio stile e una avanzata ‘col baffo’. Tra un Esatau musone del tempo della guerra e un piccolo OM degli anni Cinquanta da guidare con la patente B. Tra chi considera un veicolo storico una sfida appassionata e avvincente, e chi invece a fatica riesce a malapena a scorgerci soltanto poco più di un rigurgito di nostalgia.

Quanti aneddoti, quanti. E quanta ricca umanità trasudava a fiotti dalla Sua esperienza.

Impossibile eguagliare quanto ha fatto per chiunque: il Suo è un primato unico e irripetibile.

Metta, se può, Lei che è un uomo onesto, generoso e giusto, una buona parola per tutti noi ancora qui. Dio certamente ascolta i propri Campioni. Se Fuoriclasse, come nel Suo caso, ben di più.

Grazie, caro Signor Carlo. A Lei, e altrettanto alla Signora Mara, ai Vostri amatissimi figli Alberto, Luca e Davide e al ‘Gruppo Marazzato’ tutto con cui ho percorso un bellissimo tratto di strada.

 

Maurizio Scandurra

 

 

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