Una lettrice: “Ogni reparto di degenza dovrebbe avere un telefono per raggiungere chi deve rimanere isolato”

Riceviamo e pubblichiamo.

Gentile Direttore,

Mi chiamo Francesca, ho 34 anni e voglio raccontare la mia esperienza durante questa atroce pandemia, atroce, per me, che sono tuttora in quarantena, per la la mia famiglia (il virus ha colpito anche mio padre, mia madre e, seppure in modo ansintomatico, mia nonna). Ma soprattutto ha colpito mio nonno, Francesco Cappello, che aveva 86 anni e che ci ha lasciati per sempre – colpito da  arresto cardiaco  – durante il viaggio verso Veruno, proprio quando egli era felice per essere riuscito a vincere il Coronavirus.

Adesso, mentre mia mamma si è ripresa, ed è risultata negativa, papà è ancora ricoverato nella struttura post-acuzie di via Quintino Sella e mia nonna è assistita nell’area Covid aperta all’ospedale di Gattinara. Solo mia mamma potrà dunque assistere ai funerali di suo suocero, mentre né papà, né nonna né io ci potremo andare. Io ho un magone adesso che forse pochi riescono ad immaginare. Il magone di non avere più potuto vedere (non era possibile fare altrimenti), ma neppure salutare con una telefonata il nonno, neanche per pochi secondi, dal 20 aprile, quando è stato ricoverato in Pneumologia. 

Cerchiamo di intenderci. La mia è una riflessione non un attacco alla sanità. I medici ci hanno sempre informato sullo stato di salute del nonno.

Tuttavia, a mio avviso, è mancato qualcosa in quest’era super tecnologica: il nonno non ha potuto ascoltare per più di un mese la nostra voce. Certo, lui non era tecnologico: non dico, lo smartphone, non usava nemmeno il cellulare. Ma mi sembra impossibile credere che un reparto ospedaliero, oggi, non sia in grado di passare, anche per un attimo, il telefono ad una persona anziana per fa sì che possa dire ciao ai sui cari. Ripeto, ringrazio i medici perché il nonno era guarito dal Covid, e ci è stato detto (ma che pena non averlo sentito dalla sua voce) che, lasciando il reparto, abbia esclamato, felice: “Vado a curarmi a Veruno, grazie per quello che avete fatto”. Purtroppo, pero’, la gioia per essere stati avvisati che il nonno stava recandosi alla riabilitazione è durata quasi niente, perché un malore l’ha stroncato proprio nel momento stesso in cui stava rinascendo la speranza.

Finisco questa riflessione lanciando un appello per il futuro  affinché  tutti i reparti ospedalieri d’ora in poi siano dotati non dico di uno smartphone, ma anche di un semplice cellulare, al limite di un cordless, con il quale far sì che le persone anziane, ma anche quelle più giovani che non siano in grado di farlo da sole, possano ascoltare la voce dei loro cari, durante la degenza. Perché la cura dell’anima, specie per persone fragili che possano essersi sentite abbandonate, vale quanto quella del corpo. E purtroppo nessuno mi darà più la possibilità di salutare il nonno come avrei voluto, per l’ultima volta, ma almeno scrivendo queste righe ho la possibilità dirgli  ti voglio bene e  grazie per  i valori che mi hai insegnato: in primis la famiglia.

Ciao nonno – proteggimi da lassù …

FRANCESCA CAPPELLO

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