Con “Lampedusa” si riflette sulle migrazioni e sulla speranza

Sabato 12 alle 21 per la stagione di prosa andrà in scena al Civico “Lampedusa”, spettacolo di Anders Lustgarden con la regia di Gianpiero Borgia, interpretato da Fabio Troiano e Donatella Finocchiaro. Rappresentato la prima volta a Londra al Soho Theatre nell’aprile 2014, è un lavoro teatrale in un solo atto lungo, «un’escursione coraggiosa nelle acque oscure della migrazione di massa e un racconto sulla sopravvivenza della speranza».

“Lampedusa” fa anche parte del progetto Comuni Narrazioni, un ciclo di appuntamenti per approfondire le tematiche portate sul palco dagli spettacoli in programma, così da amplificare i contenuti della stagione e riportare i cittadini vercellesi al centro di un dibattito culturale.

A tal proposito, mercoledì 9 alle 17.30 al MAC, Francesca Romana Paci, Professoressa Emerito di Letteratura Inglese e di Letterature Postcoloniali dell’Università del Piemonte Orientale, terrà una conferenza dal titolo “L’innocenza dei colpevoli” in cui verranno richiamati i contesti storici e sociali che collegano queste realtà drammaticamente critiche del mondo di oggi.

Sempre sulla tematica Sullo status Sociale e l’emancipazione della quale fa parte lo spettacolo “Lampedusa”, la Fondazione Piemonte dal Vivo propone un’ulteriore riflessione a partire da un breve racconto dello scrittore vercellese Gian Luca Marino.

I biglietti ancora disponibili per “Lampedusa” verranno messi in vendita un’ora prima dell’inizio dello spettacolo ai botteghini di via Monte di Pietà. Per informazioni sui costi e sulle modalità di acquisto: http://bit.ly/2Rvd3wg

Sullo status sociale 

di Gian Luca Marino

Il grigiore della porta che tutte le mattine si spalancava per chiudersi. Una matricola, numeri. La busta paga a fine mese, le trattenute. Il liceo, l’università, ore passate a studiare sui libri per arrivare a fine mese. Poi però c’era il Natale, Pasqua, la tredicesima, e due settimane al mare. Il matrimonio, due figli, il mutuo della casa e il finanziamento della macchina. Tutto a rate, come la vita, come le pause caffè lunghe e interminabili. Si è dottori, funzionari. Poi un giorno, mentre il funzionario guardava dalla finestra ecco arrivare dal mare quel barcone carico di teste, di braccia, di gambe. Un immenso punto nero dentro uno scafo incolore. Non avevano una giacca, una cravatta e la camicia bianca. Tanti di loro avevano una laurea ma il funzionario non lo poteva sapere.

«Quelli non apriranno mai un conto in banca» pensò. Mentre usciva dalla sua prigione il funzionario guardò nel mucchio del carico umano e la vide. Lei sorrise. Era da tanto tempo che al funzionario le donne non sorridevano più. Lui non ricambiò. Nove mesi dopo, era Natale ma la tredicesima non era arrivata. Il funzionario bussò alla porta del suo capo per pretendere i suoi soldi. Gli servivano per comprare il telefonino nuovo e il tablet. Dietro la scrivania c’era una donna: riconobbe quel sorriso. Trenta giorni ci aveva messo la donna con il sorriso a diventare un capo. Trenta giorni di passione, di fatica, di ritmi e rituali. Al funzionario non erano bastati trent’ anni. La donna non sorrideva più, la sua vita si era regolata sui cicli dei numeri, delle matricole, delle buste paga. In quel momento era più forte e forse meno felice. Non sentiva più l’odore della sua terra, il sole che le accarezzava la pelle. Non godeva più delle forme dei suoi uomini che danzavano. Davanti a lei solo un funzionario in doppio petto, uguale ad altri cento funzionari, che voleva solo la sua razione.

 

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