L’accusa terribile: ha ucciso la donna che aveva fatto tutto per lui

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Vercelli – Su di lui grava l’accusa, pesantissima, di aver assassinato (addirittura con premeditazione) la madre adottiva, l’insegnante Paola Merlo, 66 anni, la donna che per lui aveva sacrificato gran parte della sua vita e un fiume di denaro.

La vittima, Paola Merlo

Dall’altra notte, è in stato di fermo Caleb Ndong Merlo, 38 anni, originario del Camerun e da una quindicina d’anni residente a Vercelli dove aveva anche fondato un’associazione per il rispetto degli immigrati, l’uguaglianza, la giustizia: “Valori Dimenticati”. Si era inserito bene, tifava Pro Vercelli e sul suo blog scriveva addirittura che la nostra città gli aveva dato “di tutto e di più”. “Mi ha regalato – aggiungeva – una cosa che è sempre stata un mio sogno: aiutare gli altri, dedicare il mio tempo libero a chi ne ha bisogno veramente; sono diventato cosi un volontario della Cri”.

In realtà, a dargli “di tutto e di più” era stata proprio la donna che, secondo l’accusa (formulata dai pm Francesco Alvino e Davide Pretti), egli ha selvaggiamente ucciso, simulando un incidente domestico.

Nella foto Caleb Merlo ad un incontro della sua associazione

Sarebbe probabilmente finita così, con la spiegazione dell’incidente fortuito (una caduta accidentale dalla scala), senza i sospetti di una persona coraggiosa, affezionata a Paola Merlo, che, come ha detto questa mattina il questore Rosanna Lavezzaro, ha messo sull’avviso agenti caparbi della questura di Vercelli. Sulla scorta di quei sospetti e con l’aiuto determinante dell’anatomo-patologo torinese Roberto Testi, la Squadra Mobile, diretta dal commissario capo Antonino Porcino, e coordinata dai due pm con la supervisione del procuratore capo Luigi Pianta, ha svolto un lavoro di indagine straordinario che, in pochi giorni, ha portato al fermo di Caleb Merlo (eseguito sabato notte nell’abitazione di via Bengasi) e all’incriminazione per omicidio volontario nei suoi confronti.

Una storia che sta sconvolgendo la città. Per raccontarla, al di là della conferenza-stampa di oggi in questura, partiamo da lontano, dalla data ricordata dal questore Lavezzaro: il 2002. E’ l’anno in cui, a bordo di una nave, Caleb Ndong arriva al porto di Genova. E’ in fuga dal Camerun e invoca lo stato di rifugiato politico. In attesa che gli venga concesso, egli viene trasferito a Vercelli dove vuole inserirsi, frequentando per prima cosa i corsi di italiano. E lì il suo destino incrocia quello della maestra Paola Merlo che insegna alle serali all’istituto comprensivo “Lanino”. Caleb è suo allievo. La donna resta colpita dalla voglia di quel giovane di integrarsi, dalla sua spiccata intelligenza. Caleb si confida con quella donna, ne conquista la fiducia, anche il cuore. E quando arriva il “no” alla richiesta per lo status di rifugiato politico, con l’inevitabile reimpatrio del giovane in Camerun, Paola Merlo cerca tutte le strade possibili per garantirgli di rimanere in Italia: la via dell’adozione, percorribile, è irta di difficoltà, ostacoli, soprattuto di spese, ma la maestra Merlo, alla fine, la spunta: pur non sposata, riesce ad adottare Caleb e gli assicura una permanenza nel nostro Paese fino al 2023.

Non solo, lo difende a spada tratta anche quando, francamente, Caleb esagera nel denunciare presunti episodi di razzismo, come, ad esempio, nell’agosto del 2008, quando il giovane fa una sceneggiata al Centro Nuoto perché la cassiera gli chiede un documento di identità. Va ai giornali e denuncia: “Me l’hanno chiesta perché ho la pelle nera”. E dalla denuncia ai giornali passa a quella tout court: l’impiegata e il gestore vengono indagati per razzismo. Ma l’istruttoria sgombra subito il campo da ogni equivoco: a quei tempi, il documento di identità veniva chiesto a tutti i frequentatori della piscina.

La caccia al razzismo è però uno dei pallini di Caleb che fonda anche l’Associazione “Valori dimenticati” per combatterlo ad ogni livello, e anche giustamente, con decisione.

La maestra Merlo è orgogliosa di quel giovane che però, negli ultimi anni, incomincia a darle sempre più preoccupazioni: ad esempio non riesce a trovare un lavoro (anche se lui millanta di essere inserito nel mondo del cinema) e, soprattutto si è fatto travolgere dalla passione per il gioco: una forma di ludopatia sempre più problematica.

La Procura e la polizia sembrano non avere dubbi: ha ucciso proprio perché la madre adottiva (che sarebbe andata in pensione dalla scuola il prossimo 1° settembre) non vuole o proprio non può più aiutarlo. E così, forse pensando all’eredità, Caleb mette in scena il suo crudele progetto.

Il 2 luglio si presenta in questura e racconta una storia inverosimile: “Sono stato sequestrato da due uomini armati che mi hanno fatto salire su un’auto e portato in una zona isolata. ‘Se non ci aiuti a trasportare uranio dal tuo Paese, il Camerun, all’Europa, uccidiamo tua madre adottiva’”. E aggiunge di aver azionato, senza che i suoi sequestratori se ne accorgessero, la app di urgenza per comunicare con il centralino del 113. In effetti la registrazione della chiamata c’è. “Ma – come ha osservato il pm Pretti – si sente solo la sua voce, è un monologo fatto per costruire una falsa prova”.

E così si arriva al 10 luglio. Nel pomeriggio di quel giorno, Caleb Merlo chiama il 118 e racconta che sua madre è caduta da una scala, in bagno, mentre stava facendo dei lavori. “E’ in un lago di sangue, correte”. Quando arriva il 118, Paola Merlo è morta, e Caleb sembra disperato. Ai poliziotti che vengono avvisati dal 118 racconta di essere tornato a casa e di aver trovato la madre morta. Ma qui incominciano i sospetti e una persona vicina all’insegnante dice: “La versione dei Caleb non mi convince”. La polizia si mette al lavoro. Caleb sentito dagli agenti ripete che non era in casa, e aggiunge che la madre, proprio il giorno prima, era già caduta da quella maledetta scala, che si era ferita, però non aveva voluto andare al Pronto Soccorso (una versione raccontata anche al giornalista de “La Sesia” che lo aveva sentito per riportare la notizia della morte dell’insegnante). Ma una donna, con la quale Paola Merlo si era scambiata ben 109 sms quel giorno, dice agli agenti: “Non mi ha accennato minimamente ad un incidente del genere”.

Risultano invece tre telefonate, ad altrettanti, amici e amiche ai quali, da un bar, dopo le 15, Caleb Merlo aveva detto di essere preoccupato perché la mamma il giorno prima è caduta da una scala e non si è voluta far medicare. In quel bar ci sono anche le telecamere: Caleb vuole essere ripreso lì, sperando che l’ora della morte della madre adottiva non venga stabilita con assoluta precisione.

Le incongruenze del racconto sembrano evidenti, ma a dare il colpo di grazia alle spiegazioni di Caleb Merlo è soprattutto il referto dell’esperto perito dott. Roberto Testi, che riscontra escoriazioni, da difesa, sulle nocche delle dita di Paola Merlo e, soprattutto, un colpo alla nuca da oggetto contundente come causa della morte. Di qui il “fermo” dell’altra notte e le accuse pesantissime nei confronti del giovane camerunese.

Questi i fatti. Siamo perfettamente consci che, in questo momento, scatteranno polemiche che andranno bene al di là del fatto, di per sé terribile, disumano. Vorremmo invitare tutti a considerare che vale la presunzione di innocenza e che generalizzare è sempre sbagliato. Anche e soprattutto di fronte a fatti del genere, in grado davvero di sconvolgere una comunità come la nostra. Nei prossimi giorni l’interrogatorio di garanzia. Se tramite il suo legale Caleb Merlo vorrà rilasciare dichiarazioni ai giornali noi le ospiteremo com’è giusto e doveroso.

Enrico De Maria

Al link che segue le immagini dell’arresto diffuse dalla Polizia

http://www.poliziadistato.tv/c_rmCVE02gF3

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