La toma continua a essere il più amato tra i formaggi valsesiani. Un prodotto che richiede diverse fasi di lavorazione. Naturalmente tutto parte da un’ottima materia prima: il latte vaccino intero.
«In alcune aziende è ancora in uso la spannatura superficiale manuale del latte con la produzione di formaggi a pasta più magra – spiega un tecnico caseario – Il latte viene lavorato appena munto e ancora caldo, oppure con un breve preriscaldamento sino a 36-38°C, mediante l’aggiunta di caglio liquido naturale. Si procede con il taglio e la successiva rottura della cagliata fino alla dimensione di un chicco di riso, che avviene con la fase di riscaldamento o semi-cottura, con temperature comprese tra i 42 e 48°C».
«Dopo una breve fase di riposo – continua l’esperto – si procede con l’estrazione quasi sempre manuale della cagliata, l’introduzione in apposite forme e la pressatura a mano. Le forme vengono quindi lasciate in formatura ed asciugatura per circa 10-12 ore, durante le quali vengono rivoltate più volte e quindi marchiate a fresco. Si procede quindi con la salatura che può avvenire a mano o in salamoia. La stagionatura naturale ha una durata minima di 60 giorni sino ai sei – otto mesi. La pasta presenta un’occhiatura medio piccola con colore paglierino chiaro e sapore caratteristico».
Il sapore della toma è pieno e soddisfacente: quella prodotta secondo procedimenti standardizzati, con latte pastorizzato, presenta un’omogeneità di gusto che la rende sempre identificabile. La toma prodotta dai piccoli caseifici artigianali, con latte crudo, presenta differenze di sapore a seconda che gli animali siano nutriti a fieno oppure siano liberi di pascolare all’aperto: «Nella stagione estiva, quando gli animali vivono in alpeggio, il sapore della toma è particolarmente intenso, ricco di sfumature mutuate dai profumi dell’erba di montagna».