La Cassazione: il Comune di Olcenengo risarcisca la dipendente “vessata e ingiustamente licenziata”

Il municipio di Olcenengo

Con una sentenza della Quarta sezione civile della Corte suprema di Cassazione (presidente Antonio Manna, pm il sostituto procuratore generale Mario Fresa) si chiude una vicenda che aveva messo a rumore  non solo il piccolo Comune di Olcenengo – dove il caso era nato – ma anche buona parte della provincia che segue le vicende politico-amministrative. 

E si chiude con la conferma della sentenza di primo grado emessa dal giudice del lavoro di Vercelli, Patrizia Baici, il 10 maggio 2021 e confermata dalla Corte dAppello di Torino (Sezione Lavoro), presieduta da Clotilde Fierro, il 19 ottobre 2021. E cioè: il Comune di Olcenengo ha illegittimamente licenziato la dipendente Elena Imarisio (che lavora per lamministrazione dal 1990 e che dal 2000/2001 è responsabile del settore finanziario e contabile), inoltre il sindaco Anna Maria Ranghino e lex segretario comunale Giuseppe Carè hanno avuto nei suoi confronti reiterati comportamenti ostili, con effetto lesivo dellequilibrio fisico e psichico della donna, tanto da configurare, una evidente situazione di straining: si tratta di un atteggiamento vessatorio simile al mobbing, e che, in ambiente lavorativo, viene messo in pratica da un superiore, con lo scopo di umiliare un dipendente. 

Per questa ragione, il Comune di Olcenengo dovrà risarcire Elena Imarisio per i danni non patrimoniali e patrimoniali subiti, oltre a interessi e rivalutazione monetaria dalla sentenza al saldo e pagare tutte le spese legali (anche quelle sostenute dallimpiegata comunale) nei tre gradi di giudizio, nonché dovrà versare alla sua dipendente indennità risarcitoria dal giorno del suo licenziamento alla reintegra, fino ad un massimo di 12 mensilità, avvenuta dopo la sentenza della dottoressa Baici l11 agosto 2021.

La vicenda, molto complessa, risale al 2014 e, per sommi capi, può essere riassunta così. Quando Anna Maria Ranghino fu eletta per la prima volta sindaco, appunto nelle amministrative del 2014, al posto di Ercole Gaibazzi, Elena Imarisio era prossima al congedo per maternità. La sindaca chiese  alla responsabile del settore finanziario di avere le sue password personali di accesso ai sistemi informatici; Elena Imarisio le fece però notare che non poteva farlo perché le password personali tracciano lutente quando accede al sistema, e le suggerì quindi di creare, molto più correttamente, altre utenze. Da quel non possoincominciarono i problemi per Elena Imarisio, che fu bersagliata di richieste in tal senso -nonostante fosse in maternità – anche da parte dellallora segretario comunale Giuseppe Carè. 

Secondo la ricostruzione dei fatti operata dal magistrato del lavoro e ribadita dalla Corte dAppello e dalla Cassazione, le richieste, su altre password, di sindaco e di segretario comunale su quellargomento proseguirono anche dopo il suo ritorno al lavoro. Addirittura, il segretario comunale mandò a casa di Elena Imarisio i carabinieri di San Germano. Scelta che i tre gradi di giudizio in sede civile hanno ritenuto   assolutamente sproporzionata.

E poi c’è stata soprattutto la scelta di Elena Imarisio di non aver dato parere favorevole di regolarità contabile (appunto come responsabile del settore) al riconoscimento di un debito fuori bilancio. La dipendente comunale si era espressa così perché a bilancio non risultavano risorse accantonate allo scopo. Ma la cosa sorprendente è che lo stesso segretario comunale, in via cautelare, aveva dato parere negativo su quella delibera.

Da lì, secondo le tre decisioni di magistrati civili di primo, secondo e terzo grado, sono incominciati gli atti tendenti allumiliazione personale e professionaledi Elena Imarisio. La donna, a seguito degli atteggiamenti vessatori, è entrata così in una grave situazione psicofisicacon successiva malattia dal 5 agosto del 2016. Il 7 dicembre del 2017 le è arrivata la lettera di licenziamento perché la sua assenza dal lavoro, appunto per malattia, aveva superato il cosiddetto periodo di comporto, vale a dire il massimo fissato dalle norme. Ma anche lì Elena Imarisio ha ottenuto prima dal giudice del lavoro di Vercelli, poi dalla Corte dAppello di Torino e infine dalla  Cassazione, il riconoscimento che il licenziamento era illegittimo, principalmente perché la malattia era conseguenza dei comportamenti vessatori integranti lo straining e non essendo stato, comunque, superato il periodo di comporto.

Dopo aver avviato la causa civile contro il licenziamento e per ottenere il risarcimento dei danni provocati da quello che riteneva essere unazione di mobbing compiuta nei suoi confronti, Elena Imarisio aveva anche sporto denuncia penale contro la sindaca e il segretario comunale per tentata violenza privata (a proposito dei tentativi per farle dare il famoso parere favorevole sulla delibera) e la procura aveva rinviato a giudizio sia Anna Maria Ranghino sia Giuseppe Carè anche per falso ideologico in atto pubblico e falso materiale. Nel processo però la sindaca e l’ex segretario comunale sono stati assolti con formula piena dal giudice Vincenzo Del Prete. Il verdetto era stato emesso nel gennaio dello scorso anno. A tredici mesi di distanza, la decisione sul civile della Cassazione, diametralmente opposta e stavolta definitiva.

                                                                                Edm

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3 Commenti

  1. Questa triste storia dimostra la possibile efficienza dei più alti livelli di Giustizia quando ad esser colpiti sono i più bassi livelli della società (lo dico senza voler offendere) .. ma, non succede mica sempre. . in questo caso ad aver giustizia è una persona e con essa una piccola comunità, il Comune di Olcenengo, paese che già nella limitrofa “Capitale” (Vercelli) è noto forse soltanto per il proprio ristorante.

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