I gioielli di San Marco, l’edificio che ospita la Magna Charta

L'Albero di Jesse

Chi entrerà in Arca nei prossimi mesi avrà l’opportunità unica di vedere coi propri occhi la Magna Charta, giunta pochi giorni fa da Hereford per la prima volta in Italia, e tutti gli oggetti esposti che raccontano la sua storia e quella del cardinale Guala Bicchieri, personaggio di spicco che fu promotore sia del documento che della costruzione dell’Abbazia di Sant’Andrea.

Come tutti ben sanno, Arca è il contenitore, progettato dall’architetto Fagnola in occasione delle mostre targate Fondazione Guggenheim, che si trova lungo la navata centrale dell’ex chiesa di San Marco. Per i vercellesi l’edificio fino a qualche decennio fa era il mercato coperto per eccellenza, prima che venisse chiuso e quindi adibito alla sua nuova funzione.

Nello stesso periodo in cui arrivavano i capolavori di Chagall e di Kandinskij, nel 2008 veniva avviato il cantiere di restauro a cura del Centro Venaria Reale, allora diretto dall’inossidabile Pinin Brambilla Barcilon, già responsabile del recupero del Cenacolo vinciano in Santa Maria delle Grazie a Milano e della giottesca Cappella degli Scrovegni a Padova.

Fin da subito si capì che ci si sarebbe trovati di fronte a un piccolo tesoro. Si partì con lo scoprimento dell’Albero di Jesse nella parete di destra e delle storie della Vergine sulla volta corrispondente. In particolare l’Albero di Jesse è tuttora una sorta di “unicum” poiché ritrae un soggetto relativamente poco diffuso nella tradizione figurativa del primo Rinascimento piemontese e nella pittura in generale (più frequente trovarlo in scultura).

Databile all’ultimo ventennio del XV secolo, rappresenta la discendenza di Maria ed è di autore ignoto. Stesso discorso per il ciclo che si trova proprio sopra. La fattura è la stessa degli affreschi della terza campata, sempre della navata di destra, con le storie di Sant’Agostino, patrono dell’ordine che reggeva la chiesa: gli Eremitani, tra i più influenti fin dal XIII secolo, quando cioè fu costruito il primo nucleo

Per circa dieci anni il cantiere si è fermato, salvo riprendere nel 2017 con la campagna di restauri, curati sempre del Centro di Venaria Reale, che ha interessato questa volta la navata di sinistra sul fondo della chiesa. Sotto uno spesso strato di intonaco è emerso un Sant’Antonio, dipinto seguendo l’iconografia della Madonna della Misericordia, che accoglie i fedeli sotto il suo manto. Anche in questo caso siamo di fronte a un’eccezione, trattandosi di una rappresentazione piuttosto inusuale.

Il Sant’Antonio in questione è di sicuro precedente agli affreschi dell’Albero di Jesse e delle storie della Vergine e di Sant’Agostino. Posto in alto, proteggeva la cappella a lui dedicata dove trovava spazio una pala d’altare di Gaudenzio Ferrari del 1530, purtroppo oggi perduta. Allo stesso tempo sulla volta la decorazione risulta parzialmente compromessa a causa di inflitrazioni ed efflorescenze saline. È possibile comunque ammirare gli archetti rossi realizzati a mano libera e intervallati da oculi neri, sulla quale sono stati eseguiti motivi geometrici a stencil, neri su fondo bianco e bordure rosse.

Nel 2018 infine gli ultimi lavori sull’ottava campata della navata di sinistra, dove state ripristinate le decorazioni a bugne diamantate nel sottarco e le ricche cromie, similari a quelle della volta a nord. Interessante però nel sottarco di accesso al presbiterio, il capitello di arenaria scolpito con lo stemma del casato dei Visconti di cui resta qualche traccia di colore rosso e blu. In cima due serpenti si attorcigliano inghiottendo il Moro infedele; sotto le iniziali nel cartiglio centrale: IO/LV.

Proseguendo sul pilastro, verso il basso, una preziosa decorazione murale, raffigurante una Madonna in trono con il Bambino che porta al collo un rametto di corallo, simbolo della passione. Non sfuggirà il lacerto di affresco con San Gregorio Magno. Si può vedere la colomba che gli sussurra in un orecchio e la mitra papale che gli cinge la testa, un tempo arricchita da una lamina in oro, a testimonianza della potenza anche economica dell’Ordine committente.

Chi passeggerà lungo le navate noterà numerosi indagini stratigrafiche, effettuate dal Centro Restauro della Venaria Reale per sondare lo stato degli affreschi sotto i numerosi strati di pittura stesi nel corso degli anni, per non dire dei secoli (rammentiamo che l’ex chiesa di San Marco fu trasformata anche in cavallerizza durante l’epoca napoleonica).

I più attenti capiranno immediatamente che l’edificio con ogni probabilità è decorato nella sua quasi interezza (ipotesi confermata dalla Soprintendenza). Lo dimostrano i dipinti venuti alla luce e i poc’anzi citati saggi stratigrafici. Ma non è tutto perché San Marco nasconde anche un altro tesoro: la cosiddetta Cappella Pettenati.

Suddivisa in due cappelle dedicate una a San Nicola da Tolentino e l’altra forse a San Defendente, è inserita al centro di una quarta navata sinistra aggiunta nella seconda metà del XV secolo. Allo stato attuale è separata dal corpo centrale della chiesa da tamponature sagomate a nicchia. L’intenzione è quella di recuperarla in quello che si spera essere un immediato futuro.

Infine non dimentichiamo che una parte degli affreschi prima in San Marco, si trova ora al Museo Borgogna. Quando l’edificio fu sconsacrato a fine Settecento e diventò mercato coperto, vennero strappati alcuni lacerti della ricchissima decorazione in parte occultata da strati di scialbo successivi. Tra questi il frammento con i Monaci muratori e tre Scene della vita di Sant’Agostino e Monica, ulteriore prova di quanto fosse ricco l’apparato pittorico di quella che era una chiesa tra le più belle e ricche di Vercelli.

Massimiliano Muraro

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