Sono passati venticinque anni da quel giorno della primavera del 1994 in cui il chirurgo milanese Gino Strada, insieme ad un gruppo di amici e collaboratori fondò Emergency, associazione umanitaria il cui scopo sarebbe stato quello di portare aiuto alle vittime civili delle guerre e della povertà.
Da quel giorno, Strada e i suoi collaboratori hanno visto passare tanta acqua sotto i ponti e sentito fischiare tante bombe passare sopra le loro teste. A partire dal giorno in cui arrivarono in Africa per la loro prima missione, nel Ruanda dilaniato da una sanguinosa guerra civile; nella capitale Kigali semideserta, il gruppo di medici italiani si mise subito al lavoro ristrutturando e riaprendo il reparto di chirurgia dell’ospedale, e riattivato il reparto di ostetricia e ginecologia.
Da quel momento, superata l’iniziale diffidenza della gente locale e lo scetticismo che dall’Italia accompagnava la loro missione, gli uomini e le donne di Emergency hanno portato avanti con passione, professionalità e tanti sacrifici un lavoro capillare, costante e instancabile, che ha permesso loro in questi venticinque anni di costruire ospedali, ambulatori, centri di riabilitazione, posti di pronto soccorso e strutture sanitarie di ogni genere, in diciotto paesi colpiti dalle guerre. Un’opera che ha il sapore di una vera e propria impresa, un lavoro incessante che ha procurato molte soddisfazioni ai volontari di Emergency, ma anche tantissimi momenti di paura e grande difficoltà, come ha testimoniato lo stesso Strada ieri sera al Teatro Civico di Vercelli nel corso di “EMERGENCY: 25 anni di medicina, diritti e uguaglianza”, serata condotta da Andrea Cherchi e organizzata dai volontari della sezione locale dell’associazione milanese, in occasione del venticinquesimo compleanno di Emergency.
“Il fondamento su cui si basa il nostro lavoro – ha spiegato Strada al numeroso pubblico che ha affollato la platea del Civico – è uno solo ed è un concetto molto semplice, nulla di altisonante: portare le cure necessarie e adeguate a chiunque ne abbia bisogno, in special modo nei paesi colpiti dalla guerra. Fin dal primo giorno della nostra prima missione in Ruanda, abbiamo potuto toccare con mano cosa sia realmente la guerra e tutti gli orrori che può portare, soprattutto alle persone più deboli e indifese. Nelle guerre contemporanee, la percentuale di morti e feriti tra la popolazionecivile è ormai aumentata a dismisura, arrivando a circa il 90% del totale, di cui una su tre è un bambino; non bastasse, è altissimo anche il numero di chi, anche se sopravvive, rimane senza una casa, la possibilità di procurarsi del cibo, di essere curato da qualsiasi malattia. Nel corso di questi anni abbiamo assistito a situazioni terrificanti, che dovrebbero far riflettere i grandi della terra; perché le guerre le dichiarano i ricchi e potenti, ma a morire è la povera gente. E’ necessario, in tutto il mondo, lavorare in modo da fare un salto in avanti culturale, rispettando in pratica, e non solo sulla carta i diritti di uguaglianza e di tolleranza. L’uomo è l’unica specie del mondo animale che vede i propri simili ammazzarsi fra loro, e una specie che si comporta in quel modo, inevitabilmente, rischia l’estinzione. Ecco, il nostro impegno quotidiano, così come dovrebbe essere quello di tutti gli esseri umani, è far sì che la specie umana smetta di annientarsi da sola”.
f.m.