Dietro le quinte dei Segreti della Vercelli Medievale

L'architetto Daniele De Luca all'inaugurazione della mostra

Una settimana fa veniva tagliato il nastro della mostra I segreti della Vercelli Medievale. Era il 30 ottobre quando davanti ad Arca il sindaco Andrea Corsaro, l’arcivescovo Marco Arnolfo e con loro tutte le autorità esprimevano parole di speranza («un piccolo passo per tornare alla normalità», aveva detto Corsaro). Purtroppo ciò non è avvenuto e, a causa dell’impennata nella curva dei contagi, il Governo ha emanato un nuovo decreto che, tra le altre cose, chiude anche musei e mostre.

Per ora non si sa di preciso quando la cultura tornerà a vivere tempi migliori: si parla di una possibile riapertura il 3 dicembre, ma come si è visto bisogna navigare a vista, perciò ogni previsione, più o meno attendibile, può essere smentita da un giorno all’altro. «Del doman non v’è certezza», verso scritto da Lorenzo il Magnifico nel 1490, oggi più che mai suona come attuale.

In attesa di tornare ad ammirare i capolavori esposti nei musei, nei palazzi, nelle chiese senza che il pensiero corra necessariamente al pericolo di infettarsi, proviamo a raccontare I segreti della Vercelli Medievale, cominciando col dire che dietro a essa c’è la mano di un grande regista che nel nostro caso è l’architetto Daniele De Luca, direttore dell’Ufficio Beni Culturali dell’Arcidiocesi.

È lui che ha pensato, costruito e allestito questa mostra con «quattro ambientazioni, ciascuna facilmente distinguibile per i setti di separazione e per l’elastica e progressiva cromia degli spazi». Un percorso narrativo che racconta parte della storia di Vercelli dal IX al XIV secolo, periodo in cui la città ha vissuto uno dei suoi massimi splendori. Come tutti i registi esigenti, De Luca ha voluto accanto a sé uno degli attori migliori: il professor Alessandro Barbero, protagonista dei contenuti multimediali che spiegano e contestualizzano gli oggetti esposti.

Sono quaranta, di cui trenta di proprietà ecclesiastica. Provengono dall’Archivio Storico Diocesano, dalla Biblioteca Diocesana Agnesiana, dall’Archivio e dalla Biblioteca del Comune di Vercelli, dalla Fondazione Museo Tesoro del Duomo, dal Museo Leone e dall’Archivio di Stato. Sono diplomi, codici, donazioni, vendite, testamenti, protocolli, regolamenti, lettere, atti giudiziari, sentenze, manoscritti prodotti da chi visse a Vercelli nel corso del Medioevo.

Quando si parla di Medioevo non si può non pensare ad Alessandro Barbero, da venticinque anni docente all’Università del Piemonte Orientale dove ha insegnato ai suoi studenti a considerare quel periodo della Storia da un’altra prospettiva. Basta col luogo comune dei “secoli bui”, era tempo di svecchiare il Medioevo e Barbero ha centrato in pieno l’obiettivo.

Dal Dizionario del Medioevo, scritto con Chiara Frugoni, a Carlo Magno. Un padre dell’Europa, da Federico il Grande a Costantino il Vincitore, fino all’ultimo Dante, Alessandro Barbero ha saputo offrire una visione delle tematiche storiche a lui pertinenti, restando fuori dall’accademismo più noioso. La sua capacità divulgativa lo ha portato a collaborare con Piero Angela e a curare le trasmissioni della Rai Il tempo e la storia e Passato e presente.

«La mostra intende presentare una pluralità di voci: non solo i documenti e i codici più noti, quindi, ma anche le testimonianze apparentemente più modeste, e non per questo meno importanti, rappresentano concretamente la comunicazione e la vita di quei tempi», spiega nel catalogo De Luca che poi aggiunge «non si pretende di ricostruire dettagliatamente i fatti del tempo, ma di sottolineare le attività, i problemi, le consuetudini e renderli noti».

Ad accogliere i visitatori Vercella-Vercelli, una veduta raffigurante la città turrita, incisione che mostra come appariva la città nel 1730, spiegata dal primo video di Alessandro Barbero. Poi i diplomi degli imperatori Enrico IV, Corrado II e del vescovo Attone. Uno dei pezzi più pregiati e noti da non perdere è il Vercelli Book, codice in lingua anglosassone, redatto alla fine del X secolo, l’unico dei quattro manoscritti a essere custodito al di fuori dell’Inghilterra.

Di particolare interesse il Codice C, Evangelario festivo che riporta fini miniature risalenti tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, così come il Salterio con glossa di Pietro Lombardo e Hugo di Saint-Cher e il Breviario CLXX, la lettera circolare e i Decretales di papa Gregorio IX, il Bibliorum Concordantiae con le citazioni bibliche, il diploma dell’imperatore Ottone III al vescovo Leone, oltre a tutti quei documenti privati di cui si faceva menzione sopra.

Esposto anche il codice manoscritto membranaceo Volume I, conosciuto come I Biscioni, che contiene il patto Charta studii, stipulato a Padova il 4 aprile 1228, tra gli invitati del Comune di Vercelli e i rappresentanti dell’Universitas Scolarium, per la migrazione di massa, da Padova, di studenti e maestri al fine di costruire uno Studium a Vercelli. In esso rettori e scolari si impegnano ad adoperarsi affinché Universum Studium Padue si trasferisca a Vercelli per almeno otto anni, in modo tale da prendere possesso dei cinquecento alloggi messi a disposizione dal Comune. Era in pratica il primo nucleo dell’università vercellese che ancora oggi esiste come UPO.

Chiude la mostra un’ampia sala in cui si trovano esposti, seppure virtualmente, i quattro crocifissi ottoniani, cioè assimilabili al periodo degli imperatori del Sacro Romano Impero originari della Sassonia, che governarono dalla fine del X all’inizio del XI secolo. Sono quello commissionato dalla Badessa Raingarda, oggi custodito nella Basilica di San Michele a Pavia, quello della Cattedrale di Sant’Evasio a Casale Monferrato, quello di Ariberto, oggi al Museo del Duomo di Milano, e, soprattutto, quello della Cattedrale di Vercelli, voluto dal vescovo Leone.

Un’ipotesi futura è quella di radunarli per un’altra mostra in Arca. Così dopo l’esposizione della Magna Charta nel 2019, in occasione degli ottocento anni dalla posa della prima pietra della Basilica di Sant’Andrea, e dopo I segreti della Vercelli Medievale, che verrà riaperta non appena cesserà l’emergenza sanitaria, vedere insieme i quattro crocifissi ottoniani sarebbe un ulteriore passo per ricostruire il passato di Vercelli. Non è un’operazione fine a sé stessa, ma necessaria perché conoscere la Storia ci serve e ci servirà sempre per comprendere meglio il mondo che ci circonda. A maggiore ragione oggi che è messo sottosopra.

Massimiliano Muraro

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