Chiuso locale che impiegava lavoratrici in nero

Aveva dipendenti del tutto innero retribuite  con somme bassissime rispetto a quanto previsto dal contratto collettivo nazionale e imponendo turni molto più lunghi del previsto.

 

Un imprenditore 53enne residente nel novarese è stato denunciato dai carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Vercelli, con le accuse di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Il locale, che si trova a Formigliana, è stato messo sotto sequestro su disposizione del Gip del Tribunale di Vercelli.

 

L’indagine ha avuto inizio nel febbraio scorso. I Carabinieri dell’Ispettorato del Lavoro insieme a quelli della Stazione di Casanova Elvo hanno svolto un’ispezione in un esercizio di ristorazione di Formigliana. Al momento dell’accesso, i militari hanno trovato nel locale due lavoratrici e hanno visionato la documentazione afferente la loro situazione d’impiego. Sin dall’inizio, però, le verifiche hanno evidenziato chiare irregolarità sulla loro posizione lavorativa, dalla quale risultava più che evidente che non erano state regolarmente assunte. Pertanto, i militari hanno acquisito tutta la documentazione necessaria agli approfondimenti ed applicato le disposizioni previste in materia di lavoro, intimando all’imprenditore di provvedere celermente alla regolarizzazione delle lavoratrici.

 

Successivamente all’ispezione, i Carabinieri hanno approfondito lo studio dei documenti acquisiti, svolgendo anche servizi di osservazione e raccogliendo dichiarazioni testimoniali per chiarire una situazione che, effettivamente, appariva ancora più grave di come si era inizialmente presentata. Infatti, gli operanti hanno potuto accertare che il datore di lavoro, approfittando dello stato di bisogno di persona disoccupata e con famigliari a carico, aveva reclutato una delle due cameriere trovate il giorno del primo accesso, ma hanno anche verificato che anche una seconda lavoratrice, ormai da qualche tempo non più impiegata presso quel ristorante, si trovava nei mesi precedenti nella stessa situazione.

 

Tutte e tre le donne, italiane residenti in zona, erano comunque sempre state impiegate “in nero” nel ristorante con mansioni di cuoca, barista e cameriera. Due di loro, però, sono state sottoposte nel tempo a condizioni di autentico sfruttamento. Infatti, è emerso in maniera evidente che alle lavoratrici era stata reiteratamente corrisposta una retribuzione estremamente ridotta, circa 150 euro a settimana, compenso palesemente difforme da quanto previsto dal contratto collettivo nazionale “turismo/pubblici esercizi”, riferito alle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale e, comunque sproporzionata rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato.

Inoltre, è anche emerso che i turni di lavoro cui le donne venivano quotidianamente sottoposte erano notevolmente superiori a quanto disposto dalla normativa relativa all’orario di lavoro, ma anche che non venivano mai garantiti gli spettanti periodi di riposo infrasettimanale, analogamente alle ferie, mai concesse.

 

La gravità del quadro emerso è stata puntualmente rapportata alla Magistratura vercellese, che ha pienamente condiviso la tesi degli operanti, tanto che il GIP del Tribunale di Vercelli si è pronunciato disponendo il sequestro preventivo del locale, eseguito il 6 giugno scorso dai militari che hanno condotto le indagini.

 

Nel momento della notifica del sequestro, i militari dell’ispettorato del Lavoro e della Stazione di Casanova Elvo hanno però constatato una ulteriore novità che ha destato sorpresa. Il datore di lavoro aveva dovuto sanare l’irregolarità relativa al lavoro nero rilevata durante la precedente ispezione, ma ha di fatto regolarizzato la posizione delle due attuali cameriere con un contratto di lavoro part-time, ma nel corso dei giorni le condizioni di impiego non erano per nulla mutate, lo stipendio era sempre quello, come di fatto non erano diminuite le ore di lavoro e per quel che riguarda i riposi o le ferie…. nemmeno a parlarne.

 

Pertanto, nelle more delle ulteriori valutazioni della Magistratura, il locale rimane in sequestro. L’imprenditore rischia sanzioni amministrative che potrebbero ammontare a circa 25.000 euro e un recupero di oneri contributivi previdenziali di oltre 50.000 euro.

 

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