Caso Quaglia: il 5 febbraio sarà fatta giustizia per l’imprenditore vercellese?

Marco Quaglia compirà 60 anni il prossimo mese di marzo

La data è stata (finalmente e ufficialmente) confermata: il 5 febbraio potrebbe dissolversi l’incubo che da quasi nove anni e mezzo grava sull’imprenditore edile vercellese Marco Quaglia: quello che lo vede coinvolto in una vicenda processuale tanto inverosimile, quanto, purtroppo per lui, maledettamente concreta, e tutto a causa dell’odio di una donna nei confronti dell’ex marito. Si tratta dell’ex portiere di Sampdoria, Lazio e Torino Matteo Sereni e della ex moglie Silvia Cantoro (leggi qui)

Venerdì 5 febbraio, Quaglia si presenterà davanti ad un Gup, il Giudice delle Udienze Preliminari del Tribunale di Cagliari, che stavolta è Michele Contini, per la terza volta, forte, come le altre due volte, di una richiesta di archiviazione totale dalle gravissime accuse che gli sono state rivolte da una bambina che all’epoca dei fatti aveva 4 anni: accuse che oggi lo stesso pm Gilberto Ganassi – nella richiesta di archiviazione del 18 dicembre 2019 – definisce “intrinsecamente poco verosimili”.

A pochi giorni dall’udienza che potrebbe fare giustizia di nove anni e mezzo di gogna, anche mediatica, Marco Quaglia ci concede questa intervista, che pubblichiamo ben volentieri.

Potrebbe essere finalmente essere la fine di un incubo…

“L’ha detto, potrebbe. Ed io ci spero, al punto che anche stavolta voglio essere presente all’udienza preliminare, anche per guardare in faccia, se ci saranno, la donna che mi ha rovinato la vita e il suo ex marito, nonché mio ex amico, che non ha fatto niente per aiutarmi, quando era palese che io stavo semplicemente pagando, e a quale prezzo, l’amicizia nei suoi confronti e il tentativo di aiutarlo”.

Pensa di poter parlare in udienza?

“Penso purtroppo di no, ma qualora mi venisse concesso di farlo, dirò tutto ciò che penso e che in questi anni non ho mai potuto dire pubblicamente perché, non dimentichiamolo, io non sono mai riuscito in tutto questo tempo a poter esporre pubblicamente la mia difesa: sono stato alla gogna più di nove anni, ma mai un processo. Solo accuse, avvisi di garanzia, perquisizioni, sequestri. E non solo. Quando finalmente le Iene, colpite dalla mia vicenda, hanno realizzato un servizio completo e impeccabile, che avrebbe potuto ricostruire tutta la vicenda, grazie alla grande professionalità di Alessandro de Giuseppe, ecco che la Cantoro, appellandosi alla legge che tutela i minori, legge che non aveva mai preso in considerazione per oltre nove anni, l’ha bloccato, mandando una diffida ai legali di Mediaset. Un peccato che il servizio – che pure le Iene cercheranno prima o poi di mandare in onda nel pieno rispetto di tutte le leggi a tutela dei minori – non possa quasi sicuramente uscire prima di venerdì 5 febbraio. In ogni caso, a tempo debito, il racconto di quanto mi è successo, e che ha colpito gli stessi avvocati di Mediaset, che non avevano mai sentito nulla del genere, ci sarà: e allora ognuno dovrà fare i conti con la propria coscienza”.

Come si sente in questo momento?

“Stanco, molto stanco, ma battagliero, ben diverso dal Marco Quaglia che, disperato, tentò il suicidio in un albergo di Olbia il 22 novembre 2019 e che fu salvato da una dipendente dell’hotel. Dal Marco Quaglia che si inflisse un blackout di ben sessanta ore nella sua vita e un lungo ricovero ospedaliero. Ora vedo uno spiraglio, e se lo spiraglio diventerà, come mi auguro, un’autostrada di luce, ricomincerò la mia vita, da dove l’avevo lasciata, cioè dalla Sardegna, da Arzachena”.

Si pente della scelta di essere tornato a Vercelli, quando scoppiò il caso?

“E’ una risposta difficile da dare. In parte sì perché avrei dovuto essere forse più forte, più coraggioso. Ad Arzachena c’era la mia vita, anche e soprattutto la mia vita professionale, c’erano gli affetti, le amicizie che avevo coltivato per anni. Ma c’era anche l’infamia che mi aveva scagliato addosso un giornalista, c’erano le scritte che che erano apparse in quei giorni sui muri vicino a casa mia: ‘Pedofili morti’. Ecco perché ho dovuto abbandonare la Sardegna. Però, e questo è il rovescio della medaglia, Vercelli, la mia Vercelli, mi ha accolto in modo straordinario, ed io non potrò mai dimenticarlo. Quando ho deciso di raccontare il mio caso prima sui social poi sui giornali, sono ricomparsi tanti amici e ne sono arrivati di nuovi. Il discorso degli amici è bello e doloroso assieme: alcuni se ne sono andati, ed evidentemente non erano amici veri. Ma quelli che ho potuto passare al setaccio, un setaccio fatto di buchi infinitesimali, e che non sono spariti, costituiscono una zoccolo duro sul quale so di poter contare per sempre. Ho avuto prove di affetto e di solidarietà, anche da parte di professionisti seri e valorosi, come gli avvocati Mussato e Casalini. E poi c’è stata mia mamma, la mia straordinaria mamma, che a Vercelli tutti conoscono e apprezzano, che è stata un punto d’appoggio enorme, solido, prezioso. Tutte queste persone mi stanno dando la carica per ricominciare: e se finalmente un Tribunale farà giustizia, nei prossimi giorni, ripartirò con tutti loro nel cuore”.

Edm

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