Caleb, le celle telefoniche smentiscono la sua versione

Sono le celle telefoniche, nei giorni in cui l’uomo chiama i conoscenti per chiedere aiuto, a smentire Caleb. L’homo, accusato di averucciso la mamma adottiva, raccontava di essere  lo danno a Vercelli, a pochi passi da casa. Sono le «bugie» dell’imputato, smentite dalle indagini sui tabulati telefonici, ad emergere ieri nell’aula della Corte d’Assise di Novara.

Era il 10 luglio dello scorso anno e anche quel giorno il figlio aveva detto di essere rientrato in casa a metà pomeriggio e di averla trovata morta in bagno, mentre i tabulati dicono una cosa contraria: «Intorno alle 15,10 – dice un poliziotto della mobile di Vercelli, sentito come testimone – il cellulare di Caleb aggancia la cella vicino alla loro abitazione, poi si sposta verso est facendo una sorta di giro circolare in città fino a rientrare a casa».

IL 2 luglio 2018 c’è un’intensa attività telefonica dell’imputato. Proprio nel giorno in cui lui dice di essere rimasto vittima di un misterioso sequestro ad opera di due sconosciuti che hanno minacciato di uccidere lui e la madre se non avessero accettato di trasportare uranio radioattivo dal Camerun all’Italia. Caleb avrebbe detto di trovarsi nei pressi della clinica S. Rita, ma le celle «lo collocano da un’altra parte di Vercelli», dice ancora il poliziotto.

Per i pm Davide Pretti e Francesco Alvino, il sequestro denunciato da Merlo è uno dei tanti alibi che l’uomo, con grande lucidità, si sarebbe costruito per depistare le indagini.

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