Arte da scoprire: gli affreschi della chiesa di Santa Caterina a Costanzana

Costanzana è un piccolo paese della bassa vercellese che si trova tra Asigliano e Trino. Ha una vocazione prettamente agricola che conserva con orgoglio e fierezza. Oggi conta 730 anime, ma sul finire del 1800 gli abitanti erano 2.880, come racconta il parroco Don Denis Silano, qui in carica da tredici anni. Poi Costanzana ha seguito la sorte di molti piccoli centri, comprese le vicine frazioni di Saletta e di Torrione, che un tempo erano organismi pienamente autonomi. A Torrione, tanto per fare un esempio, c’erano anche le scuole elementari, la cui insegna sbiadita dal tempo si può osservare ancora adesso. La crisi dell’agricoltura, l’avvento dell’industrializzazione, la migrazione verso la città, il pendolarismo sono solo alcune delle cause che hanno contribuito allo spopolamento.

Eppure Costanzana custodisce un piccolo gioiello artistico, sconosciuto ai più. È la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, poco distante e quasi di fronte alla parrocchiale di San Martino. L’interesse non è da ricercarsi tanto all’esterno dell’edificio, che molti passando credo ignorerebbero, quanto in ciò che è custodito al suo interno. Un pregevole ciclo di affreschi con gli episodi della vita di Santa Caterina che si sviluppa su tre pareti e che culmina con la pala d’altare attribuita alla scuola di Bernardino Lanino.

Prima di addentrarci nella sua analisi specifica però occorre fare un passo indietro. Più di preciso all’insediamento di Don Denis Silano che, da appassionato cultore dell’arte e, più prosaicamente, trovandosi a celebrare la Santa Messa nella chiesa, notò subito la qualità degli affreschi che però all’epoca non erano ancora leggibili come lo sono oggi. È a questo punto che entrano in scena Giovanni Ronza e Antonio Fra, quest’ultimo priore in carica della Confraternita, i quali colpiti dall’entusiasmo del loro parroco decisero di dargli una mano per rimettere in sesto Santa Caterina.

Don Denis Silano e il priore Antonio Fra, artefici del recupero.

Si partì consolidando la struttura, in particolare il tetto che presentava delle infiltrazioni, poi, grazie anche all’interessamento del Comune di Costanzana e degli abitanti del paese, fu interpellata una ditta di Torino specializzata in restauri che, tramite indagini geologiche stratigrafiche prima e un’accurata operazione di pulitura poi, riportò gli affreschi a nuovo splendore.

Nel frattempo erano anche arrivati un impianto per frenare l’umidità di risalita e uno di riscaldamento, due strumenti indispensabili per la buona conservazione dei dipinti. Il lavoro da fare è ancora tanto, spiegano Don Denis e Antonio, ma già adesso gli affreschi sono leggibili nella loro interezza. Anzi è addirittura possibile osservare in alcuni punti porzioni di intonaco precedenti all’attuale decorazione.

La distribuzione dello spazio è però diversa da come doveva presentarsi in origine. Innanzitutto, l’aula era divisa in due parti: in una prendevano posto i fedeli, nell’altra il clero, dove si trovava anche il coro ligneo (quello che si vede oggi è ottocentesco), con una soluzione che ricorda quella della chiesa della Confraternita di San Bernardino a Vercelli. Oggi la disposizione è quella tradizionale con i banchi che occupano tutta la navata e l’altare con la custodia del Santissimo Sacramento appoggiato al muro di fondo, sotto alla pala.

«Questa chiesa – ci hanno spiegato Don Denis Silano e Antonio Fra che molto gentilmente ci hanno aperto l’Oratorio di Santa Caterina – fu stravolta durante gli anni ’70 nel furore postconciliare. Il primo nucleo dell’edificio che dovrebbe essere addirittura quattrocentesco, aveva un’apertura laterale che dava sul coro, e non c’erano né la sacrestia né l’aula di accesso dal campanile, aggiunte in seguito. I lavori di restauro sono cominciati tre anni fa sotto la spinta di Giovanni Ronza, oggi vice priore e Antonio Fra. Stiamo scoprendo un pezzo alla volta. Ci piacerebbe che questo ciclo di affreschi venisse studiato, magari con l’intervento diretto dell’Università del Piemonte Orientale».

Nella Vercelli Sacra del 1909 (poi ristampato in edizione anastatica nel 1995), l’autore Riccardo Orsenigo racconta che «conservasi in questa chiesa un’antica e pregevole tavola rappresentante la Vergine col Putto sedente in trono. Ha alla destra S. Caterina Vergine, e S. Eusebio (o S. Grato) a sinistra. Al basso del quadro stanno cinque confratelli da una parte, e quattro dall’altra. La tavola è pressoché quadrata, di metri 2: probabilmente fu tagliata. È in buono stato, ed è ritenuta certamente della scuola del Lanino. Nella stessa chiesa vi hanno frammenti di antichi affreschi di scuola vercellese. Sono figure a due terzi del naturale, ed arieggianti quella del Giovenone nella parrocchiale di S. Giuliano in Vercelli».

Orsenigo descrive con dovizia di particolari la sua visita. Nulla da eccepire sulla sua arguzia iconografica, giacché le figure da lui elencate sono del tutto riconoscibili, fuorché il Vescovo sulla destra che egli identifica con Sant’Eusebio o San Grato. Parlando con Don Silano, lui è più propenso ad accostarlo a Sant’Agostino o a Sant’Alberto da Vercelli, dal momento che reca sotto il braccio un libro con la regola. I confratelli dei Disciplinati, inginocchiati ai piedi della Vergine, sono incappucciati e vestiti di bianco, con il cilicio legato al fianco, elemento poi ripetuto nella parte inferiore della parete dove si innalza la pala, vale a dire dove si rilevano lacerti di affreschi, sicuramente precedenti a quelli attigui con le scene della vita di Santa Caterina.

La tavola posta sull’altare, attribuita alla scuola di Bernardino Lanino (si notano le lacune che lasciano intravedere il legno sottostante).

Purtroppo la tavola, collocata in un’edicola (piuttosto grossolana a dire il vero) delimitata da una cornice decorata con candelabri a stucco e aggiunta in epoca posteriore alla costruzione della chiesa, presenta delle lacune evidenti (nonostante un restauro degli anni ’80 del secolo scorso), che lasciano intravedere il legno sottostante, sul busto della Vergine e sul volto del Vescovo. Una datazione approssimativa potrebbe farla risalire immediatamente dopo la metà del XVI secolo, ovvero dopo che Bernardino Lanino nel 1565 aveva realizzato per la Confraternita di Sant’Anna lo stendardo della Madonna col Bambino e Sant’Anna in trono, custodito al Museo Borgogna. Dal confronto tra le due opere emergono elementi comuni, quali il baldacchino sotto il quale si svolge la scena, gli abiti e la postura dei confratelli inginocchiati, nonché l’incarnato delle figure femminili.

Ai lati della pala due episodi della vita di Santa Caterina: a sinistra il martirio con la ruota dentata che poi si ruppe, costringendo l’imperatore Massimino a farla decapitare; a destra il sovrano che condanna la donna davanti a un nutrito gruppo di personaggi, abbigliati alla moda cortigiana, tra i quali spicca un nano che volge lo sguardo allo spettatore (simile a quello dipinto da Gaudenzio Ferrari che partecipa all’Adorazione dei Magi nella Cappella della Beata Vergine in San Cristoforo).

La decapitazione di Santa Caterina si trova sulla parete di destra, dopo i ritratti della Maddalena Penitente e del Beato Amedeo, eseguiti nel 1622 come recita il cartiglio retto da quest’ultimo. La narrazione della sua vita è chiusa dagli angeli che vegliano il corpo della Martire, sdraiato e custodito dentro una costruzione di stile classico al cui interno volteggiano delle rondini (secondo la tradizione gli angeli portarono Caterina su un monte).

Le altre scene presenti, che appartengono a mani diverse, sono, ancora sulla parete di destra, Caterina che va incontro all’Imperatrice mentre va alla morte, dove segnaliamo l’opulenza degli abiti delle due donne; l’Imperatrice convertita. Sulla parete di sinistra Caterina che dialoga con un angelo recante un cartiglio con la scritta di quella che sarà la sua missione: Convertirai filosofi e popoli al vero Dio; Caterina che fa l’elemosina ai poveri; Caterina di fronte all’Imperatore e mentre converte i saggi al Cristianesimo; la Flagellazione che dal punto di vista della composizione risulta essere piuttosto interessante, richiama la Flagellazione più celebre, ovvero quella di Piero della Francesca. Curiosa in questo caso la soluzione della profondità di campo che Don Denis Silano ha proposto avere un suo parallelo nelle cappelle del Sacro Monte di Varallo.

Flagellazione di Santa Caterina.

«La vulgata relativa a questi affreschi tendeva a datarli negli anni ’20 del Seicento, attribuendoli alla cerchia del Moncalvo – hanno proseguito Don Denis Silano e Antonio Fra – Tuttavia dopo i restauri sono emersi tre stadi: uno più antico, visibile in alcune porzioni, l’altro alla metà del Cinquecento e un terzo, più tardo, crediamo all’ultimo quarto dello stesso secolo». L’auspicio è che presto il dubbio sulla cronologia, sull’attribuzione e sull’esatta iconografia venga sciolto, affinché il ciclo venga consegnato al posto che gli spetta nella Storia dell’arte. Nel frattempo il nostro consiglio è di fare un salto a Costanzana: la chiesa di Santa Caterina vale il tempo speso per la visita.

Massimiliano Muraro

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