Vercelli – “Una vita che si può definire entusiasta fino all’ultimo, anche nella lotta contro la malattia”. Lo ha detto questa mattina don Eusebio Viretto, il parroco di San Salvatore nell’omelia durante i funerali di Marco Reis.
Nella chiesa di corso Libertà, affollata di amici (giornalisti, politici e amministratori, tanti volontari della Rete), anche il “picchettò d’onore” del’amato Terzo Artiglieria “Pastrengo”.
In una torrida mattina di luglio, Vercelli ha salutato commossa un combattente e un polemista, ma soprattutto, come ha ricordato la moglie Anna – in un addio carico di verità e di sentimento – un “visionario”, che pensava in continuazione a come trasformare in meglio la sua Vercelli. “Aveva il cervello sempre in movimento – ha detto Anna -, pieno di progetti, di visioni al punto di dimenticarsi i figli nel bosco e il cane legato al palo segnaletico davanti alla panetteria”.
”Quando Valentina ha partorito – ha continuato – siamo accorsi a Lione. Marco era felice, ma poi ha detto: ‘Ti lascio qui la mamma perché devo tornare subito a casa per la ‘Rete’. Eppure non c’era modo di arrabbiarsi con lui perché, come suoi padre, ancora oggi amatissimo dai suoi ex allievi, Marco aveva una testa piena di battaglie, aveva una ‘visione’: quella della Vercelli ideale, ma non di adesso, la Vercelli che bisognava costruire giorno per giorno per i prossimi 50 anni, e oltre. Vi ringrazio oggi di essere qui, e vi prego di portarvi per sempre nel cuore questa visione, la visione di Marco”.
Anna Ivaldi ha detto queste cose davanti ai figli Adriano e Valentina, a genero e nuora, ai nipoti presenti anche per quelli che non potevano essere lì; i nipoti che egli adorava: Penelope, Alice, Mila, Liam, Noha.
Ai più piccolini, un giorno Anna ed in figli racconteranno chi era il nonno il cui “carattere burbero – come ha ricordato, sempre oggi, in chiesa l’amico fraterno Gianmario Ferraris – nascondeva in realtà un cuore fanciullo e generoso, sempre pronto ad aiutare gli altri”.
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Ai ricordi toccanti di don Eusebio, di Ferraris e soprattutto di Anna, voglio aggiungere, assai più immodestamente, il mio.
Caro Marco, caro testone,
quando il tuo funerale è terminato, ho abbracciato Anna e lo ha detto: “Ciao, cara. Ho litigato cinquant’anni con lui, ma sai che gli volevo bene”.
Non avevo bisogno di dirglielo, ma lo sapeva. Ti ho conosciuto con l’amico Marco Ciocchetti nella Fgci, che non è la Federcalcio, ma l’associazione giovanile del Pci. E oggi mi ha colpito che Anna abbia proprio ricordato quello sciopero per la liberazione di Panagulis che, in qualche modo, con te in testa, la Fgci e il nascente Comitato studentesco patrocinarono quando entrambi avevamo 17 anni. Fu uno dei primissimi scioperi generali degli studenti a Vercelli e vi aderimmo in tantissimi, anche se poco sapevamo (lo confesso) dei colonnelli greci, di Panagulis e della Fallaci.
Poi ci ritrovammo, pochi anni dopo, su fronti contrapposti del giornalismo vercellese: tu dalla parte allora ultra progressista (prima redattore poi direttore dell’Amico del Popolo), io da quella un po’ più moderata (ma tu già la definivi reazionaria) della Sesia. E furono subito botte: tu a difendere a spada tratta tutto ciò che faceva la giunta di centrosinistra, io ad accanirmi soprattutto contro le iniziative culturali di quello che è oggi uno dei mie migliori e veri amici, Marco Barberis.
E poi tu consigliere comunale a tuonare – spesso anche contro il tuo stesso Pci – pur dai banchi della maggioranza ed io a riferire – stavolta sulla Stampa – alcuni scontri epocali con il Dc Gianfranco Bertone.
Quindi, tu te ne andasti a Biella, e ci perderemmo. Ti ritrovai non più comunista ma “alleato” con il centrodestra e, conoscendoti, non mi stupii per niente. Non ti considerai affatto un voltagabbana proprio perché, pur non avendo ben messo a fuoco il concetto di “visione” – oggi espresso in modo straordinario da Anna -, avevo capito che una certa sinistra forcaiola e con la puzza al naso non poteva starti bene. Già ti permettevi di punzecchiare un mito qual era Baiardi, figurarsi i suoi nipotini imbevuti di troppa ideologia dipietresca.
E poi è arrivata la stagione di Facebook e della tua straordinaria idea della “Rete”. Se non ci siamo ritrovati per niente sul progetto dell’ippodromo, la Rete ci ha riuniti. Abbiamo comunque continuato a litigare, soprattutto quando mi hai spiegato perché non avresti votato per me, annunciandomi la tua scelta che successivamente (ma toh!) avresti abiurato. Ci siamo “mandati” e “ritrovati”.
Sei stato un grande a rispolverare la Processione del Guado, perché quando riuscirvi a concretare le idee che ti vorticavano in testa, i risultati erano notevoli: vedi quello che, pomposamente, avevi chiamato il campionato “mondiale” della Panissa. Un’idea più che centrata che però ti consentiva anche di continuare a polemizzare (ricordo un duello rusticano, via Facebook, con uno chef che aveva osato contestarti sulla ricetta tradizionale del nostro piatto per antonomasia).
Poi, poco più di un anno fa, ecco che (ricordo bene, ero in Consiglio comunale), mi arriva la notizia che stavi male. Molto male. Non ho avuto il coraggio di telefonarti e l’ho fatto solo quando le notizie sembravano un po’ più rassicuranti, cercandoti con un pretesto. Ricordo quella telefonata, perché mi aveva risollevato il morale: quel “Ciao, ragazzo” mi aveva allargato il cuore. Eri tu, sempre tu, malato, ma combattivo, vulcanico e testone. Ricordo anche l’ultima telefonata sulle elezioni che erano in dirittura d’arrivo: la tua analisi, che ovviamente non condividevo. E allora il discorso virò, di colpo, sulla Rete, che stava facendo cose fantastiche: “Ti sei convinto, ragazzo, che è stata una bella idea?”. Non potei che convenirne.
L’altra sera, tornando da Santhià, dove ero andato ad assistere ad un incontro pubblico sulle Mafie con il procuratore, metto la macchina in garage e incrocio Alessandro Balbis: “Mi hanno detto che è morto il Marco”. Era sconvolto, Balbis. Un paio di telefonate e, purtroppo l’atroce conferma.
Sono andato subito a vedere la tua pagina di Facebook, che era ferma a un paio di settimane addietro, forse più. L’ho scorsa in grande parte, prima che Anna ci postasse quell’addio che ci ha fatti piangere , prima che la rimuovesse. E ti ho ritrovato.
Oggi molti stanno dicendo e scrivendo, che mancherà a Vercelli una voce fuori dal coro.
A me mancherà un caro testone contro cui (avendo pure io la testa dura) ho duellato per mezzo secolo. Qualcuno una volta ti definì l’Elefantino, pensando appunto ai danni che un pachiderma può combinare in cristalleria. Io invece, ogni volta che mi veniva in mente quel termine, associato a te, ti vedevo come una sorta di Giuliano Ferrara della Bassa, intelligente e provocatore. Un giornalista, con cui potevi essere perennemente in disaccordo, ma che aveva una “visione”. Come ha detto Anna. E solo chi ha ideali e visioni – e che combatte per affermarli – non spreca la sua vita.
Ciao, testone, ciao ragazzo. Ti sia lieve la terra, la nostra terra.
Enrico