Processo Eternit bis, a Vercelli i familiari delle vittime chiedono giustizia

Riparte da Vercelli il processo Eternit bis. Undici anni dopo dall’apertura del primo maxi procedimento a Torino per disastro ambientale le famiglie delle vittime cercano ancora giustizia.

Per le sorti dei 392 casalesi morti a causa di malattie provocate dall’amianto, principalmente il mesotelioma, ora dovrá decidere la Procura di Vercelli. Per questo ieri, ancora una volta, i familiari delle vittime sono scesi in piazza. Unico imputato è l’imprenditore svizzero Schmidheiny. A decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio avanzata dai pm Roberta Brera, Fabrizio Alvino e Gianfranco Colace, il giudice Fabrizio Filice.

“Si va avanti, nonostante tutto, perché si deve. Se fossimo delusi anche questa volta, continueremo a cercare giustizia, a lavorare perché cambi la cultura che ha reso e rende tutt’ora possibili queste tragedie”. Maria Assunta Prato, rappresentante delle vittime e familiari vittime di Amianto ha osservato per tutta la mattina gli avvocati delle associazioni che ieri mattina si sono presentate in tribunale per costituirsi parte civile. Così come ha fatto anche lei con Afeva. Era per suo marito, Paolo Ferraris, l’assessore regionale che, ben prima di ammalarsi di mesotelioma, aveva dirottato su Casale un cospicuo contributo per dare avvio all’imponente bonifica. Il suo nome è nel lungo elenco delle vittime decedute per aver respirato quella fibra mortale.

 

“In quegli anni l’amianto era stato usato un po’ ovunque, anche in strade e impianti sportivi, difficile non aver a che fare con le polveri”. Pietro Condello, ultrasettantenne, era operaio alla fabbrica del Ronzone. Sopra la sua tuta da lavoro indossa la bandiera diventata il simbolo della lunga battaglia legale. “Con l’amianto ha lavorato per 25 anni, fino alla chiusura della fabbrica – ricorda-. Eravamo in 50 nel mio reparto. Oggi sono rimasto solo io”.

A portare la loro solidarietà anche i sindacalisti di Reggio Emilia e Rubiera, dove si stanno istruendo processi analoghi. E poi persone comuni, toccate dalla tragedia.

“Speriamo che questa volta Schmidheiny non la faccia franca: vittime di amianto ce ne sono state e ce ne saranno ancora – dice Italo Ferrero-. Ho avuto quattro familiari morti di amianto, tra cui uno di 49 anni che non ha mai lavorato in fabbrica. L’unica sua ‘colpa’ è stata quella di aver respirato l’aria di Casale.
Continueremo ad avere morti fino al 2040 solo per aver respirato la fibra killer: Schmidheiny deve pagare, perché era consapevole che stava uccidendo centinaia di persone”.

Se l’imputato, al termine dell’udienza preliminare dovesse essere rinviato a giudizio per omicidio doloso, il processo in Assise si svolgerebbe a Novara; se fosse incriminato di omicidio colposo, sará giudicato a Vercelli.

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