Il Premier Conte contrario a qualsiasi riapertura anticipata: lockdown duro fino al 3 maggio

 

Il Governo, guidato dal Premier Conte, pare non avere nessuna intenzione di cedere alle pressanti richieste dei governatori delle Regioni, soprattutto di alcune del nord, per una riapertura più veloce al 27 aprile. Per Conte non si deroga e prevale la linea dure del lockdown almeno fino al 3 maggio.

Nessuna concessione più larga agli spostamenti, nel timore che ciò possa causare nuove ondate di epidemia, pare però vi sia uno spiraglio per l’allargamento delle maglie di alcune filiere produttive solo sulla base delle linee guida dell’Inail e sui lavori meno rischiosi.

 

A consigliare Conte sulla linea dura sono stati i tecnici del comitato scientifico, sostenuti dal ministro alla Salute Roberto Speranza, che hanno convinto il premier a respingere il fronte ai governatori che scalpitano per una ripartenza generalizzata già il 27 aprile per l’edilizia e i settori più esposti alla concorrenza.

 

 

Conte ha comunicato ai governatori le sue intenzioni dopo aver fatto il punto con i rappresentanti della maggioranza. Con lui il capo della task force per la “fase 2” Vittorio Colao, il presidente Iss Silvio Brusaferro e il presidente del Css Franco Locatelli. Erano presenti i ministri Roberto Speranza, Francesco Boccia e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro. Alla cabina di regia in collegamento i governatori Bonaccini, Fontana e Musumeci per le Regioni, Decaro, Pella e Raggi per l’Anci.

 

Il Governo dunque tira dritto sulla linea dura. E sottolinea che le notizie circa l’apertura di attività produttive o l’allentamento di misure restrittive già per lunedì prossimo «sono prive di fondamento» e quindi rimangono in vigore tutte le restrizioni conosciute almeno fino al 3 maggio. «Non è prevista nessuna modifica. Gli effetti positivi di contenimento del virus e di mitigazione del contagio si iniziano a misurare ma non sono tali da consentire il venir meno degli obblighi attuali e l’abbassamento della soglia di attenzione».

 

Da Palazzo Chigi però arriva anche la notizia che il premier ha lavorato, assieme ai rappresentanti delle varie realtà produttive, a un «programma nazionale che possa consentire una ripresa di buona parte delle attività produttive in condizioni di massima sicurezza». Un programma, viene precisato, che «integri una gestione coordinata delle attività industriali, della logistica, dei trasporti e che tenga sotto controllo la curva epidemiologica nella prospettiva di un controllo della sua risalita». Tutt però senza arrivare più al sovraccarico delle strutture ospedaliere. E su questo punto sulla necessità di avere linee guida nazionali per gestire in modo uniforme la ripresa delle attività economiche, anche i governatori delle regioni si sono detti d’accordo.

 

Come al solito però la frenata del Governo potrebbe non essere sufficiente, infatti l’applicazione dei principi su base territoriale si potrebbe discostare e di molto. Ed è lo stesso Governo, quasi contraddicendosi, a parlare di intenzioni di una modulazione territoriale delle misure. A quanto pare per la riapertura del 4 maggio non sarebbe valido un criterio per tutto il territorio e nemmeno per macroregioni. Saranno prese invece in considerazioni le singole realtà regionali. Maggiori aperture per quelle Regioni che hanno una bassa percentuale di contagi e decessi come Molise e Basilicata, ma anche Sicilia, Calabria e Puglia.

Un allentamento minore ci sarà invece in Piemonte, Lombardia, in un pezzo Emilia-Romagna (province di Piacenza, Rimini e Ravenna) e Marche (Pesaro) e la parte occidente del Veneto. Al criterio territoriale viene aggiunto quello anagrafico: tenere il più possibile in casa le persone che hanno dai 65/70 anni garantendo loro dei servizi domiciliari. Insomma, per gli anziani la quarantena resta anche dopo il 4 maggio, con possibilità di uscire solo per fare la spesa.

 

Vi sono poi criteri che saranno seguiti sulla tipologia delle attività produttive e lavorative. Chi potrà riaprire il 4 maggio? Per ora apre che possano ripartire attività come Cave e miniere, edilizia (per Bonaccini anche il 27 aprile per le attività esposte alla concorrenza internazionale, e qui vi è un nuovo punto di contraddizione nel Governo), attività immobiliari, servizi di supporto alle imprese, commercio all’ingrosso e buona parte dell’industria manifatturiera, comprese quelle metallurgiche, automobilistica e dei mobili.

 

Su questa linea il capo della Task Force per la fase 2, Colao, accogliendo le indicazioni degli scienziati, sta preparando dei modelli di produzione a garanzia di sicurezza che prevedono anche turni di lavoro più brevi ma a copertura di un arco temporale più esteso. L’idea sarebbe di non andare tutti a lavoro tra le 7.30 e le 8.30, per uscirne sempre tutti insieme dopo otto ore. Ci saranno piuttosto turni scaglionati, che inizieranno anche quando è ancora è notte e non è escluso che per consentire il famoso distanziamento si finisca per lavorare anche nei fine settimana. Il punto sarebbe quello di diluire l’afflusso di lavoratori anche sui mezzi di trasporto. Poi mascherine per tutti, mense sospese e misurazione della temperatura, in linea con il protocollo siglato da imprese e sindacati il 23 marzo.

 

Rimane il no a bar e ristoranti: per ora di tirare su le serrande non se ne parla. In bilico c’è invece l’apertura dei negozi, sempre con rigide norme di distanziamento, rispettando la regola «un cliente ogni 40 metri quadri». Se dovessero riaprire i negozi l’obbligo di quarantena e dell’autocertificazione si trasformerebbero in raccomandazioni. Più “insistite” per gli anziani.

 

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