Il Museo Leone svela i tesori rinascimentali di Casa Alciati

Appuntamento oggi, giovedì, alle 17.30 per il tour virtuale che porterà alla scoperta della Vercelli rinascimentale, in particolare di Casa Alciati, parte integrante del Museo Leone. A condurlo sarà Luca Brusotto, conservatore del Museo stesso. Al suo interno l’edificio custodisce un pregevole ciclo di affreschi, eseguito a più mani durante il XVI secolo, che sarà il tema principale affrontato dal relatore.

Gli Alciati furono una famiglia patrizia che possedeva dei feudi nella zona sudorientale del biellese. Non vantarono tra i loro membri esponenti illustri, se si esclude un tale Nicolò del quale ci dà notizia lo storiografo Carlo Dionisotti nelle Notizie biografiche dei vercellesi illustri, dove cita Nicolò Alciati «nobile vercellese, avvocato e dottore del collegio di Vercelli. Nel 1462 venne dal duca Ludovico di Savoia suo scudiere, senatore e controllore generale; si deve alla sua destrezza la pace seguita fra il duca di Savoia e Francesco Sforza di Milano».

Quella che un tempo fu la residenza degli Alciati attualmente appartiene all’Istituto di Belle Arti, ma prima ha subito vari passaggi, alcuni dei quali piuttosto traumatici: i titolari la vendettero nel 1732 ai Martorelli, poi da questi ultimi l’immobile passò nelle mani di Camillo Leone, il quale la acquisì come parte dell’eredità materna. Vittorio Viale nel 1939 realizzò un progetto, in collaborazione con Augusto Cavallari Murat, per collegare il settecentesco palazzo Langosco (che fu abitazione del notaio Leone) a casa Alciati tramite una manica di raccordo, dando così forma definitiva al Museo.

Il corpo di fabbrica non è omogeneo poiché in origine la parte a est e quella a ovest erano due casette indipendenti costruite nei secoli XIV e XV. In seguito furono riunite dal quadriportico a due piani che occupò l’antico cortile e che le fuse in un organismo nuovo, modellato sullo schema della tipica domus romana, con l’atrium centrale circondato dalle stanze. L’insufficienza di locali indusse l’anonimo architetto ad utilizzare il lato settentrionale del porticato superiore formando un muro pieno al fine di ottimizzare lo spazio.

Il loggiato interno è formato da arcate e volte che poggiano su colonnine di serizzo. La trabeazione ricorrente è costituita da fasce di mattoni sagomati; il cornicione di gronda, ricostruito, è di muratura a lunette molto sporgenti. Le facciate sono prive di ornamenti, mentre le finestre più antiche hanno archivolti a sesto ribassato o acuto e sguanci smussati; quelle cinquecentesche sono esternamente rettangolari e hanno le mazzette interne molto inclinate e l’archivolto simile a quelle sopra menzionate. Possiamo osservare lungo il marcapiano del cortile una serie di decorazioni a grottesche, analoghe a quelle di Palazzo Centoris e di Palazzo Verga (già Paleologo), che correvano lungo tutto il perimetro, ma che oggi appaiono molto rimaneggiate, sebbene ne restino delle tracce.

Il principale motivo di interesse però deve essere ricercato nelle sale dove troviamo degli affreschi con soggetti storici, mitologici e in parte religiosi, risalenti al Cinquecento. Tutti sono stati restaurati e ridipinti a tempera poiché, nel momento in cui ci fu il passaggio di consegne dagli Alciati ai Martorelli, molte sale furono imbiancate per essere trasformate in magazzini di granaglie. Successivamente la casa perse del tutto la sua funzione primaria (venne adibita ad abitazione popolare) in modo tale che l’architettura subì un sensibile stravolgimento con la demolizione di alcuni tramezzi e l’apertura di diverse porte, la cui conseguenza fu la perdita irreversibile di parti di affresco.

I dipinti vennero interamente ricoperti da uno strato di intonaco che fu raschiato via solo in occasione dei restauri diretti da Verzone tra il 1930 ed il 1934, anno in cui ebbe luogo l’inaugurazione del nuovo assetto. I lavori cercarono di ristabilire l’architettura originaria con operazioni di consolidamento, di conservazione e di rinnovamento, rivolti più che altro alla struttura dell’edificio e non agli affreschi che vennero riportati alla luce tramite il raschiamento delle pareti da parte di «intelligenti apprendisti dell’impresa appaltatrice delle opere murarie». Per fortuna i recenti interventi hanno avuto il merito di restituire buona parte delle scene a un più consono livello di lettura e di fruibilità.

Gli autori degli affreschi sono ignoti, sebbene si facciano risalire alla cerchia di Eusebio Ferrari. Lo stile rimanda a evidenti influenze romane, come è possibile notare in special modo nei fregi a soggetto mitologico che richiamano quelli realizzati da Baldassarre Peruzzi nella villa Farnesina a Roma (storie di Apollo e di Orfeo). Successivi, ma non di molto, sono gli affreschi nella sala di Tarquinio e Lucrezia, con i riquadri che riportano la vicenda narrata da Tito Livio, quelli della Sala d’Ercole con la rappresentazione delle dodici fatiche, quelli della Sala delle Virtù, dove è presente un interessante figura che può essere identificata con Ercole/Sansone.

Sempre riferibili all’ambiente romano le decorazioni a finto marmo e le grottesche, diffuse a partire dalla scoperta della Domus Aurea di Nerone sul finire del XV secolo. La grottesca indicava la decorazione pittorica antica, ma al contempo serviva per designare sia gli ornati che i maestri moderni eseguivano imitando più o meno letteralmente i partiti decorativi romani, sia quel ricco repertorio antichizzante culminante con la candelabra, che in pittura conserverà caratteri e funzioni di elemento architettonico, ad esempio come spartizione di scene contigue, e la cui stesura monocroma alluderà, una volta di più, alla consistenza della pietra o del marmo.

Per partecipare alla conferenza Vercelli rinascimentale cliccare qui.

Massimiliano Muraro

Love
Haha
Wow
Sad
Angry

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here