Che meraviglia la Valsesia tinta di rosa!

La maglia rosa Egan Bernal e Damiano Caruso si lanciano all'inseguimento di Simon Yates

La Valsesia si è tinta di rosa, ma per una volta tanto non è stata la maestosa montagna che la domina a farlo. Ci ha pensato ieri il Giro d’Italia che è arrivato all’Alpe di Mera nella terzultima tappa partita da Abbiategrasso e che prima dell’ascesa finale ha affrontato l’Alpe Agogna e la Colma. Doveva esserci anche il Mottarone, ma per rispetto alle vittime della funivia si è deciso (giustamente) di eliminarlo dal percorso.

Fin dal mattino, la lunga statale che conduce a Scopello, paese da dove parte la salita, si è addobbata di palloncini, di bandiere, di striscioni e di gente festante, pronta a godersi il passaggio della carovana di auto, di moto, di ammiraglie e dei veri protagonisti: i corridori, guidati dalla Ineos della maglia rosa Egan Bernal che nel corso della giornata sarà attaccato a più riprese da Simon Yates.

In tanti hanno inforcato la bicicletta per domare le terribili rampe dell‘Alpe di Mera: 24 tornanti, 9.7 km, 872 metri di dislivello, pendenza media del 9%, massima del 14%. Alcuni erano lì già dal giorno prima in camper, due giovani studenti universitari di Milano hanno passato la notte in tenda, non si sarebbero persi lo spettacolo per niente al mondo e avrebbero concluso la loro avventura dormendo su in cima all’Alpe.

Anche chi scrive, insieme all’amico e collega Alberto Dolfin, ha partecipato alla festa. Perché di festa si tratta: descriverla è difficile, bisogna esserci, viverla. Un ragazzo che abita da quelle parte mi dice che ha visto più gente oggi che in vent’anni. Molti in bici, molti a piedi salgono finché possono, per trovare la postazione giusta da dove godersi la corsa. Ognuno ha il suo punto strategico preferito.

Noi scegliamo il quattordicesimo tornante, a meno 2.6 km al traguardo, al termine del tratto più duro al 14%. Sono tante le scritte sull’asfalto, rito ormai consolidato del tifoso che ha intuito fin dall’alba di questo sport che in salita il corridore è difficile guardi in su. Stravolto dalla fatica, testa bassa, è più probabile che legga l’incitamento impresso sul terreno, con la speranza di recuperare in tal modo un po’ di energie mentali per terminare il suo lavoro.

Si aspetta e tanto. Questo è un altro mistero tipico dell’appassionato. Quando si va a vedere una partita di calcio ad esempio il tempo che si perde è minimo, il viaggio, la ricerca del parcheggio e la coda alle biglietterie. Dopo si prende posto, per quasi due ore si vede ciò per cui si è pagato e si torna a casa.

Nel ciclismo è diverso. Non si paga nulla e soprattutto si attende parecchio per un qualcosa che dura quanto un respiro. Però è proprio l’attesa l’ingrediente speciale, senza il godimento del ciclismo non sarebbe tale. In tappe come questa con arrivo il salita, bisogna essere lì almeno tre ore prima, un lasso di tempo che potrebbe sembrare infinito, ma in cui ci si diverte, eccome se ci si diverte.

Si parla, si ride, si mangia, si beve, si discute della corsa, di chi vincerà oggi e chi il Giro, ci si scambiano opinioni sulle bici, sui componenti, sui costi esorbitanti che hanno raggiunto le specialissime, delle imprese che ognuno ha compiuto, a cominciare da quella odierna: «hai mai fatto il Mottarone?», «La più bella che ho fatto io è lo Stelvio», «Perché non sei mai stato sulle Dolomiti», «Sì, ma anche il Nivolet», «io preferisco la collina», è solo un piccolo campionario di ciò che si sente in quei frangenti.

Manca ormai poco, vediamo un capannello di persone e ci avviciniamo. Il nostro telefono prende poco, il loro per fortuna tanto, così seguiamo la diretta e chiediamo costantemente quanto manca. Da dove siamo noi si vede in lontananza Scopello e sopra un puntino giallo che si muove: è l’elicottero della Rai, vuol dire che stanno arrivando, in anticipo visto che hanno percorso la prima ora ai 60 km/h di media.

Mezz’ora e cala il silenzio, quasi religioso, lo stesso che ho vissuto solo in piazza del Campo a Siena prima che il mossiere legga l’entrata delle contrade nei canapi. Le prime moto della Polizia, poi quelle di gara. Ed è qui che esplode il boato, la montagna silenziosa diventa per pochi istanti un’autentica bolgia. C’è Yates in testa, sale che è una bellezza e scompare inghiottito dal marasma, pronto a prendersi la vittoria. Dopo trenta secondi la maglia rosa di Egan Bernal, insieme ad Almeida e a Caruso.

Lui l’Alpe di Mera l’ha provata a febbraio e sa com’è. Tiene a bada Yates e infatti alla fine gli cederà solo trenta secondi. Poco più indietro Damiano Caruso che a questo giro sta compiendo un capolavoro. Da quando il suo capitano Landa si è ritirato è diventato lui l’uomo di classifica. Una vita da gregario e un’opportunità che sta sfruttando al meglio.

La magia ciclamino Peter Sagan, una tappa non certo adatta alle sue caratteristiche

Poi via via passano gli altri corridori che, sebbene abbiano già svolto il loro lavoro di giornata e dunque potrebbero prendersela comoda, qui non possono perché l’Alpe di Mera non perdona. La gente applaude tutti, nessuno escluso. Il più osannato è Pippo Ganna, piemontese, che è di casa, infatti ogni sua pedalata è scandita dal coro «Pippo! Pippo! Pippo!». Domani la penultima tappa partirà da Verbania, la sua città.

Più attardato Peter Sagan: di solito è un guascone e in occasioni come queste regala un’impennata delle sue, ma sta soffrendo troppo anche lui. Testa bassa, chissà che non si aspetti una scritta sull’asfalto che lo faccia andare più forte.

Infine la macchina che porta le insegne di fine gara ciclistica ci dice che lo spettacolo è terminato, dobbiamo scendere per tornare a Borgosesia da dove siamo partiti. Però il Giro non ha ancora finito i suoi regali, anzi, ci sta arrivando quello più bello ed emozionante. Condividere la discesa insieme ai professionisti che abbiamo visto solo pochi minuti prima.

Damiano Caruso con un fischietto avvisa che sta passando, anche se è fuori gara va il doppio di noi e la strada è davvero affollata, inutile rischiare. Poi è il turno della Ineos, della Jumbo Visma, della Eolo Kometa, della Bike Exchange. Chiudiamo gli occhi per un attimo e immaginiamo di essere in corsa. Proprio come quando io e Alberto poche ore prima ci siamo giocati il traguardo volante: lo ha vinto lui perché io sono scattato prima scambiandolo con lo striscione dei meno 15 all’arrivo.

Il compagno di avventura Alberto Dolfin

Giù a Scopello ci togliamo la mantellina, ci mancano trenta km che sono tutti in lieve discesa, li condividiamo con Puccio della Ineos e con qualche altro, per finire in mezzo a tutta la DSM. Loro però hanno un altro passo e li lasciamo andare. L’ultimo assaggio di Giro è l’insieme dei pullman delle squadre prima di Varallo, poi noi li passeremo agilmente con le nostre bici perché nel frattempo si è formata una lunga coda. Così la corsa rosa saluta la Valsesia in quello che si spera essere un arrivederci. Però una cosa lasciatemela dire: che meraviglia il Giro d’Italia!

Massimiliano Muraro

 

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