Magnifica, appassionante conferenza sui 70 anni del Jazz Club Vercelli

 

Confessiamolo. Ci sono conferenze che non vedi l’ora che finiscano e durante le quali, più che alle parole che vengono pronunciate, immancabilmente scruti in continuazione l’orologio. A me, in particolare, le conferenze noiose (come i film, gli spettacoli teatrali, i concerti) producono questo effetto resisto con tutte le forze per non assopirmi – e non sempre ci riesco, con orrore più che disappunto di mia moglie o dell’amico più vicino – e mi viene una sete feroce.

Ma ci sono anche conferenze che vorresti non finissero mai, in cui, a proposito di sete, sei assolutamente al riparo, perché continui ad abbeverarti, parola dopo parola, intervento dopo intervento, come durante una camminata in montagna quando ti imbatti in una fontanella in cui sgorga acqua fresca che ti ristora.

E’ stato il caso, domenica, della stupenda conferenza sulla nascita e sulla storia del Jazz Club Vercelli, organizzata dal giornalista (e musicista) Claudio Cagnoni, al “Viotti Club” di via Galileo Ferraris, ovviamente con l’appoggio, non solo logistico, della Camerata Ducale. A parlare di quel fatidico giorno del maggio 1953 in cui, da “Taverna e Tarnuzzer”, nacque il primo club jazzistico vercellese, Cagnoni ha chiamato uno dei soci fondatori, il notissimo e amatissimo farmacista ottantanovenne Duccio Ravera, il figlio di un altro socio fondatore, Giuseppe Bianzino, e cioè Claudio Bianzino, rinomato musicista e compositore; quindi un altro affermato musicista vercellese, Luigi Ranghino. Doveva esserci anche Mimmo Catricalà, che negli Anni Settanta cercò di rilanciare il Club, ma il fondatore di Radio City a sua volta eccellente percussionista, non a potuto partecipare per motivi di salute.

Il pubblico che affollava il Viotti Club

La sala del “Viotti Club” era affollata in ogni ordine di posti. Duccio Ravera è stato semplicemente invcantevole. Ha ricordato il giorno della fondazione e i primi anni del Club. Oltre a lui e a Bianzino, i soci fondatori erano stati il futuro avvocato Pier Mario Vallaro, che, valentissimo disegnatore, aveva creato Il manifesto del Club, con rane musiciste; il futuro imprenditore Edo Roy, ed un personaggio, pure lui giovanissimo, che a Vercelli pochi ricordano, ma che, trasferitosi assai presto a Milano, diventò poi nell’ambito dell’estrema destra una figura notissima. Parliamo di Toni Staiti, al secolo Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse, detto “il barone nero”, che era nato appunto nel 1932 a Vercelli e che è morto a Milano sei anni fa. Vero dandy, sempre elegantissimo, fu parlamentare del Msi dal ‘79 al ‘92. Era famoso perché riteneva Almirante  troppo tiepido, conversava spesso con Agnelli sulla Juventus e, soprattutto perché  negli Anni 80, durante un’accesa disputa all’interno del partito, mollò due schiaffoni a Ignazio La Russa.

Ma nel ‘53, i soci fondatori, tutti giovanissimi, non parlavano di politica. Erano piuttosto concentrati sull’ascolto dei dischi jazz. “Avevamo la fortuna – ha detto Duccio Ravera – di avere a Vercelli il titolare di un negozio dischi appassionato e competentissimo qual era il signor Belli, che ci riforniva di tutte le novità”. Ravera ha ricorda che la sede del Jazz Club era al piano sotterraneo del cinema Astra e lì poteva capitare che l’ascolto giornaliero di un disco si protraesse anche per sei-sette ore filate. Ha detto il dottor Ravera: “In qualche modo cercavamo di ripetere le note dei dischi. Ma l’unico che sapeva suonare in modo passabile uno strumento, il clarino, era Bianzino. Vallaro suonicchiava il pianoforte, e aveva un orecchio eccezionale. A me affidavano la batteria, che era poi un tamburello. Per fortuna trovammo poi un chitarrista assai bravo come Giorgio Nascimbene”.

 

Spesso i giovani soci fondatori del Club si recavano a Milano ad ascoltare i grand concerti. Ha detto il dottor Ravera: “Ci accompagnava sulla sua auto, una Topolino,  e per noi era grande motivo di orgoglio, un docente importante come il professor Nino Marinone”. Duccio Ravera ha pure ricordato l’arrivo nel Club di bravissimi  musicisti cone i fratelli Memo e Angelo Cattaneo. Quindi di Sergio Rigon, grande sassofonista. E ha pure ricordato l’incontro  a Grindelwald, in Svizzera, con un giovane appassionato di musica che aveva un Revox a otto piste, una rarità per quei tempi: era Giorgio Moroder, futuro vincitore di premi Oscar, mentre l’amicizia con Livio Cerri venne avviata e sviluppata da Bianzino. Ma il personaggi che incredibilmente contribuì a innescare la passione per il jazz di quei giovanissimi studenti vercellesi fu Mike Bongiorno, che teneva una rubrica radiofonica sul jazz e che entrò in contatto con il gruppo di Bianzino, sviluppando un rapporto duraturo con il Jazz Club Vercelli.

Tra gli altri simpatici aneddoti, il primo concerto organizzato dal Club, pochi giorni dopo la fondazione, al Dugentesco: ospite la “Milan Colleg Jazz Society”. Il giovane gruppo vercellese tentò di organizzare altri eventi. “Ma Gianni Basso, Oscar Valdambrini e Rodolfo Bonetto – che avevamo contattato, ha ricordato Ravera – avevano dei cachet per noi insostenibili. Per fortuna potevamo riparare su amici come Sergio Rigon, allora giovanissimo come noi, che avrebbe poi fatto una stupenda carriera”.

Una conferenza magnifica; intervistato con competenza e garbo da Cagnoni, Ravera è stato un narratore impareggiabile e sono stati apprezzatissimi anche gli interventi di Bianzino e di Ranghino, i quali,  il primo al sax soprano, il secondo alle tastiere, hanno aperto e chiuso l’evento con arrangiamenti jazz di due brani musicali: “There Will Never Be Another You” e “Silent Night”. Presente, l’assessore Gianna Baucero che si è congratulata con i promotori dell’evento e ringraziato Cristina Canziani per l’ospitalità: “Conferenze del genere dovrebbero essere organizzate – ha detto – almeno volta al mese”.

Edm

 

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