Loris Capirossi: Un pilota non scende mai dalla moto

«Se vado ancora in moto? Certo! Un pilota anche se smette di correre, resta tale per tutta la vita. Il motociclismo mi scorre nelle vene», così Loris Capirossi al Teatro Civico durante la presentazione della sua biografia “65. La mia vita senza paura” (Sperling & Kupfler), anteprima del Salone del Libro Sportivo che si terrà a Vercelli da 5 al 7 aprile 2019.

Capirex, sul palco insieme a Simone Sarasso, lo scrittore vercellese che ha raccontato la vita del centauro bolognese, ha risposto alle domande di Giorgio Pasini, giornalista di Tuttosport che si occupa di Motomondiale e di Formula 1. Naturalmente si è parlato molto di motociclismo, ma anche del libro che a un certo punto è stato una necessità, una sorta di bilancio da mettere nero su bianco.

«Simone era un mio tifoso, ma questo l’ho scoperto dopo averlo conosciuto. Ci siamo incontrati e dopo esserci parlati ho deciso che doveva essere lui a raccontare la mia vita». Per Sarasso non è stato un problema perché come diceva un suo maestro, lo scrittore è come uno chef, deve sapere cucinare di tutto. Perciò passare dal romanzo storico e dal noir allo sport per lui non è stato un ostacolo. La storia se c’è viene comunque fuori. E che storia.

Capirossi, cosa ne pensa del Mondiale che si è appena concluso?

Mi è piaciuto, è stato dominato da un grande Marquez, un pilota con un talento immenso che sarà difficile fermare anche l’anno prossimo. Ho visto tanti giovani emergere e gli italiani comportarsi bene: Rossi non molla mai e si diverte, quindi fa bene a continuare, Dovizioso si è preso le sue soddisfazioni. Insomma, non ci possiamo lamentare, ma Marquez è davvero forte.

Lei nel frattempo è entrato a fare parte della Direzione di Gara. Come ci si trova a stare dall’altra parte?

Ho scoperto un mondo che prima non conoscevo. Ad esempio che i piloti sono controllati in ogni momento della gara. Noi sappiamo che ci sono molte telecamere che li seguono mentre girano, ma ci sono pure quelle a circuito chiuso a cui non sfugge nulla. Quando correvo neppure lo sapevo.

State lavorando parecchio sulla sicurezza?

Sì, da quando nel 2003 è stata istituita la Safety Commission sono stati fatti passi da gigante e investiti parecchi milioni. Sono stati resi obbligatori gli airbag sulle tute, inoltre si stanno approntando modifiche ai caschi, tuttavia il primo obiettivo è sempre la sicurezza dei circuiti.

Da quando si è ritirato il motociclismo è cambiato in maniera sostanziale. Cosa ne pensa?

Vero, è cambiato molto. Quando correvo io l’ambiente era molto più familiare, ora con i media, i social e l’informazione in tempo reale non è più così dato che si è sempre sotto i riflettori. In più è stata potenziata l’elettronica, un aiuto importante che fa parte dell’evoluzione di questo sport.

Cosa le manca e cosa no del circus?

Le corse mi hanno dato molto, mi manca quell’adrenalina che scatta prima, durante e dopo la gara, l’aria che si respira ai box. Cosa non mi manca invece è il fatto di girare continuamente, essere un giorno da una parte e uno dall’altra, sempre in tensione. Difficile rilassarsi.

Consiglierebbe il motociclismo ai giovani?

Se a uno piace sì, ma con un avvertimento: prenderla con serietà e viverla prima come divertimento, non subito come un lavoro, altrimenti si perde in fretta tutto l’entusiasmo. Dopo può diventare un lavoro, non prima. Ai giovani dico di credere nei propri sogni.

Capirossi, lei ha mai avuto paura?

Se vuoi essere un campione non puoi avere paura, non ci devi pensare, almeno quando sei in sella. Ho iniziato a provarla dopo l’incidente del 2011, quando ero per terra e mi sono visto volare sopra un’altra moto. Sempre nello stesso anno la tragedia occorsa al mio amico Marco Simoncelli a Sepang. È stato il momento più difficile, poi ho deciso di ritirarmi, nonostante avessi ancora un anno di contratto in essere.

Ha qualche rimpianto?

Nessuno. Ho vinto il mio primo Mondiale a 17 anni e sono ancora oggi il pilota più giovane a esserci riuscito. In totale ne ho portati a casa tre, potevano essere sei ma va bene così.

Massimiliano Muraro

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