In Italia, un po’ per pudore e un po’ per tradizione culturale, parlare delle malattie che colpiscono l’apparato genitale, sia maschile che femminile, è sempre stato un tabù. Per fortuna negli ultimi anni la coltre di ignoranza e di pregiudizio si sta lentamente diradando, così da permettere a chi soffre di avere un punto di appoggio per i propri problemi e di non essere solo.
Uno di questi esempi è l’endometriosi, malattia cronica che colpisce le donne e per la quale non esiste una cura. L’endometrio, cioè il tessuto che riveste la parte interna dell’utero, fuoriesce dalla sua sede e va a intaccare gli altri organi, provocando infiammazioni, cicatrici e aderenze. Consta di quattro stadi: dal primo, lesione minima e sottile, al quattro, lesione severa e profonda.
Inutile specificare che è dolorosa. Ne sa qualcosa Vania Mento, vercellese, che con l’endometriosi ci convive da anni. «Si dice che i dolori provocati siano più forti di quelli del parto», ci racconta quando le chiediamo di spiegarci cosa significa vivere tutti i santi giorni con l’endometriosi.
Vania si definisce un’attivista, ma senza appartenere a nessuna associazione: un’attivista indipendente e come tale, con tante altre volontarie, parteciperà in prima linea alla Endo March 2020 che si terrà a Roma e in più di cinquantacinque capitali mondiali il prossimo 28 marzo.
Siccome Vania è un vulcano di idee ed è una che non ama stare ferma, per l’occasione ha pensato a un’iniziativa che per l’entusiasmo e la decisione con cui è stata proposta, è subito stata accolta: illuminare di giallo, colore dell’endometriosi, un monumento.
L’Amministrazione di Vercelli ha accettato di buon grado (non si sa ancora quale sarà il monumento interessato) e il suo esempio verrà seguito da altre città. «Lo si è fatto per altre malattie, quindi perché non per l’endometriosi? Mi ha fatto piacere che anche altre città italiane, come ad esempio Venezia e Padova, abbiano voluto partecipare».
Quello di Vania è stato e continua a essere un calvario: visite mediche, operazioni chirurgiche, cure, medicine. Un calvario che le ha tolto una delle sue grandi passioni, il tennis, che continua comunque a seguire. Senza contare lo smacco più grave, quando è stata licenziata dal posto di lavoro dove la sua malattia era trattata con sufficienza.
Lei però non si è mai arresa: vuole che la sua esperienza serva a fare luce sulla malattia. Così interviene a dibattiti, a tavole rotonde e spiega a chiunque, senza peli sulla lingua, cosa voglia dire avere a che fare con l’endometriosi. Basta visitare la sua pagina Facebook dove a cadenza regolare pubblica la storia di una donna malata. Perché Vania ricorda sempre a testa alta, senza nascondersi dietro a un dito, che «la voce di una è la voce di tutte, ma sarà la voce di tutte che potrà cambiare le cose».
Massimiliano Muraro