Ci sono film che vogliono raccontare una storia, altri che si concentrano solo sulla resa visiva. 1917 di Sam Mendes (American Beauty, Revolutionary Road, Skyfall) vuole essere un’esperienza immersiva e totalizzante. Il regista lo chiarisce sin da subito, dando le poche informazioni necessarie per dare il via all’azione: è il 6 aprile del 1917, piena guerra di trincea del primo conflitto mondiale, due soldati devono consegnare un dispaccio ad una unità inglese per far annullare il loro attacco. Nulla di più, da questo momento lo spettatore può accomodarsi completamente e godersi tutto ciò che il film ha da mostrare.
La pellicola si pregia della tecnica “acchiappa-Oscar” chiamata “piano sequenza”, con la quale si intende un’intera scena, se non un intero film come in questo caso, girata con una singola inquadratura senza tagli. Per una maggiore precisione vi è da dire che questo è un finto piano sequenza, poiché degli stacchi ci sono ma resi impercettibili allo spettatore, dando l’impressione di essere un singolo “ciak” della durata di due ore. Già Iñárritu con il suo Birdman, nel 2014, dimostrò la bellezza di questa tecnica, portandosi a casa l’agognata statuetta nell’anno successivo per la “Miglior Regia” e il “Miglior Film”, data l’estrema difficoltà di realizzazione.
Valendo fare una metafora, per spiegare la sensazione che si prova per questa pellicola, si può pensare alla giostra di un Luna Park. Durante la proiezione ci si diverte, ma una volta scesi rimane solo il ricordo piacevole dell’esperienza e si passa subito ad altro.
La regia di Mendes funziona, scegliendo di utilizzare una camera sempre perfettamente in bolla e ferma, dando al film un taglio freddo e quasi documentaristico, la fotografia del Maestro Roger Deakins (ora alla sua quindicesima candidatura agli Oscar) è immersiva in alcuni punti e di grande impatto in altri e le musiche di Thomas Newman (candidato invece tredici volte) riesce ad alzare la tensione anche quando in scena non sta accadendo nulla. Le prove attoriali dei giovani George MacKay e Dean-Charles Chapman sono convincenti ma non memorabili e anche la scelta di relegare tre grandissime icone dello star-system del cinema londinese a poco più che un cameo, sottolinea ancora una volta la volontà di Mendes di immergere e non di empatizzare.
In conclusione, nonostante la pochezza di contenuto e la regia a tratti molto da videogioco che in alcuni punti potrebbe non piacere ai più, è un film che va visto di corsa, come il protagonista del film, ma rigorosamente al cinema. Una visione casalinga su piccolo schermo toglierebbe, probabilmente, la maggior parte dell’intrattenimento che la pellicola può offrire.
Voto: 8
Emanuele Olmo