L’ex chiesa di San Marco svela nuovi tesori

Il capitello con lo stemma dei Visconti

L’ex chiesa di San Marco non finisce di stupire. L’edificio, che dopo essere stato chiuso al culto nel 1799 è stato adibito agli usi più svariati, passando in due secoli da cavallerizza a mercato coperto, ha svelato nuovi affreschi che si vanno a unire a quelli già riportati alla luce durante la campagna di restauri avviata nel 2008.

Da sinistra Brison, Frugoni, Trucco, Forte, Prato

Merito del Comune di Vercelli, della Fondazione CittàItalia che ha finanziato i lavori, della Soprintendenza e naturalmente del Centro Restauro di Venaria Reale, i cui tecnici hanno dovuto sudare le proverbiali sette camicie per rendere di nuovo fruibili i dipinti murali. Questo perché i continui cambiamenti di destinazione d’uso della chiesa hanno fatto sì che l’intonaco originale subisse dei deterioramenti molto spesso irreversibili.

Chi frequentava il mercato coperto (il “serraglio” per i vercellesi) mai avrebbe immaginato che sotto quel color crema omogeneo, utilizzato per tinteggiare tutte le pareti, comprese le volte, potessero nascondersi simili capolavori. Dando una rapida occhiata alla storia del complesso non c’è da stupirsi, poiché esso era gestito dall’Ordine Eremitano di Sant’Agostino, uno tra i più influenti fin dal XIII secolo, il periodo in cui fu costruito il primo nucleo che ben presto andò incontro a una florida espansione.

Il cantiere nell’ex chiesa di San Marco è iniziato nel 2008, con una prima fase conoscitiva e di documentazione diagnostica. Il paziente e puntuale restauro ha scoperto dapprima l’Albero di Jesse, allegoria che illustra la discendenza di Maria, sulla parete alla destra dell’entrata, e subito dopo la volta dipinta con le storie della Vergine. La datazione riguarda gli ultimi vent’anni del XV secolo ed è tuttora materia di discussione per gli storici dell’arte.

L’affresco raffigurante Sant’Antonio Abate

Nel 2017 i lavori si sono spostati sul fondo dell’edificio, nell’ottava campata nord. In particolare sulla parete della navata di sinistra è apparso un Sant’Antonio Abate del 1400, la cui singolare iconografia rimanda alla Madonna della Misericordia, cioè la grande figura che apre il suo mantello e protegge i fedeli, inginocchiati al suo cospetto (si ricordi quella celeberrima di Piero della Francesca). Il Sant’Antonio proteggeva la cappella a lui dedicata, poi murata, dove era posta una pala di Gaudenzio Ferrari del 1530, purtroppo andata perduta.

La parete è delimitata da una decorazione con archetti rossi realizzati a mano libera e intervallati da oculi neri, sulla quale sono stati eseguiti motivi geometrici a stencil, neri su fondo bianco e bordure rosse. La pellicola pittorica originale si presentava assai lacunosa a causa di umidità ed efflorescenze saline. L’intervento ha permesso il recupero della volta, con i costoloni a ventaglio, ornata di giallo, verde e rosso.

Il ponteggio nell’ottava campata sud

Nel 2018 il ponteggio del restauro è stato quindi spostato nell’ottava campata sud dove, anche in questo caso, sono state ripristinate le decorazioni a bugne diamantate nel sottarco e le ricche cromie, similari a quelle della volta a nord. Il degrado, causato dagli agenti atmosferici e da interventi riconducibili al secolo scorso, quando cioè la chiesa era diventata un mercato coperto, ha dato diversi grattacapi ai tecnici del Centro di Venaria Reale.

Interessante nel sottarco di accesso al presbiterio, il capitello di arenaria scolpito con lo stemma del casato dei Visconti. Due serpenti si attorcigliano inghiottendo il Moro infedele. Restano i segni della policromia blu e rossa, ovvero i colori dello stemma dei Visconti, e le iniziali visibili nel cartiglio centrale: IO/LV.

Il capitello con lo stemma dei Visconti

Potrebbe trattarsi di Giovanni e Luchino Visconti, nominati insieme Signori di Milano nel 1339, dopo la morte di Azzone Visconti. L’elezione di Giovanni ad Arcivescovo di Milano nel 1342 permette di datare il capitello entro questi due termini cronologici. In quel momento a capo dell’Ordine Agostiniano c’era Guglielmo Amidani, confessore dei Visconti e, si crede, committente della campagna pittorica oggetto dei restauri.

La volta dell’ottava campata sud

Proseguendo nella lesena sottostante, ecco quel che resta di una Madonna in trono con il Bambino che porta al collo un rametto di corallo, prefigurazione della passione. Stesso discorso per il lacerto dell’affresco di San Gregorio Magno. Si può vedere la colomba che gli sussurra in un orecchio e la mitra papale che gli cinge la testa, un tempo arricchita da una preziosa lamina in oro.

Sono ormai più di dieci anni che l’ex chiesa di San Marco è stata adibita a spazio espositivo. Come è noto, lungo la navata centrale, ospita Arca, il contenitore progettato dall’architetto Fagnola. In principio furono le mostre della Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia. Poi, dopo un breve periodo di pausa, in cui comunque è rimasta attiva, ha ripreso il suo ruolo.

Ricordiamo la Biennale Italia-Cina, passata un po’ sotto traccia, sebbene ospitasse un’installazione dell’artista contemporaneo più celebrato al mondo, il cinese Ai Weiwei; la mostra su Gaudenzio Ferrari e quella, appena conclusa, 100% Italia con le opere del Museo Ettore Fico. A breve Arca avrà l’onore di custodire la Magna Charta, per la prima volta in Italia, nell’evento che celebra gli 800 anni della Basilica di Sant’Andrea.

I visitatori avranno quindi l’opportunità, non solo di vedere coi loro occhi l’importante documento, ma di ammirare anche la chiesa e soprattutto il ciclo pittorico che la decora. Ci sarebbe ancora molto da scoprire: come ci ha confidato il funzionario della Soprintendenza Elena Frugoni, con ogni probabilità sotto lo spesso strato di pittura si celano altri affreschi che non vedono l’ora di tornare a splendere dopo secoli di oblio.

Massimiliano Muraro

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