Il sangue dei poeti (insieme all’amico Roberto Amadè), Hamlet/Off, (as) Faust as Drunk, Petra (melodramma da camera per donne tristi), Varietà (14 movimenti per ridere di me stesso), Discorsi poco ingombranti, Ritorno da me, L’ordine delle cose: sono solo alcuni degli spettacoli scaturiti dal talento di Livio Ghisio.
Nato a Vercelli il 18 giugno del 1981, formatosi nei laboratori di Skené e degli Anacoleti, prima studente, poi attore, quindi regista e drammaturgo, infine direttore, con la moglie Annalisa Canetto, della compagnia Arteinscacco, alla quale danno una mano Andrea Vercelli, che l’ha fondata e che cura la cooperativa Start, Max Bottino e Roberto Amadè. Senza dimenticare le collaborazioni con Giovanni Mongiano e con la coppia Cuocolo/Bosetti, solo per citarne due.
Onnivoro non solo in campo teatrale, lettore insaziabile con una passione ai limiti del feticismo per Proust, critico severo e schietto, Livio Ghisio in questo periodo sta soffrendo. E non soltanto a causa dei noti fatti legati all’emergenza sanitaria che riguardano tutti noi. Livio sta soffrendo per come vengono trattati il teatro e più in generale la cultura in Italia. Allergico alla superficialità imperante, da qualche tempo è molto attivo sui social, Facebook in particolare, dove cerca di spiegare, di capire e di proporre soluzioni.
Con Livio Ghisio abbiamo fatto una lunga chiacchierata che io avevo riassunto definendola una sorta di J’accuse, ma che lui ha rispedito al mittente dicendomi: «ma io non accuso, è che la situazione è semplicemente quella». E purtroppo non è una situazione piacevole.
Livio, partiamo dal contingente. Come avete vissuto voi del teatro questa annata particolare, flagellata dalla pandemia?
Male. Malissimo. Al di là dei problemi economici, essa ha portato altri danni ugualmente gravi: repliche saltate, progetti rimasti in sospeso o posticipati, laboratori nelle scuole annullati. Tutto ciò su cui il sistema teatrale si regge è stato spazzato via e, a oggi, non sappiamo ancora quando potrà riprendere e con quali limitazioni. La violenza di un simile terremoto è anche aumentata dal fatto di vivere e lavorare in un Paese che da troppo tempo ha deciso di mettere la Cultura in fondo alla propria scala delle priorità. Quest’ultimo purtroppo è un aspetto che il Covid ha fatto emergere ulteriormente, ma a tutti i livelli della politica la Cultura è vista con indifferenza, se non addirittura con fastidio.
Quindi possiamo dire che la pandemia è stato il Vaso di Pandora della cultura?
Ha scoperto ciò che già sapevamo: non siamo reputati un settore indispensabile e non si perde occasione di ricordarcelo. Noi per primi viviamo in una città nella quale da sette anni, di fatto, non c’è un assessore alla Cultura e non credo di essere l’unico ad aver notato questa mancanza. Ecco, forse il Covid può essere, da questo punto di vista, un’opportunità: forse ci darà l’occasione di ripensare a un sistema culturale per la nostra Città, o quantomeno, ci metterà di fronte ad una politica culturale da ricostruire.
Ci sono stati, se ci sono stati, momenti di luce in mezzo a tutte le chiusure e i rinvii?
Certo, ci sono stati. Anche in un anno così tremendo siamo riusciti a realizzare la rassegna Parole d’Artista a Vercelli, insieme a Cuocolo Bosetti e Teatro di Dioniso. A settembre sono state due settimane intense. Abbiamo presentato RL e Bottoni (il nostro spettacolo per ragazzi e famiglie) e abbiamo ospitato Enigma Caravaggio. La buona riuscita e la bella atmosfera creatasi ci hanno motivato ad ampliare il progetto in vista dell’edizione 2021. In parte si sono riusciti a realizzare alcuni laboratori durante la stagione estiva e un paio di lavori in video durante questi ultimi mesi.
Domanda retorica: ti manca il teatro?
Ci manca da morire: l’incontro con le persone, la condivisione, la vicinanza. A me personalmente manca molto anche come spettatore: vado a teatro una, se non due volte a settimana durante tutto l’anno. Il teatro per me e per la mia famiglia è vita, nostra figlia Alida si può dire sia nata in teatro. Ho sentito di recente un’attrice dire una cosa che mi ha colpito: la realtà aumentata esiste da quasi trenta secoli, si chiama Teatro. Io aggiungo che non è solo realtà aumentata, ma è vita aumentata. È questa vita densa, distillata e condivisa che ci manca.
Quale può essere secondo te la possibile soluzione per uscire da questo impasse?
Domanda da un milione di dollari. Intanto, come ho detto in precedenza, l’impasse non è iniziata con il Covid, ma la situazione era stagnante già in precedenza. Ora, nella disgrazia, abbiamo l’occasione di ripensare un sistema a tutti i livelli. Ovviamente io inizio a pensare alla mia città, perché ognuno cerca e spera di migliorare i posti che ama.
In tal senso, la collaborazione tra chi agisce sul territorio può essere una soluzione?
Negli scorsi anni le diverse realtà teatrali hanno iniziato un intenso scambio, condividendo visioni e progetti. Tutto ciò si è poi concretizzato nella rassegna Shake!, realizzata su iniziativa di Officina Anacoleti. Ha costituito un’importante prima pietra sulla quale si può immaginare di costruire un futuro fatto di progetti condivisi e di scambi di competenze, senza per questo snaturare le singole compagnie, ma portandole sempre più a dialogare fra loro. Abbiamo visto, tutti insieme, che in città ci sono persone che il teatro lo sanno fare, lo sanno riconoscere, scegliere e proporre, abbiamo la possibilità di formare il pubblico di oggi e di domani. Si potrà e si dovrà pretendere attenzione da parte delle istituzioni.
Tu cosa proponi?
Sarebbe bello un accordo bipartisan che sancisca fin da ora un patto per il futuro del teatro della nostra Città: concediamo spazio, fondi e otto anni di tempo a quei pazzi visionari dei teatranti per ricostruire un sistema, un pubblico partecipe e critico, cercare iniezione di fondi pubblici e privati, attivare e consolidare convenzioni e partnership con gli esercenti locali. Qualunque cosa succeda, qualunque schieramento vinca le prossime elezioni, il progetto andrà avanti e sarà sostenuto da tutti. Ora torniamo alla realtà, sapendo che questa cosa non avverrà mai, perché la storia recente ci ha insegnato che ogni progetto che inizia sotto un’amministrazione è destinato a finire con quell’amministrazione stessa.
Quindi rinunciamo?
Al contrario, bisogna insistere. Queste resistenze vanno vinte e si deve cercare andare avanti con determinazione e lucidità. Non bisogna essere animati dalla rabbia e non ci si deve lasciar vincere dalla frustrazione di non sentirsi ascoltati o considerati. E poi non sarebbe male se, una volta tanto, fosse la politica a farci ricredere in positivo. Io sarei felicissimo di chiedere scusa alle istituzioni per averle sottovalutate.
Con Arteinscacco puntate molto sulla didattica. Cosa ne pensi del fatto di insegnare il teatro a scuola?
Chi, della mia generazione, si è occupato e si occupa di teatro partendo da Vercelli ha iniziato a frequentare il teatro proprio a scuola. Oggi non si fa più. Mi spiego meglio: si fa, ma per come viene fatto temo crei più disinteresse e noia che altro, oltre a mostrare ai ragazzi solo aspetti che col teatro non c’entrano niente. Il perché stia succedendo questo è presto spiegato: le scuole hanno pochi fondi e decidono di gestire i laboratori “in proprio”, affidandoli ad insegnanti che non sono nella posizione di rifiutare.
Spiegati meglio.
Spesso questi insegnanti non conoscono il teatro nemmeno come spettatori e, pur non mettendo in dubbio le loro buone intenzioni, allontanano i ragazzi dal teatro, facendo fare loro un’esperienza della quale in futuro non avranno alcun ricordo piacevole. Così facendo ci stiamo giocando gli attori e i registi di domani, e anche il pubblico del futuro. Quindi il teatro va riportato a scuola, con spettacoli validi e laboratori condotti da attori e registi giustamente riconosciuti e retribuiti. Non ci sono i soldi? Si trovino, o almeno si spendano bene i pochi che ci sono.
Cosa ne pensi della proposta del Ministro Franceschini di puntare su piattaforme digitali come Netflix?
Vorrei non parlare di questo argomento, ma è più forte di me. Si è previsto un investimento ingente se proporzionato al settore per aprire una vetrina nella quale gli operatori dovrebbero esporre la loro merce a un pubblico che potenzialmente li dovrebbe acquistare in streaming. Ammesso e non concesso che il pubblico paghi, sorgono alcuni dubbi.
Quali ad esempio?
La piattaforma è di un distributore, quindi di una società privata che si occuperà di creare la vetrina, ma non contribuirà in alcun modo alla produzione della merce che vi verrà esposta. Poi, essendo la produzione a carico delle compagnie, dei teatri o dei singoli artisti e richiedendo questa produzione standard elevati a tal punto da giustificare il prezzo di vendita, si deduce che tali produzioni siano a esclusivo appannaggio di teatri con grandi mezzi economici, ossia quelli che già vengono finanziati dal Ministero. Tutto il teatro indipendente è escluso a priori. Un servizio simile lo potrebbe svolgere la tv di stato. Anzi, già lo svolge, visto che su RaiPlay si possono trovare spettacoli storici, opere liriche e concerti. Con una piccola differenza: che è gratis.
Una proposta controproducente dunque?
In un circuito del genere, agli artisti non rimarrebbero nemmeno le briciole e si troverebbero a lavorare presumibilmente a tariffe ridicole con la promessa di un guadagno dalla vendita degli spettacoli in streaming.
Il teatro ha fame di nuovi spazi. Quello istituzionale non è più sufficiente. Cuocolo/Bosetti è l’esempio più illuminante di come si possa fare teatro ovunque. Voi state seguendo quella strada?
Quello di riflettere sullo spazio del teatro è un aspetto presente in tutti gli spettacoli di Arteinscacco. Da quando poi il nostro percorso si è incrociato con quello di Roberta e Renato la profondità di questa riflessione è aumentata. È quindi naturale che io e Annalisa consideriamo lo spazio come una serie di possibilità infinite nelle quali il teatro può nascere, svilupparsi ed esistere. D’altra parte il teatro occupa qualsiasi tipo di spazio da sempre e fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso la riflessione sulla spazialità della scena ha impegnato e coinvolto i maggiori artisti e teorici.
Anche a Vercelli si potrebbe ripensare allo spazio del teatro?
Il teatro comunale non dovrebbe più essere inteso come il Teatro Civico in quanto edificio, che dovrebbe essere uno dei luoghi del teatro della città, forse quello principale se proprio si vuole, ma sicuramente non l’unico. Il Civico dovrebbe, quello sì, essere aperto non solo nei giorni di spettacolo un’ora prima dell’apertura del sipario. L’immaginare di nuovo un teatro per la Città significa ripensarne i luoghi, la fruizione e le possibilità di partecipazione, significa immaginare una programmazione diffusa, ospitare artisti sconosciuti a un pubblico televisivo e portare avanti scelte che in un primo momento sarebbero sicuramente impopolari. Per questo parlavo di un progetto a lungo termine. Posso fare una precisazione?
Prego.
L’attuazione di tutto questo costituirebbe una rivoluzione epocale nel modo d’intendere questa questione in una piccola città legata a rituali borghesi un po’ stantii da questo punto di vista. Ma credo sia un passaggio necessario e forse questo è il momento giusto per iniziare un percorso del genere. Tutti i cambiamenti, in fondo, non sono mai visti di buon occhio all’inizio.
Massimiliano Muraro
A Vercelli c’è chi ha ottime idee .. e chiare! .. purtroppo la distruzione generalizzata di ogni senso critico (e quindi anche del Tetro) è uno degli obiettivi principali del NWO, da noi inizialmente perseguito da decenni, per esempio con l’emarginazione degli studi classici e degli istituti superiori a carattere non strettamente tecnico. Resta bello sognare o .. sperare nei miracoli, a volte, come forse pensa anche Ghisio .. quando meno te l’aspetti .. accadono!