La settimana de “Il Maestro e Margherita”

Non ha certo bisogno di presentazioni “Il Maestro e Margherita”, il romanzo dello scrittore russo Michail Bulgakov, pubblicato tra il 1966 e il 1967. Immenso da ispirare altre opere letterarie, musicali, cinematografiche, televisive e teatrali.

Sarà infatti “Il Maestro e Margherita” il prossimo spettacolo in programma per la stagione di prosa del teatro Civico, che andrà in scena martedì 20 novembre alle 21. A interpretarlo Michele Riondino, diretto per l’occasione da Andrea Baracco.

In attesa di goderselo, domani, mercoledì 14, alle 17.30 nelle sale del Museo Leone, la professoressa Sini dell’UPO terrà una conferenza dal titolo “Quotidianità e magia nel Maestro e Margherita”. A lei il compito di approfondire la struttura narrativa del romanzo con il suo intreccio di generi letterari e mescolanza degli stili.

La realtà sovietica è descritta con minuzioso realismo nei suoi minimi anfratti e al contempo battuta dalla satira feroce e dallo straniamento fantastico. Mentre la strega invisibile e nuda attraversa il cielo di Mosca a cavallo di scopa, si dispiega ai suoi occhi un’esatta topografia urbana con appartamenti, palazzi, ristoranti, cliniche e strade più veri del vero.

“Il Maestro e Margherita” apre anche la tematica “L’Amore e le sue contraddizioni” nell’ambito del progetto Comuni Narrazioni della Fondazione Piemonte dal Vivo con l’obiettivo di coinvolgere i cittadini di Vercelli oltre la sera dello spettacolo e per dare vita ad un sistema di eco che amplifica i contenuti per ricollocare i cittadini al centro del dibattito culturale. A tal proposito è stata chiesta alla scrittrice vercellese Sabrina Falanga una riflessione che riportiamo a calce dell’articolo

I biglietti per lo spettacolo verranno messi in vendita un’ora prima dell’inizio ai botteghini di via Monte di Pietà. Per info su costi e modalità di acquisto: http://bit.ly/2SnVjAC

 

Preferisco l’Amore

Testo di Sabrina Falanga

per Comuni Narrazioni –Teatro Civico di Vercelli

Hanno tentato di farmi credere che il mio non fosse amore. 
Eppure – e sarei disposta a giurarlo – io l’amore l’ho percepito tutto: in ogni sfumatura di dolore, sintomo di un’ossessione che non lascia spazio al respiro, nelle notti in cui l’assenza è l’ipocondria della solitudine.
Ho lasciato che il tempo si dilatasse ogni volta che ti avrei incontrato e che mi dilaniasse ogni volta che avrei dovuto salutarti, in attesa del prossimo sguardo. Ho conservato per te la migliore parte di me, dimenticando quasi di esistere i giorni in cui neanche per sbaglio avrei potuto guardarti. 
Mi hanno consigliato di lasciarmi andare, come se quello fosse un eroico gesto, e non ho saputo spiegare che mi mancava il coraggio, piuttosto, per lasciarti andare.

Hanno tentato di farmi credere che il mio non fosse amore.
Mi hanno raccontato che l’amore, per essere tale, deve coinvolgere due persone; mi è stato detto che le strade a senso unico sono pericolose perché non incroci nessuno a cui chiedere aiuto nel caso ti perdessi.
Come se, poveri illusi, l’insieme di due persone garantisse la realtà del sentimento.
La verità – per la quale ti ho amato tanto -, è che preferisco l’amore non corrisposto al non amore corrisposto: la tachicardia per l’inconsapevolezza di una risposta, alla noia disarmante di un’abitudine; la costante malinconia alla scontatezza di una presenza; l’amletico dubbio sul come agire alla tangibile sicurezza di poter prevedere il domani; il calore sotto l’epidermide e il rossore sulla curva degli zigomi all’apatia sventrante di rituali asettici; la gelosia ingiustificata al menefreghismo giustificato.

Hanno tentato di farmi credere che il mio non fosse amore.
Ma se l’amore non è che un cuore in follia, posso ancora giurare, allora, che non avrei potuto più amare, dopo di te.

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