Iron Mark: la straordinaria storia di Marco Dolfin raccontata da suo fratello Alberto

Alberto e Marco Dolfin al villaggio olimpico di Rio de Janeiro

Ci sono alcune storie che oltre a essere belle è anche doveroso raccontare. Come quella di Marco Dolfin, chirurgo e atleta paralimpico torinese, che ha saputo reagire alla malasorte con una forza d’animo fuori dall’ordinario. Il tutto risulta ancora più romanzesco se a scriverla in un libro è il fratello. Iron Mark. Le corsie di Marco Dolfin: chirurgo e nuotatore (Bradipo Libri) è farina del sacco di Alberto Dolfin, giornalista sportivo, che è, appunto, il fratello di Marco.

Per capirci qualcosa in più però bisogna fare un salto indietro. All’11 ottobre del 2011, il giorno in cui la vita del nostro protagonista cambia radicalmente. Marco è un chirurgo ortopedico, si è laureato da poco e da poco è tornato dal viaggio di nozze con la moglie Samanta. Ora, dopo tirocini e concorsi, finalmente può mettere in pratica ciò che ha studiato per anni.

Quel mattino viene chiamato d’urgenza per aiutare un collega in una difficile operazione all’ospedale Don Bosco di Torino. Fino all’ultimo Marco è indeciso se prendere l’auto o la moto. La scelta ricade sulla moto perché è più agile nel traffico e poi c’è un’urgenza, quindi non c’è tempo da perdere. Ebbene, purtroppo quella mattina Marco ci arriva sì in ospedale, ma in veste di paziente.

Poco prima di arrivare a destinazione impatta frontalmente con una macchina guidata da una donna. All’inizio fanno male l’avambraccio, che poi risulterà fratturato, e l’anca. Dopo le cure del caso e un lungo intervento in sala operatoria, ecco le prime complicazioni, fino alla diagnosi che non lascia scampo: lesione al midollo spinale. Marco dovrà trascorrere il resto della sua vita su una carrozzina,

Mica facile per uno come lui che ha lo sport nelle vene al posto del sangue e che è abituato al movimento perpetuo. Calcio, bicicletta, corsa e hit ball, uno sport che è un misto tra la pallamano e la pallapugno. Marco è stato un pioniere di questa disciplina e insieme alla sua squadra, i Red Devils, ha vinto pure un bel po’ di scudetti. Ha coinvolto pure Alberto, un altro che ha il pallino della competizione (lo posso garantire personalmente perché usciamo spesso in bicicletta. È quello che si definisce un “cagnaccio”, cioè non molla mai di un centimetro. Con lui almeno una salita bisogna farla a tutta, altrimenti non è contento).

I primi mesi per Marco sono duri: il risveglio, la presa di coscienza, la riabilitazione presso l’Unità Spinale Unipolare, proprio di fronte al CTO. Dolfin però non è un uomo da lasciarsi vivere addosso. Raccoglie tutte le forze che ha e supportato dalla sua numerosa famiglia, dà il via a quello che possiamo definire un miracolo di caparbietà e di tenacia.

Nel frattempo la ferita al braccio è guarita, i muscoli si sono rinforzati, perciò può cominciare a domare del tutto la carrozzina. Quando acquista un minimo di autosufficienza non si accontenta, vuole sempre di più. Per rinascere parte dallo sport, che è la medicina migliore che ci sia. Prova il tennis tavolo, ma non lo soddisfa perché non può essere competitivo come desidera.

Allora si tuffa in vasca e vede che i risultati arrivano quasi subito. Nella sua testa ha già capito che il nuoto potrà dargli parecchie soddisfazioni. Gli serve una squadra e la trova: è la Briantea84. Lì conosce il tecnico Alessandro Pezzani che gli prepara tabelle precise e meticolose, da Marco seguite alla lettera.

Certo, a volte manca il tempo che, se prima del suo nuovo percorso era dilatato, ora è maledettamente stretto, perché intanto Marco ha deciso che vuole tornare a lavorare. Non esistono ostacoli che non si possono superare. Si fa costruire un esoscheletro apposta che lo alza e lo abbassa a seconda delle esigenze. Proprio quello che serve in sala quando per ricostruire un ginocchio o un’articolazione bisogna muoversi attorno al tavolo operatorio.

Se il lavoro va bene, lo sport va ancora meglio. Marco Dolfin infatti in vasca è una saetta, soprattutto nei 100 rana. È tra i primi otto del ranking mondiale dopo il Meeting di Stoccolma nel 2015 e nel marzo del 2016 agli Europei di Funchal conquista la medaglia di bronzo e il record italiano nella sua categoria. Un risultato che gli vale la convocazione per i Giochi paralimpici di Rio dello stesso anno dove si piazza ai piedi del podio, facendogli vivere sì un’esperienza indimenticabile, ma anche un pizzico di rabbia per il terzo posto sfumato.

Il 2017 è un anno di transizione visto che deve recuperare per una lussazione alla spalla rimediata per un piccolo incidente occorso nella trasferta romana, quando tutta la delegazione olimpica è stata ricevuta dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Poi ci dovevano essere i Mondiali di Città del Messico che non si sono disputati a causa del terremoto. La rivincita a Dublino con l’argento sempre nella specialità più amata.

Quest’anno l’appuntamento da segnare in rosso era Tokyo, ma sappiamo tutti come è andata a finire. Per la pandemia i Giochi sono stati rimandati al 2021. Marco Dolfin farà di tutto per esserci, continuerà a dividere la sua vita tra lavoro, sport e famiglia. Non necessariamente in quest’ordine perché Samanta nel 2014 lo ha reso padre du due gemelli, contribuendo ancora di più alla sua rinascita.

Marco non ama piangersi addosso e a chi gli chiede cosa ne pensa di tutta questa faccenda lui risponde così: «Non lo vedo come un accanimento del destino. Si tratta di un qualcosa che è successo e che mi ha cambiato l’esistenza, ma che non posso modificare in nessun modo. Posso soltanto trovare la miglior soluzione per adattarmi». E per vincere perché la prossima sfida è dietro l’angolo.

Massimiliano Muraro

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