C’era tanta gente, stamane, in Duomo (quanta la Cattedrale potesse contenerne con le norme anti-Covid) per l’ultimo saluto a Franco Torchio, vercellese conosciuto e amato, ucciso da un’emorragia cerebrale a 70 anni. C’era gli amici del basket, quelli di Radio City, e i tantissimi che avevano condiviso con lui tante cene e momenti di vita spensierata, perché Franco Torchio era soprattutto un inarrestabile “distributore” di ottimismo, di gioia di vivere. Ecco perché così tanti, oggi, piangono la sua improvvisa scomparsa.
Al termine della funzione funebre celebrata dal parroco, monsignor Giuseppe Cavallone, due amici hanno ricordato Torchio con parole bellissime: Claudio Gherzi, ex compagno di squadra, in rappresentanza degli “Amici del martedì”, che fanno da anni riunioni conviviali di beneficenza, e il dentista di Asti Giuseppe “Bepi” Re.
Ha detto Gherzi: “E’ difficile salutare per l’ultima volta una persona a cui vuoi bene. Possiamo provare: ciao Franco, ciao Francuccio, ciao Torchiaccio, così ti chiamavamo, ma soprattutto, ciao grande amico”.

”Franco aveva tante qualità, era intelligente, buono, estroverso, ma in particolare aveva la grande capacità di socializzare, di fare amicizia, di farsi voler bene. Era un leader, però discreto e pieno di attenzioni. Quanti di noi hanno trascorso le vacanze a Maiorca, dove tutte le mattine si occupava di andare a scegliere la spiaggia migliore e poi, seduto sulla sedia, con l’immancabile sigaretta in bocca, osservava gli amici per capire se erano soddisfatti”.
”Quante cene abbiamo fatto al sabato sera in ristoranti rigorosamente scelti da lui (Mimmo Catricalà, il fondatore di Radio City, l’ha definito una “Guida Michelin fatta uomo”, ndr): seduto, a capo tavola, aspettava il nostro giudizio sulla scelta e poi, se positivo (direi sempre), sorrideva compiaciuto. Quante volte, da cuoco provetto qual era, ha cucinato per noi in particolare la sua famosa ‘paella’. Il nostro applauso di apprezzamento, quando arrivava in tavola, gli faceva illuminare il viso”.

”Franco amava scherzare. Chiamava i suoi scherzi ‘torchiate’. Però, caro Franco, una ‘torchiata’ del genere a noi non dovevi farla, avevamo ancora tante cose da fare e da dirci. Stai sicuro che rimarrai per sempre nel cuore di di tutti i tuoi amici ed in particolare di quegli ‘Amici del martedì’ che si sono conosciuti da ragazzi sui campi di basket, dove tu eri uno dei migliori, e sono sempre rimasti legati da profonda amicizia. Ciao, Franco, ti vogliamo bene”.
Lette queste toccanti parole, l’ex direttore dell’Unione industriali di Vercelli è andato ad abbracciare Marisa, il grande amore di Franco.

Poi è stata la volta di Bepi Re, altro amicissimo di lunga data. Il dentista astigiano ha letto una struggente poesia di Henry Scott-Holland, teologo e scrittore britannico dell’Ottocento, dedicata alla morte e intitolata: “La morte non è niente. Non conta”. Celeberrimo e struggente l’incipit: “Io me ne sono solo andato nella stanza accanto. Non è successo nulla”.
Alcuni versi di questo poema sono di una forza e, nello stesso tempo, di una commozione così profonda che, leggendola, Bepi Re non è riuscito più volte a trattenere le lacrime: “Chiamami con il vecchio nome familiare / Parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato / Non cambiare tono di voce / Non assumere un’aria solenne o triste / Continua a ridere di quello che ci faceva ridere / di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme”.
Mentre Re leggeva i versi, era impossibile, per tutti, pensare che a dire quelle parole potesse essere qualcun altro, se non Franco.
Edm





