L’avevamo presentato come “Il” concerto. E così è stato. Non ci sono aggettivi per celebrare quello che abbiamo ascoltato sabato sera nel cortile di casa Alciati del Museo Leone, tanto colmo di spettatori che la solerte Carolina Melpignano – alacre factotum della Ducale – ha dovuto sudare otto camicie per aggiungere una sedia qua, una sedia là per consentire a tutti coloro che s’erano prenotati di assistere alla fantastica performance del violinista Giuseppe Gibboni – ultimo vincitore del Premio Paganini di Genova – e della chitarrista Carlotta Dalia.
I due giovani, ma già strabilianti strumentisti, hanno offerto quasi un’ora e mezzo di musica che non sarà dimenticata, con il pubblico a spellarsi le mani e a scandire acclamazioni dopo le varie esecuzioni, singole o in coppia. Difficile indicare le cime di questo concerto: personalmente sono stato stregato dal Capriccio numero 5 di Paganini (eseguito da Gibboni) e dal Castelnuovo-Tedesco di Carlotta Dalia, e anche da come la stessa Dalia è riuscita a nascondere l’irritazione per l’ineluttabile squillo di un cellulare durante le “Variazioni” sul Carnevale di Venezia di Tarrega. Verrà finalmente il giorno – e lo aspettiamo – in cui anche al “Viotti Festival” si consumerà la sarcastica intemerata di Chailly contro lo spettatore distratto: “Risponda pure, noi riprendiamo dopo”.
Tornando al concerto e al livello dei protagonisti, ci è tornata in mente un’intervista in cui Angelo Gilardino disse quanto segue: “Se noi, ascoltando un’interprete, pensiamo che è bravo, o anche bravissimo, vuol dure che non lo è ancora abbastanza. Ricorda che cosa scriveva Proust del pianista in cui erano adombrate le figure di Saint-Saëns e di Debussy? Siuonava così bene, che nessuno se ne accorgeva più, era una finestra aperta sulla musica”.
Abbiamo pensato a quella osservazione di Angelo, sia perché egli stimava tantissimo Carlotta Dalia (al punto di dedicarle una composizione, la Sonatina per chitarra “Angelus”) e anche perché, a proposito di Gibboni, devo ricorrere ad un ricordo del tutto personale. Eravamo ancora in piena panemia, nel 2020, quando egli mi telefonò per dirmi: “Vai su YouTube ad ascoltare questo giovane che si chiama Giuseppe Gibboni, e poi mi dirai. Per me, è il miglior violinista che ci sia in questi momento”. Un anno e mezzo dopo, avrebbe vinto il “Paganini”, quarto italiano a trionfare in cinquantasei edizioni del prestigioso concorso genovese.
Ed infine, Gilardino c’entra ancora, eccome, con il concerto di sabato sera, perché alla fine, dopo lo splendido bis (un quarto brano di Piazzolla), quando Cristina Canziani si è avvicinata ai due protagonisti per ricordare “un noto compsitore vercellese” (intendeva Viotti, alludendo al Viotti Festival), si è sentita rispondere: “Angelo Gilardino”. E poi Carlotta Dalia ha intelligentemente chiosato, con l’orgoglio della storia del suo strumento: “E’ forse la prima volta che un grande chitarrista viene citato prima di un grande violinista”.

Il prossimo appuntamento, il penultimo, del Viotti Festival Estate non sarà di sabato, ma, ed è l’unica eccezione, venerdì prossimo, 22 luglio: il Trio Eidos suonerà Haydn, Mendelssohn-Bartholdy e Martinù. Poi, il 30 luglio si torna di sabato per la chiusura della rassegna al violoncellista Ettore Pagano, e due giorni dopo, sarà subito la volta dell’ormai tradizionale Concerto del Patrono in Sant’Andrea: con inizio alle 21, la Camerata Ducale, diretta da Guido Rimonda, ed il soprano Ekaterina Balakova proporranno musiche di Donizetti, Puccini e Verdi.
ENRICO DE MARIA






Insomma, una serata paradisiaca.
Se non fosse per lo squillo del cellulare
(ma forse, contro quell’evento,
non può nulla neppure San Pietro).