Fine vita: tre ore di confronto stamane in Seminario dopo la sentenza della Consulta

Vercelli – “Quando sei nato tutti sorridevano: tu solo piangevi. Vivi in maniera che quando morirai tutti piangano e tu solo sorrida”. E’ il bellissimo proverbiò citato questa mattina dal professor Alfredo Anzani, presidente del Comitato etico dell’Istituto ricovero e cura a carattere Scientifco del San Raffaele di Milano, al convegno sull’Eutanasia (Etica, Medicina e Diritto) che si è svolto questa mattina nell’aula magna del Seminario, organizzato dai Medici Cattolici (presidente Tullio Silvestri)  dagli Insegnanti Cattolici (presidente Carla Barale) e da Alleanza Cattolica (presidente Maddalena Remus).

Convegno di stretta attualità, vista la recente sentenza della Corte Costituzionale che, raccogliendo un quesito di legittimità sul famoso caso Cappato (l’esponente dell’Associazione Luca Coscioni che aveva accompagnato in Svizzera dj Fabo affinché potesse suicidarsi un una clinica vicino a Zurigo), ha stabilito che, in casi come questi, l’assistenza al suicidio non debba essere equiparata all’istigazione  e che quindi Cappato doveva essere assolto. 

Una sentenza, accompagnata dal sollecito della Consulta al Parlamento affinché legiferi sul fine vita, sta suscitando un clamore e un dibattuto enorme in tutto il Paese.

Per la verità, il Convegnio di questa mattina era stato organizzato prima che la Consulta sentenziasse (il 25 settembre scorso), ma il pronunciamento della Consulta lo ha reso ovviamente più interessante.

Tre i relatori moderati dal giornalista Enrico De Maria: il moralista, docente della Cattolica e dell’Istituto di Scienze religiose di Novara don Pier Davide Guenzi, appunto il professor Anzani, e l’avvocato Mauro Ronco, emerito di Diritto penale all’Università di Padova e autore del libro “Il diritto di essere uccisi: verso la morte del Diritto?”. Tutti e tre i relatori, seppure sotto prospettive diverse, hanno preso in esame frasi importanti pronunciate da due Papi su un tema tanto sentito quanto complesso qual è quello del fine: una di Pio XII che, addirittura nel 1956, disse che “l’uso dei narcotici per morenti o malati in pericolo di morte è lecito anche se l’attenuazione del dolore renderà più breve la vita”. L’altra di Papa Francesco che il 16 novembre 2017 sottolineò la “doverosità” (e non soltanto più la possibilità) dei medici di astenersi dall’accanimento terapeutico.

Ovviamente, secondo quanto affermato da Guenzi, senza che i due Pontefici abbiano in alcun modo (a distanza di sessant’anni l’uno dall’altro) approvato chi vorrebbe mettere a disposizione “mezzi” per procurare  il fine vita del paziente. Rendendosi quanto questo tema del suicidio assistito sia sentito dall’opinione pubblica e soprattutto la divida, don Guenzi ha opportunamente rilevato come il “conflitto di interpretazioni” non debba spaventare il cattolico, anche impegnato perché il confronto, che dev’essere sempre “pacato” rientra nella normale dinamica del dibattito democratico. “Occorre tuttavia – ha chiarito il moralista – che alla fine del confronto civile si debba arrivare a dei punti fermi, evitando ad esempio che la sedazione palliativa profonda  venga data a persone che sono semplicemente depresse, e basta”. Bisogna dunque evitare che si arrivi al punto in cui il paziente, per legge, possa chiedere al medico qualcosa che va contro la sua deontologia, e, d’altra parte che il medico attui atti spropositati”. Poi ha ricordato che, per l’etica cattolica, non c’è differenza tra il suicidio assistito l’eutanasia.

Il professor Anzani ha invece esordito così: “Stamattina, venendo qui peer partecipare a questo convengo, mi sono chiesto: ‘Io come vorrei morire’?”. E poi con estrema franchezza ha sfatato molti luoghi comuni sul fine vita, anche radicati nella tradizione cattolica: “Il malato che sta morendo non ha bisogno di un trattato di Teologia, ma di qualcuno che gli stia a fianco, di cui si fidi, qualcuno che gli parli con umanità e saggezza, tenendo sempre aperto uno spiraglio di speranza”. E ha citato un proprio caso personale: “Ad una suora che stava morendo .- ha ricordato – dissi, pensando di confortarla: ‘Sorella tra poco incontrerà il suo ‘sposo’, Gesù’. E quella mi ha tirato una ciabatta”.

E ha aggiunto: “Purtroppo negli atenei non insegnano l’umanità, che il medico deve sempre avere perché la sua missione è quella di prendersi cura del malato. Sono, siamo tutti bravi a parlare della morte degli altri. E quando tocca a me? Per essere davvero di aiuto agli altri dobbiamo porci spesso questa domanda e dunque lanciare sempre messaggi positivi, non illusori, ma positivi. Ho sempre in mente due meravigliose frasi di Teilhard de Chardin: ‘Il futuro è migliore di qualunque passato’ e ‘Il meglio deve sempre accadere’”.

Il professor Anzani ha aggiunto che, curando un malato, soprattutto terminale, il medico deve avere una indispensabile visione di insieme. “Tu – ha detto – non curi il fegato o il cuore, non sei un elettricista. Il malato ha paura, tu devi ascoltarlo: più di ogni altra cosa, abbiamo bisogno di un nuovo umanesimo”-

E ha concluso: “Esiste il diritto di morire in modo umano ed il medico deve assolutamente fare di tutto per eliminare la sofferenza, ma sui temi del suicidio assistito e dell’eutanasia io ritengo che non dovrebbe essere necessaria una  legge: il problema è culturale e il nostro faro deve essere sempre il codice etico, ma con l’avvertenza, di cui mi parlava spesso monsignor Tettamanzi, quando affrontavo questo tema, che esistono i princìpi, ma esistono anche le persone. E quindi, come diceva il professor Umberto Veronesi, il medico deve sempre tenere aperto uno spiraglio di speranza. E’ un diritto pretendere l’eutanasia? No. Ma uccidere e lasciare morire non sono la stessa cosa perché il compito del medico è soccorrere le infelicità. E dicendo queste cose adesso rispondo alla mia domanda iniziale: come vorrei morire? In famiglia”.

L’avvocato Ronco ha invece affrontato i temi del diritto strettamente legati sia alla sentenza della Consulta, sia alla legge del 2017 che in molti ritengono equilibrata e che egli sostiene invece propedeutica all’introduzione nel nostro Paese, per legge, dell’eutanasia. Ha detto che, a sua avviso, nel sentenziare su questo tema, senza attendere una legiferazione del Parlamento, cui aveva concesso un anno esatto di tempo per pronunciarsi, la Consulta abbia compiuto un’usurpazione di potere. “La sentenza della Corte Costituzionale – ha detto – è di fatto un modo per sollecitare il Parlamento ad assumere leggi eutanasiche”. 

E poi, con molta franchezza, ha affermato che il “suicidio assistito” di dj Fabo sia una menzogna perché, di fatto, si è trattato di eutanasia. Infine, ha detto di essere in attesa, come tutti, delle motivazioni della sentenza, che affidarsi da parte della Consulta ad un comunicato stampa è una procedura inusuale e che nel comunicato non si parla più nemmeno di obiezione di coscienza dei medici.

A questo proposito, e lo ha ricordato, intervenendo dopo i relatori, il presidente dell’Ordine provinciale dei medici Giorgio Fossale, la Federazione nazionale degli Ordini si è comunque già espressa. Filippo Anelli, presidente nazionale, ha scritto testualmente: “Come medici, e prima ancora come cittadini, ci atterremo alla sentenza, così come ci atterremo alla Legge, che auspichiamo arrivi celermente a fare chiarezza, e ai principi del Codice di deontologia medica che sono in ogni caso coerenti con quelli costituzionali”.

“Quello che chiediamo – ha scritto Anelli e ricordato Fossale questa mattina – è di poter continuare a fare i medici che hanno il dovere di tutelare la vita, la salute psichica e fisica, di alleviare la sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana. Per questo chiediamo al Legislatore che sarà chiamato a normare questa delicatissima materia di sollevarci dal compito finale, affidando l’estremo atto, quello della consegna del farmaco, a un ‘pubblico ufficiale’, ad un funzionario individuato per questo ruolo”.

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