E’ un Trio da sogno il nuovo Hausopera: trionfo al “Borgogna”

Il Trio Hausopera al Borgogna (foto Renato Greppi)

Un magnifico concerto in una magnifica sala per una magnifica serata. Stavolta esageriamo, perché bisogna. Siamo infatti usciti dalla magnifica sala, che poi era un salone, quello detto “del Polittico”, del museo Borgogna, con la sensazione di avere qualcosa di più, come avrebbe detto Mogol “nel cuore e nell’anima”. Qualcosa che abbiamo, a poco a poco, interiorizzato e che ci ha resi leggeri e felici per ore e ore come un volo di farfalla. 

Merito di tutto ciò la bravura del Trio che abbiamo ascoltato: il “nuovo” Hausopera. Nuovo perché adesso ad affiancare la pianista Paola Motta (di Biella) ed il chitarrista Alberto Bocchino (di Vercelli) c’è un sensazionale e giovane flautista vercellese, Paolo Ferraris.

Ora voi dovete sapere che a Vercelli è nata una vera e grande scuola di flauto, avviata da una docente della “Vallotti”, Maria Teresa Mossina, che ha allevato due flautisti, oggi trentenni: Paolo Ferraris, appunto, e Nicolò Manachino. Il primo – che adesso completa l’organico del Trio Hausopera – è, in questo momento, primo flauto co-solista della Gürzenich -Orchester Köln, la prestigiosa orchestra di Colonia, mentre Manachino è primo flauto dell’Orchestra sinfonica “Giuseppe Verdi” di Milano.

L’acquisizione di un flautista del valore di Ferraris ha portato il Trio Hausopera a livelli tali da provocare subito due sold-out: venerdì sera a Palazzo Gromo Losa, a Biella, e appunto sabato al “Borgogna”, dove il pubblico è stato letteralmente conquistato, dalla bravura dei tre interpreti e dal programma, scelto con ispirata intelligenza.

Nella letteratura musicale non sono molte (eufemismo) le opere composte per un trio di pianoforte-flauto e chitarra. Così, Bocchino, Motta e, inizialmente Mo, sono andati a pescare nell’opera lirica, trascrivendo arie e ouverture celeberrime, come, ad esempio, le due con le quali hanno aperto il concerto di sabato: l’Ouverture dal “Barbiere di Siviglia” di Rossini e il Coro e Duetto dal secondo atto del “Rigoletto” di Verdi. Molti conoscevano già l’Hausopera e hanno lasciato che quella musica li riconquistasse, carezzevole, nota per nota. Invece, per chi non conosceva il Trio biellese-vercellese, quella musica – trascritta mirabilmente – ha frantumato le pur sempre possibili riserve iniziali di fronte a qualcosa che non si conosce, come le mura di Gerico.

Rotto il ghiaccio come meglio non avrebbe potuto fare, il Trio si è subito “congedato”, dando spazio ai singoli: Alberto Bocchino ha suonato un brano per chitarra di Federico Moreno Torroba, che si intitola “Torija” (è il nome di un piccolo centro della Castiglia, che ha un castello bellissimo); Paola Motta ha eseguito il primo brano della serata di Astor Piazzolla: la “Siciliana” per pianoforte dalla “Suite opera 2”,

Poi subito la reunion per eseguire un brano finalmente scritto non per trio di pianoforte-flauto-chitarra, ma proprio per il Trio Hausopera, da un compositore torinese molto considerato: il compositore è Nicola Campogrande e il brano si intitola “Tango della fine del mondo”. Prima di dare il la all’esecuzione, Bocchino ha aggiunto che l’avrebbero suonato “con passione”, secondo le intenzioni del compositore.

Salone del Polittico affollato per il concerto dell’Hausopera

Poi, per concludere, ancora spazio a Piazzolla. Prima con un pezzo scritto dal grande compositore e bandoneonista argentino proprio per flauto e chitarra “Cafè 1930” da “Histoire du Tango”. Ed infine un’altra stupenda rielaborazione per il loro trio di “Adios Nonino”, opera tra le più conosciute e amate di Piazzolla.

Il pubblico a quel punto sembrava incontenibile negli applausi e nell’impazienza di ascoltare subito un bis. Hausopera gliene ha regalati due, sempre di Piazzolla, e sempre celeberrimi: “Oblivion” e “Libertango”. Un trionfo.

Come “bis”, stavolta dell’articolo, isoliamo la bella dedica che Paolo Ferraris ha riservato alla sua primissima insegnante di flauto, anzi addirittura di ottavino, Maria Teresa Mossina, della Scuola Vallotti, e al maestro Giuseppe Canone, sempre della “Vallotti”, entrambi presenti in sala, esprimendo loro tutta la sua riconoscenza per averlo indirizzato verso lo studio del flauto e alla scoperta della musica d’insieme. “Vi devo tantissimo, ha detto, commosso.

Edm

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1 commento

  1. Che vergogna! (di non esser stati presenti) ! !
    Proposta per il futuro:
    1) in caso di immanente sold out: passare l’esibizione in sale sempre più grandi (s’è già fatto, forse con successo)
    2) dato che chi non c’è è perché non sa cosa si perde: rendere obbligatoria la presenza (gli italiani ubbidiscono)
    3) spargere la voce (anche questa ha già funzionato): chi non si presenta si ammala, resta intossicato e poi muore. (neppure felice, contrariamente ai presenti).

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