“Ce la farai, noi ti aiuteremo”: le parole giuste dei volontari di fronte alla malattia

Padre Carmine Arice e il parroco don Stefano Bedello

 

Santhià – “Il dolore è un nemico che purtroppo non si può aggirare, ma solo attraversare, e colpisce noi, essere umani che siamo cercatori di felicità, appassionati, mai sazi”.

Lo ha detto, nel suo straordinario intervento, padre Carmine Arice, durante l’incontro pubblico con i volontari che ogni giorno si occupano dei malati, organizzato dall’Amos (Associazione Malati Oncologici di Santhià) nella sala parrocchiale. Incontro curato anche nei dettagli dalla bandiera dell’Amos, Luigina Rollino, e dal parroco don Stefano Bedello.

La dottoressa Elvira De Marino

Presenti all’incontro numerosi volontari di altre associazioni, da “Insieme” all’Oftal. Dopo i saluti di don Bedello (anche a nome dell’arcivescovo Arnolfo) e di Enza Quarticelli, a nome di don Bruno Capuano, direttore della Pastorale della Salute diocesana, impegnato, insieme all’arcivescovo, nel ritiro spirituale di Bordighera con molti sacerdoti della diocesi, hanno preso la parola tre illustri relatori. Nell’ordine, la primaria di Oncologia del “Sant’Andrea” Elvira De Marino, il dottor Franco Balzaretti, dirigente responsabile della “Day Sugery” dell’ospedale di Vercelli e, in conclusione, appunto, padre Arice, direttore nazionale emerito della Pastorale della Salute.

Il pubblico che affollava il salone parrocchiale

Molto interessante l’intervento della dottoressa De Marino che ha parlato della nuova frontiera per la cura ai malati di cancro. “Oggi – ha detto – più che concentrarsi come in passato esclusivamente sulla malattia, per aiutare in modo efficace una persona colpita da tumore occorre avere una visione olistica puntando all’obbiettivo di fondo che è quello di garantire una buona qualità della vita a chi soffre di questo male. Questo approccio, da parte sia del medico sia del volontario, deve considerare anche gli aspetti psicologici, ma anche quelli spirituali perché ciascun malato affronta il male a modo suo, in modo molto soggettivo e dunque va sostenuto a tutto tondo in tutte le fasi del suoi percorso: dalla diagnosi alla terapia fino al post guarigione, soprattutto in quei momenti difficili in cui subentra quello che si chiama il “gelo dell’anima’”.

Luigina Rollino, anima dell’Amos

“Di fronte alle domandi cruciali – ha proseguito la primaria di Oncologia del Sant’Andrea – che il malato si pone all’inizio del percorso, ‘Potrò farcela?’, ‘Ce la farò? è fondamentale essere rassicuranti e trasmettere sempre la speranza: ‘Ce la farai, noi ti aiuteremo’. Tutti noi, operatori sanitari e volontari, dobbiamo sempre aiutare il malato, ma anche i suoi familiari, trasmettendo ottimismo. Ma dobbiamo anche avere la forza, quando purtroppo perdiamo un paziente, dopo avere tentato in tutti i modi almeno di lenirne il dolore, di ricominciare”.

Il dottor Balzaretti si è rifatto a Menandro, commediografo greco vissuto tre secoli prima di Cristo, che diceva: “La parola è medicina alle malattie”. “Eppure – ha detto – anche se questa affermazione dovrebbe essere alla base del modo di aiutare un malato, nessuno nelle Università ha insegnato per decenni a noi medici ‘come’ comunicare col paziente. Per fortuna adesso le cose stanno cambiando”. Anche usando in modo appropriato le parole, medici e volontari devono sempre trovare la capacità di resilienza, cioè di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici.

E quindi, ha suggerito a tutti la lettura di un libro scritto a quattro mani da Vittorio Messori e Leonardo Mondadori sulla sofferenza della malattia provata da quest’ultimo che, pur essendo uno degli uomini più autorevoli e potenti d’Italia, quando fu colpito dal cancro si trovò nelle condizioni di essere una semplice cartella clinica o, come diceva lui stesso, un “emigrante della salute”. Ma appunto nella sofferenza, Mondadori riuscì a trovare la Fede, poi descritta nel libro “La conversione”.

Il dottor Franco Balzaretti

 

Infine, l’intervento magistrale di padre Arice, dedicato alla famosa lettera pubblicata nel 1984 da Wojtyla appunto sulla sofferenza, la “Salvifici Doloris”.

Un incontro pubblico di grande spessore, alla presenza anche di molti amministratori pubblici della zona (ovviamente sindaco Angelo Cappuccio in testa) da ripetere, perché no?, magari a Vercelli.

edm

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