In viaggio con Gianluca Mercadante sull’Isola Senza Tempo

Una volta chiesero ad Alberto Martini, l’artista considerato uno dei precursori del Surrealismo, perché lo affascinasse così tanto il mondo onirico. Egli rispose in maniera categorica che «chi vive nel sogno è un essere superiore, chi vive nella realtà, uno schiavo infelice». Chissà cosa ne pensa al riguardo Gianluca Mercadante che nel suo ultimo libro L’isola Senza Tempo (Las Vegas) ha dato ampio spazio all’elemento immaginifico, oltre che quello autobiografico, una delle sue cifre stilistiche.

Una possibile risposta la dà nelle prime pagine di quello che è finora il suo romanzo più corposo, sia in termini di pagine che di complessità. «I sogni nascono per subire ostacoli, ma chi conosce questa verità, o per meglio dire ci sbatte contro, può scegliere», commenta Biagio, protagonista della storia, assieme al padre Marcello, alla madre Nicoletta e agli altri personaggi che, a dire il vero, non sono poi molti.

Una breve premessa. Di solito, quando vado a trovare Gianluca nella sua bottega per fare due chiacchiere su cinema, fumetti, libri e gossip vario, lui ama scherzare su ciò che scrive. Nel senso che si prende sul serio, ma fino a un certo punto. Questa volta mi ha dato in mano il libro e mi ha confidato lapidario: «Su questo non c’è molto da dire, leggilo e trai le tue conclusioni». Poi abbiamo parlato di Ken Parker.

In effetti, se su Caro lettore in erba…, Caro scrittore in erba…, Casinò Hormonal si poteva trattare la storia con una certa joie de vivre, con L’isola Senza Tempo non è così. Che sia stato un libro sofferto da scrivere, lo si capisce fin da subito. Non a caso l’autore ci è stato su per quattro anni e sono convinto che se potesse ce ne starebbe altri quaranta. D’altronde dire addio al proprio padre prevede un percorso che, credo, terminerà solo quando saremo costretti a dire addio a noi stessi. Quando si tratta di dialogare con la memoria funziona così.

Biagio ha il padre che è ricoverato in casa di riposo. Con lui ha sempre avuto un rapporto altalenante, fatto di cose non dette, segreti più o meno taciuti, quelli che la vita si ostina a nascondere a furia di abitudini quotidiane, fino a che non diventano essi stessi routine. Il dramma di un figlio che vede i ricordi del proprio genitore affievolirsi giorno dopo giorno, brandelli di vissuto che si perderanno per sempre.

O forse no, se quel padre ha in serbo per Biagio una storia tanto simile a quella che gli raccontava da bambino per farlo volare in luoghi magici, dove nulla di male poteva accadere. Per proteggerlo insomma, come capirà Biagio nel suo viaggio in compagnia di Marcello.

Un viaggio attraverso luoghi come il Viale dei Tronchi Ricordati, il Fiume dei Pazienti, il Promontorio delle Verità Taciute, la Spiaggia dell’Approdo. Nomi curiosi, così come chi accompagna i due: la coppia Tosse e Febbre, i ventinove cani e la guida Bonaparte, un giovane ragazzo che si veste alla moda napoleonica, fregandosene altamente di appartenere a un’epoca non sua e dei giudizi altrui.

C’è un lato fiabesco, che è il pretesto, e c’è un lato drammatico, reale, che raggiunge il suo culmine nel faccia a faccia, denso di pathos, tra Biagio e Marcello in cui il figlio legge una lista di cose che non ha mai avuto il coraggio di confessare al padre il quale però sa già tutto. È Biagio invece a non conoscere alcune sfaccettature del genitore.

«Mio padre non sa che suo figlio non sa chi è veramente suo padre» è l’ultimo nome dell’elenco. Allora Marcello glielo spiega, lo ha portato sull’Isola per quello. Gli spiega come ha amato la sua Nicoletta e come era ed è orgoglioso di Biagio. Fino al colpo di scena finale, che non sveliamo per ovvie ragioni, così come non vogliamo svelare la trama o addentrarci troppo nei particolari.

Infine, nell’Isola senza tempo Mercadante consegna quella che può considerarsi la summa di ogni scrittore e più in generale di ogni civiltà: «Le storie si aprono, come le porte. E continuano. Perfino quando sembra siano finite. O finiscono quando sembra che stiano cominciando», perché «ogni volta tutto ricomincia. Se una storia restasse nelle mani di chi se l’è inventata sarebbe una storia morta. Le storie vivono grazie a chi le racconta per secondo». È questo il segreto della letteratura, probabilmente anche della vita.

Massimiliano Muraro

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