“The Last Duel” di Ridley Scott, accompagna lo spettatore in un Medioevo crudo e disumano

Ennesimo film atteso per il 2020 e poi mostrato in anteprima alla 78esima Biennale di Venezia, “The Last Duel”, l’ultima (ma ormai penultima data la lavorazione nel mentre di “The House of Gucci”) fatica di Ridley Scott approda finalmente nelle sale. Il famoso regista non è novizio del genere storico, basti ricordare le sue precedenti pellicole quali “Le Crociate”, “Exodus” ma soprattutto “Il Gladiatore”. Sceneggiato dal duo storico Affleck – Damon (Oscar alla Miglior Sceneggiatura per “Will Hunting – Genio Ribelle”) più Nicole Holofcener, il film è tratto dal romanzo storico del 2004 dal lungo titolo “L’ultimo duello. La storia vera di un crimine, uno scandalo e una prova per combattimento nella Francia medievale” di Eric Jager, a sua volta basato su fatti realmente accaduti dato che narra dell’ultimo duello di Dio (usanza medievale dove si riteneva che il vincitore primeggiasse non per abilità ma per volontà del Signore) avvenuto in Francia nel 1386, tra Jean de Carrouges e Jacques Le Gris.

La cosa che più colpisce lo spettatore durante la sua visione, oltre la caravaggesca fotografia di Dariusz Wolski, più volte collaboratore di Scott, è la solidissima sceneggiatura. La vicenda, che culminerà con il duello del titolo che funziona sia da prologo che da finale, è raccontata attraverso tre capitoli, ognuno dei quali è narrato dagli occhi di uno dei tre protagonisti: Jean de Carrouges (Matt Damon), Jacques Le Gris (Adam Driver) e Marguerite de Carrouges (Jodie Comer), mostrando allo spettatore una sfumatura nuova di come sono andate realmente le cose. È interessante sapere che ognuno dei tre sceneggiatori si è occupato di uno specifico capitolo del film: Nicole Holofcener ha curato la stesura della verità di Marguerite, Ben Affleck per Le Gris e Matt Damon ha scritto in prima persona il punto di vista del suo personaggio.

Il film è dunque un grande excursus sulle menzogne umane raccontate a difesa del proprio ego spacciato per onore. Se il pubblico ha una specifica visione della vicenda attraverso gli occhi di Carrouges, il primo capitolo, le sue convinzioni verranno tradite quando saranno mostrati gli altri capitoli poiché, grazie alla regia chirurgica di Scott, uno sguardo in più o una parola diversa, cambiano radicalmente ciò che il personaggio ha raccontato nella parte precedente.

Nonostante la lunga durata, ben 153 minuti, il brutale racconto antieroico di Scott tiene alta l’attenzione, non rallentando eccessivamente quasi mai e mostrando tutta la sua crudezza la bestialità umana, non solo da un punto di vista psicologico come finora affermato, ma anche fisico, mostrando scene di combattimento dal forte impatto e meno romanzate possibili in una cornice medievale sporca e disumana. La società viene vista come più interessata al sangue che alla giustizia, esaltando il vincitore e umiliando il vinto piuttosto che l’innocente e il colpevole, facendoci rabbrividire quando viene mostrato come lo stupro, vero fulcro di tutta la vicenda, non fosse considerato all’epoca un crimine contro la vittima ma solo un attentato alla “proprietà del marito”. Una pesante critica, purtroppo, ancora fortemente attuale.

 

Emanuele Olmo

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