Rimane senza colpevoli il caso della piccola Matilda, la bimba di 22 mesi morta nel luglio 2005 a causa di un violento colpo subito alla schiena, a Roasio, nel vercellese. Nessun colpevole, nessun autore della violenza: un mistero insomma.
La Cassazione ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai legali della madre Elena Romani, contro l’ex compagno Antonio Cangialosi. La donna era stata assolta in via definitiva dopo che, nel 2018, la Corte d’Appello aveva assolto anche Cangialosi che al tempo della morte della bimba era il suo compagno. Dalla ricostruzione dell’accaduto dopo l’indagine, quando la bimba morì in casa con lei c’erano solo la Romani e Cangialosi. Secondo le perizie medico-legali, a far morire la bambina sarebbe stato un violento colpo alla schiena, forse un calcio, che le provocò lo schiacciamento di rene e fegato. Per la sua morte sono stati indagati, come detto, la madre e il compagno. A oggi però non esiste un colpevole.
E’ il 2 luglio del 2005 quando al 118 arriva una telefonata da un cascinale vicino a Roasio: “C’è una bambina che sta malissimo, fate in fretta”. La bambina si chiama Matilda Borin ed è la figlia di primo letto di una hostess, Elena Romani che, in quel momento convive con il body guard Antonio Cangialosi. Purtroppo per la piccola Matilda non c’è più niente da fare. La perizia nescroscopica accerta che è morta colpita da un violentissimo calcio alla schiena che le ha spappolato un rene e il fegato. Parte immediatamente l’inchiesta della procura di Vercelli che, a causa della forma della scarpa che potrebbe aver colpito Matilda e anche di una controversa intercettazione ambientale, punta diritto sulla mamma: “E’ stata lei”. Elena Romani, difesa dagli avvocati Roberto Scheda di Vercelli e Tiberio Massironi di Gallarate, proclama invano la sua innocenza e si fa sei mesi di carcere e tre di domiciliari.
Però, davanti alla Corte d’Assise di Novara, la donna viene assolta e la sentenza viene confermata dalla Corte di Assise di Appello, che dichiara l’assoluzione con formula piena. La procura generale appella e si arriva così al 2012 quando la stessa sezione della Cassazione che adesso ha assolto definitivamente proscioglie definitivamente Elena Romani, che esce definitivamente dal caso (oggi la donna si è risposata e ha due bambini).
A quel punto, la logica popolare vorrebbe che, essendo in due in quel momento in casa e avendo la Giustizia totalmente escluso la responsabilità di una delle due persone, il colpevole non possa che essere l’altra. Ma la logica giudiziaria è ben diversa. Tuttavia è la stessa procura di Vercelli (con altri magistrati) a riaprire il fascicolo puntando stavolta Cangialosi, difeso dagli avvocati Sandro e Andrea Delmastro di Biella, ma nell’ultimo atto in Cassazione lo studio era rappresentato dalla collega Erika Vatta.
La vicenda però non approda in tribunale perché è il gup di Vercelli Fabrizio Filice che dichiara il non luogo a procedere per l’imputato. A quel punto si va in Assise d’Appello a Novara, che conferma l’assoluzione per l’ex body guard. E’ il 2018. Commentando la sentenza, il procuratore della Corte d’Assise d’Appello Marcello Tatangelo afferma, con amarezza: “Il fatto che dopo tredici anni non si sia riusciti ad accertare il responsabile di quel delitto è una sconfitta del sistema giudiziario, ma nell’incertezza non si può condannare un innocente”. Lo rimarca anche l’estensore della sentenza, Gianni Macchioni: “Uno dei due è certamente colpevole, ma la Giustizia non è riuscita a stabilirlo”.
Tutte cose confermate adesso dalla Quinta Sezione Penale della Cassazione, la stessa (pur con altri giudici) che aveva definitivamente prosciolto la Romani, e a cui si era rivolta la donna (attraverso gli avvocati Scheda e Massironi) per avere giustizia.
Commenta l’avvocato Roberto Scheda: “Un fatto è certo. Dopo ben sedici anni non è stata resa giustizia ad una bambina di 22 mesi morta tra l’altro in modo atroce, perché quel calcio con cui è stata giustiziata sarà stato sicuramente anche dolorosissimo. A nostro avviso, se inizialmente la procura non avesse scelto di escludere uno dei presunti colpevoli, e avesse rinviato entrambi a giudizio, forse il procedimento processuale avrebbe preso una via ben diversa”.
Piccinina bella, si è uccisa da sola ?
La Giustizia fa paura ai giusti. Quando non trova i colpevoli, ma anche se li trova. Quando ci mette tanto tempo, e persino nel caso contrario.
I Palamara temono le mafie. Facendone parte. Sulla Giustizia non hanno competenze. Neppure una vaga idea.
Non si puo’ andare contro la propria Natura!