Monoclonali anche nei Pronto Soccorso: la nuova strategia della Regione per fronteggiare l’aumento dei contagi Covid

Arrivare a somministrare gli anticorpi monoclonali al momento dell’accesso al Pronto Soccorso di tutti gli ospedali della regione, ma anche a domicilio su richiesta del medico di famiglia, nel pieno rispetto delle linee guida indicate dall’Aifa e dalle altre autorità sanitarie. Si tratta dell’obiettivo della Regione che sta approntando d’urgenza un protocollo in tal senso da attuare in Piemonte, nel più breve tempo possibile, che potrebbe essere messa nero su bianco già oggi nel corso della riunione del gruppo di lavoro per le terapie domiciliari coordinato da Claudio Sasso su incarico dell’assessore Luigi Icardi. La terapia con le monoclonali, che va ricordato è estremamente efficace ma solo nei primi tre giorni dai primi sintomi di contagio, da mesi è attiva a Vercelli. Grazie al primario di infettivologia dottor Silvio Borrè infatti, al Sant’Andrea ci sono sei postazioni che possono somministrare la flebo (durata circa un’ora) già attive da mesi. Inspiegabilmente però questa terapia, che ha ampiamente dimostrato i benefici che può dare evitando ricoveri in terapia intensiva e favorendo guarigioni dal Covid in 24/48 ore, è ancora oggi poco utilizzata in Piemonte. E lo stesso dottor Silvio Borrè, che aveva inserito l’ospedale vercellese nella sperimentazione, più volte aveva lanciato appelli (leggi qui) affinché i medici di base richiedessero per i propri pazienti idonei e positivi la possibilità di fruire di questa cura.

Ora l’assessorato alla sanità della Regione pare voler spingere forte sulle monoclonali per tutti. Così l’assessore Icardi ha inviato una sollecitazione alle Asl per un rapido cambio di rotta che va nella direzione più volte sottolineata anche dal professor Giovanni Di Perri per un utilizzo decisamente più elevato e diffuso di questi farmaci la sui efficacia, nei primissimi giorni dall’insorgenza dei sintomi, è dimostrata nei numeri e attestata dagli infettivologi. Di Perri, primario di Malattie Infettive dell’Amedeo di Savoia, denuncia tra rabbia e rassegnazione come “i frigoriferi degli ospedali sono pieni di monoclonali. Nel massimo picco della pandemia, con 60mila ricoveri in Piemonte, abbiamo usato solo 350 dosi di monoclonali. Con un uso più intenso avremmo potuto risparmiare almeno 15mila ospedalizzazioni e chissà quanti morti si sarebbero potuti evitare”.

Gli ultimi dati resi disponibili dall’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco – scrive il sito di informazione e Lo Spiffero – incredibilmente, confermano una mancanza di inversione di tendenza: nel report riferito alla settimana dall’8 al 14 ottobre le prescrizioni di anticorpi monoclonali per milione di abitanti in Piemonte si fermano a 2,9 rispetto alle 23,7 del Veneto, regione leader della classifica, ma anche lontano dalle 14,43 somministrazioni per milione di residenti della Liguria. Peggio del Piemonte fanno solo la Basilicata, la Calabria, la Sardegna, ma anche la Lombardia oltre al Molise e alla Provincia di Bolzano finita da pochi giorni in zona gialla. In numeri assoluti, nella settimana presa in esame il Piemonte ha somministrato solo 12 dosi di monoclonali, esattamente un decimo di quelle del Veneto che ha un numero di abitanti superiore di poche centinaia di migliaia.

Ecco allora che dalla Regione arriva la sferzata per superare la resistenza contro questa terapia (una flebo, meno di un’ora con l’ago nel braccio, un breve periodo di osservazione e poi il ritorno a casa). Va detto che anche il direttore del Dirmei Emilpaolo Manno, qualche mese fa, aveva inviato una nota alla Asl in cui si dava la possibilità ai vertici aziendali di predisporre ulteriori centri per la somministrazione dei monoclonali, aumentando così l’offerta limitata ai reparti di malattie infettive. La risposta delle ASL è stata scarsissima, per non dire nulla. Per questo oggi la Regione, anche per fronteggiare un costante aumento dei casi, ha decisione di predisporre strumenti in grado di ridurre al minimo gli ostacoli per l’uso dei farmaci monoclonali che hanno nel a rapidità di impiego il requisito fondamentale per la loro efficacia, rendendoli disponibili in ogni Pronto Soccorso. Una direttiva che se verrà messa in atto non solo ridurrà moltissimo i tempi di accesso alla cura, ma taglierà anche la difficoltà degli spostamenti protetti e quindi spesso complicati di pazienti positivi verso i grandi ospedali, gli unici dove oggi è possibile sottoporsi alla terapia.

Il protocollo che verrà analizzato e, si spera, reso attivo, come spiega l’assessore Icardi “grazie al lavoro del dottor Sasso e del suo gruppo permetterà di dare risposte adeguate non solo ai pazienti Covid, ma anche a tutti gli altri che potranno avere maggiori disponibilità negli ospedali”. Le monoclonali quindi oltre che nei Pronto Soccorso dovrebbero poi poter essere impiegate anche a domicilio. E in questo caso sarà ancor più determinante il ruolo dei medici di famiglia per la tempestiva richiesta, in base ai criteri fissati dalle regole nazionali (età, patologie esistenti…), della somministrazione del farmaco verosimilmente affidata alle Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale che dalle prime fasi della pandemia garantiscono l’assistenza e le cure domiciliari per i malati di Covid.

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